Salvini fra choc e azzardi

Sì, certo, il dannunzianesimo è tornato di moda e Matteo Salvini, forse più di tanti altri, ne è un erede benché non ne conosca fino in fondo significati e portata, a cominciare, per esempio, da quel Mas (memento audere semper), a parte, probabilmente, il “memento”.

Con profluvi di massime e parole ad hoc, il salvinismo si va collocando a fianco del berlusconismo d’antan, con in più e di diverso il famoso (o famigerato) populismo divenuto da qualche anno à la page nella derivazione benevola della sua radice “demos” che indica la demagogia, appunto.

Che, come ognun sa, persino lo Zingarelli traduce sic et simpliciter in “populismo” ma con un sovraccarico per il suo più o meno legittimo-storico portatore di: capopopolo, caporione, tribuno, sobillatore, agitatore, arruffapopoli. Il fatto è, tuttavia, che il ruolo di un capopopolo è conquistato e portato nel quadro tradizionale dell’opposizione al potere-governo non solo o non soltanto per conquistarlo e gestirlo con tanto di progetto e di programma, ma di contestarlo.

Matteo Salvini, che sapeva e sa come stanno le cose, ha vinto democraticamente la battaglia per governare l’Italia. Ma non da solo giacché il suo trenta circa per cento, sia pure in aumento (oggi, domani vedremo) necessita obbligatoriamente di un’alleanza che, scartato l’ex alleato Berlusconi, non può che essere il Movimento 5 Stelle di Grillo o, meglio, di Luigi Di Maio, detto dai cattivi, persino all’interno del suo movimento, il promettitore quotidiano.

Lungi tuttavia da noi l’insistenza su annunci, promesse e programmi di cui l’unico degno di questo nome resta quel reddito di cittadinanza (tuttora non erogato) che era ed è una distribuzione di sussidi a un’ampia fascia della popolazione dai cui fruitori era per dir così lecito attendere un buon tornaconto elettorale, fermo restando qualche dubbio (vedi un mormorante Tria) sulla sua effettiva utilità e sui suoi inevitabili riflessi su un debito pubblico mai in decrescita.

Il dato curioso, politicamente parlando, è che esiste un parallelismo fra questa “trovata” elettorale di Luigi Di Maio e quella di Matteo Renzi coi suoi 80 euro che non hanno portato fortuna al suo decisore, così come il reddito di cittadinanza ha fatto versare lacrime amare al capo politico grillino. Con una differenza fra i due: che Renzi se ne è dovuto andare, mentre Di Maio, dopo aver perso 6 milioni di voti, resta al suo posto, confermato, oltre che dal suo big boss, dallo stesso popolo pentastellato e, prima ancora, dalla mitica “piattaforma Rousseau”, peraltro con un quesito prefigurato ed esiti non controllabili, come ha del resto ammesso il suo patron Casaleggio Associati: “Rousseau non è in grado di assicurare autenticità e riservatezza”.

Meno male che c’è Salvini, si sente dire da più parti, poiché è pur vero che il salvataggio di Di Maio da parte di Rousseau scarta, per ora, la minaccia di elezioni anticipate rischiose soprattutto per i parlamentari pentastellati, ma la sua indiscussa vittoria gli ha fatto subito dichiarare di non aver più voglia di perdere tempo anche e soprattutto perché, con questa golden share in mano, il Governo non può non essere a trazione salviniana purché, beninteso, il M5S accetti quello dice Salvini anche e soprattutto per evitare quell’anticipo elettorale, ma, parallelamente, per concordare programmaticamente il da farsi a proposito di: proroga della pace fiscale con condono fiscale, la Tav con i nuovi fondi dell’Unione europea e, last but not least, la sospensione per due anni del codice degli appalti. Richieste che non sembrano di grande gradimento ai 5 Stelle.

In un quadro del genere dove lo stesso Berlusconi annuncia, se non un congresso, l’elaborazione di una linea per quel popolo moderato che non vuole né salire sul carro sia di Salvini che di Renzi, e tantomeno di Beppe Grillo, Salvini si muove prendendo inevitabilmente atto delle dimissioni dell’amico e viceministro Edoardo Rixi (dopo la faccenda Siri), ma guardando agli ostacoli della sua corsa sia con un rimpasto di governo, senza più Danilo Toninelli ministro come si sente dire, sia, soprattutto, con occhio attento allo choc fiscale alle porte, non ignorando che la durata del Governo dipende di certo dallo spread (quota 300), fermo restando che gli stessi contrasti interni alla maggioranza non avrebbero grande peso nei confronti di debito pubblico, deficit e situazione economica. Che non pochi critici ritengono l’attuale triade di governo incapace di sostenere,

E Salvini non può non saperlo. Senza dirlo, ma con qualche azzardo che verrà.

Aggiornato il 03 giugno 2019 alle ore 10:32