Salvini e l’opposizione che non c’è

L’opposizione politica, proprio in quanto tale, è l’esatto rovescio della maggioranza. Quando c’è, beninteso. Ma fino ad ora se ne è vista ben poca. C’è, invece e a quanto si narra, una sorta di network moscovita tra oligarchi e business italiano con una presenza a per dir così “politica” riconducibile a quel Savoini che di Salvini è non solo conoscente. Per carità, il vicepresidente del Consiglio non ha mai negato (forse anche con un sovrattono in più) la sua amicizia con Vladimir Putin, anche questa riconducibile ad una politica leghista lontana e vicina (e ora al governo) che non soffre né lacci né lacciuoli di quell’alleanza atlantica che resta pur sempre – con la Nato integrante – un’unione, un’intesa, una federazione che definire storica non è un’esagerazione.

In questo senso, le notizie rivelate da “Buzzfeed” rientrano in una sorta di spy game, per ora mediatico, non certamente ignoto a chi fa politica, ma da non trascurare e, soprattutto, da sottovalutare a cominciare da chi guida un Paese come l’Italia, a cominciare insomma dallo stesso Matteo Salvini che ha dato e dà spesso l’impressione di un leader talmente occupato nella sfida mediatica e nelle dichiarazioni a getto continuo da sottovalutarne non soltanto la fattualità, ancorché possibile, ma le conseguenze. E, insieme a queste, le loro cause: le immancabili intercettazioni.

Che ci sia messo poi il Presidente del Consiglio che pareva lontano, per dir così astratto, occupato soltanto delle cose da fare a Palazzo Chigi, può sembrare una novità tanto più nella sua autoproclamazione di “avvocato del popolo” oltre che di Premier con tanto di assicurazione di avere fiducia nel suo ministro degli Interni, salvo, nel giro di qualche giorno, ritenere necessario un “doveroso chiarimento” dallo stesso a proposito della presenza del Savoini medesimo invitato dal suo governo a Palazzo Chigi alla cena in onore di Vladimir Putin, su richiesta esplicita di quel Claudio D’Amico che, come ha quindi precisato Conte, è “consigliere per le attività internazionali di Salvini”, sconfessando quest’ultimo e, in pratica, lasciandolo solo. E con le inevitabili nonché ghiotte reazioni dell’alleato Luigi Di Maio che ha invitato Salvini a spiegare al Parlamento il neonato Russiagate sia pure con la garanzia (si fa per dire) di una commissione d’inchiesta “sui finanziamenti a tutti i partiti” contrapposta a quella avanzata da un Pd che sembra, per l’occasione, svegliarsi da un lungo torpore oppositorio confermato, se mai ce ne fosse bisogno, anche dai non pochi voli pindarici dal segretario Nicola Zingaretti, corretti in queste ore da Gentiloni, dichiarando che Salvini offende l’Italia, “le nostre regole e la nostra collocazione internazionale”, accennando addirittura ad una sorta di incompatibilità con la funzione di titolare del Viminale, oltre che di “vice” di Conte.

Il punto centrale di una situazione che tenderebbe a complicarsi ulteriormente se il cosiddetto Russiagate si arricchisse di nuovi particolari, a maggior ragione dopo gli incontri in tribunale dello stesso Savoini, resta comunque Salvini che non solo ha voluto la strana alleanza di governo con i grillini, ma ha goduto di uno spazio politico non poco vasto, dominando la scena, soprattutto mediatica giacché quella, per ripeterci, della cose da fare e fatte è quanto mai scarna, vivendo soprattutto di promesse nazionali e internazionali delle quali fino ad ora s’è visto ben poco, a parte, beninteso, le reali capacità salviniane nel blocco di un’immigrazione che aveva assunto preoccupanti sviluppi. Ma questa condizione di sostanziale dominio sia sul Governo che in Parlamento e dunque nel Paese, è stata prodotta anche da un’opposizione degna di questo nome, e pure dalla stessa Forza Italia che sembra solo in queste ore svegliarsi da un lungo torpore. E un quadro del genere non poteva non nuocere allo stesso Matteo Salvini col quale, al Viminale, è rispuntato bensì il noto Armando Siri ma, anche per le pressioni di questi giorni, l’iniziativa dello stesso ministro degli interni che ha voluto l’incontro con i sindacati, anticipando o scavalcando un Conte che, irritato, ha parlato di scorrettezza istituzionale, mentre Di Maio, parafrasando una battuta di Alberto Sordi in un film sulla mafia, ha buttato benzina sul fuoco: “Se il Parlamento chiama, Salvini deve chiarire”. Il quale ha a sua volta criticato aspramente proprio il Premier che l’avrebbe “colpito alle spalle”.

Il seguito alla prossima puntata.

Aggiornato il 16 luglio 2019 alle ore 10:40