Se la casta restante mantiene un Senato come doppione

Certo che non è stato un bel vedere quelle forbicione in mano a un festante Luigi Di Maio per emblematizzare il taglio parlamentare. Un vedere non “bello” – che Di Maio e soci hanno segnato un punto in classifica è pur vero – ma le vera festa dimaiana e di Beppe Grillo non era e non è per questa riduzione della stramaledetta Casta, magari consolandosi col fatto che un numero di parlamentari di 600 è più dignitoso di 900.

E comunque il ministro degli Affari esteri, in palese difficoltà nel suo gruppo mugugnante, mette una bandierina su un risultato, invero assai ridotto, che da sempre rappresentava la bandiera primaria del Movimento con la sua indefessa e retorica demagogia sui costi della casta politica e le poltrone di chi la rappresenta nella Camera dei deputati e nel Senato della Repubblica. Anche se, a proposito di poltronificio, si vorrebbe qui notare che i due più significativamente legati alla comoda seggiola parlamentare restino proprio Di Maio e Giuseppe Conte, rimasti indomiti al loro posto nonostante un clamoroso cambio di maggioranza e al di là e al di sopra (o sotto) delle loro alte prediche contro i soliti voltagabbana, contro servi della partitocrazia e dei poteri forti, contro gli incollati alle poltrone. Ma tant’è.

Il vero obiettivo ab origine dei pentastellati, autopromossi ad anti-casta, era la vera e propria cancellazione di Camera e Senato ritenuti inutili e dannosi rispetto alla mitica democrazia diretta propugnata da sempre dalla ditta Grillo & Casaleggio Associati, con l’alta guida del leggendario e infallibile Rousseau schiettamente in favore della elezione di ciascun parlamentare, consigliere regionale, comunale, ecc. da parte degli elettori.

Quanto ai costi risparmiati dai tagli e sventolati su social, media e nelle piazze, non pare proprio che si tratti di grandi cifre, ed è non poco significativo che questo risparmio sia tanto osannato oggi quanto rinviato al 2023: se era così costoso un Parlamento con troppi membri perché salvarne ora una rappresentanza, giudiziosamente ridotta di numero, tenendolo in piedi?

La risposta sta proprio nella riduzione in questione testé approvata che, di fatto, garantisce una durata di legislatura anche e soprattutto per i tanti che sospettano loro esclusioni. Ma anche nel Governo, a cominciare da Conte e Di Maio, non pochi vedono come il fumo negli occhi elezioni anticipate (con un Matteo Salvini non in decrescita, anzi), mentre l’altro Matteo ex Presidente del Consiglio è garantito per le stesse ragioni e, come osserva il nostro direttore, possiamo registrare la vittoria dell’anti-casta nel frattempo divenuta Casta.

Sullo sfondo di un Partito Democratico che, dopo i tanti no di prima al taglio, ha regalato un incredibile successo al M5S con i suoi sì odierni, alcuni dei quali raccontati con motivazioni persino patetiche; la cosiddetta Casta restante in un Parlamento – che è comunque legittimo, cioè in grado di fare riforme nonché ad eleggere il futuro Presidente della Repubblica – non ha voluto realizzare uno dei tagli più necessari, quello riguardante un Senato che è un autentico doppione della Camera dei deputati. Da Miglio a Sartori fino a Cossiga più di una volta è stato ribadito quanto peso ulteriore all’attività legislativa stia appunto nella seconda lettura senatoriale, tant’è vero che non poche Commissioni bicamerali ad hoc, tra il 1983 e il 1998, sono state istituite proprio per una drastica riforma costituzionale in favore del monocameralismo. E senza più gli andirivieni fra le due istituzioni che, non poche volte, hanno prodotto rinvii e stasi insopportabili. Commissioni con risultati pari a zero.

Resta il fatto che, con l’eliminazione del Senato, un sistema ad un Camera sola poteva benissimo restare con gli attuali 630 deputati senza alcun bisogno di tagli per Montecitorio e, quindi, con decisioni più spedite e non meno ponderate. Invece…

Aggiornato il 11 ottobre 2019 alle ore 18:25