Fondo Salva-Stati: Conte bis, ultimo atto

Cosa hanno in comune un pensionato della Calabria e la Deutsche Bank? Secondo la Lega: il libretto dei risparmi che le istituzioni tedesche vorrebbero togliere dalle mani del malcapitato possessore bruzio per coprire i “buffi” rimediati dalle scalcinate banche teutoniche. Sarà pure una banalizzazione ma rende il concetto. Può piacere il nuovo meccanismo del Fondo Salva-Stati e salva-banche che sta per essere varato a Bruxelles? Francamente no.

Se fossimo nel migliore dei mondi possibili potremmo anche fidarci dei nostri partner e convincerci che tutto ciò si fa per il bene di tutte le future generazioni del Vecchio Continente. Anche italiane. Ma noi siamo abitatori di questa realtà e, visti i precedenti, fidarsi dei partner europei è quanto meno un esercizio spericolato. Il Mes, com’è stato ripensato, è concepito per agire da strumento precauzionale per i Paesi dell’eurozona (e non solo), con fondamentali economici solidi ma in crisi per gli effetti negativi di shock al di fuori del loro controllo; quindi, non per quelli con un debito pubblico elevato, come l’Italia.

Il testo depositato al Senato che contiene le modifiche apportate alla precedente normativa all’articolo 11-ter prescrive: “È opportuno che il Mes conceda sostegno alla stabilità soltanto ai propri membri che presentano un debito reputato sostenibile e dei quali è confermata la capacità di rimborso al Mes”.

Facendo i debiti scongiuri, semmai un giorno dovessimo avere bisogno di un aiuto dall’Europa ci potremmo sentire rispondere che non siamo affidabili. Come debitori, ovvio. Non come donatori visto che l’apporto dell’Italia al fondo comune del Mes, nell’ordine del centinaio di miliardi di euro, sarebbe il terzo più alto dopo quello di Germania e Francia. In un Paese normale di un affare del genere non si dovrebbe neanche discutere: le forze politiche all’unisono dovrebbero rispedire ai geni di Bruxelles la proposta bollandola come irricevibile. Ma siamo in Italia dove da settant’anni e passa prospera la sinistra che nel suo Dna ha impresso il riflesso condizionato di andare contro gli interessi degli italiani. I “compagni” sono per statuto gli “amici del giaguaro”. Lo erano prima, quando funzionavano da quinte colonne del comunismo internazionale, lo sono oggi che, affondate le utopie, si sono messi al servizio dei poteri forti e delle burocrazie europee. Non è un caso che il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, tessera del Pd, intervenendo in audizione davanti alle Commissioni riunite Finanze e Politiche Ue, abbia magnificato la riforma del Mes dipingendola come un toccasana per la nostra economia nonostante che, non i soliti sovranisti, ma esponenti delle maggiori istituzioni finanziarie del Paese, abbiano espresso riserve e preoccupazioni sulla sua applicazione. Gualtieri, da ex componente piddino del “mondo alto” dell’eurocrazia, ha tenuto a far sapere ai parlamentari che lo ascoltavano che il testo negoziato dal premier Giuseppe Conte non è emendabile.

Si dirà, ci sono i Cinque Stelle a opporsi. I grillini sono nel caos. Si trovano a sostenere l’azione di governo ma ad avere, in contemporanea, un pensiero negativo sulla riforma del Mes, per cui l’unica possibilità per loro sarebbe un salvataggio in corner con un rinvio della decisione in sede europea non in tempi ravvicinati. Ma la pietra d’inciampo più pericolosa per la combriccola giallo-fucsia è proprio Conte. Matteo Salvini lo accusa di tradimento e di violazione della sovranità nazionale. Il leader leghista avrebbe le prove che il devoto di Padre Pio si sia esibito nel gioco delle tre carte. Secondo l’accusa, pur avendo ricevuto mandato a non assumere impegni con i partner europei sull’approvazione della riforma del Mes senza aver prima acquisito la decisione del Parlamento, il premier avrebbe ugualmente assicurato il sì dell’Italia ai capi di Governo degli altri Paesi Ue. Il tutto per riceverne il sostegno alla riconferma a premier nel momento delicatissimo del cambio di maggioranza. GConte si difende promettendo querele e insinuando che la Lega fosse d’accordo ad approvare il testo concordato. Salvini è furente. Per sbugiardarlo fa circolare alcuni messaggi inviati a suo tempo al premier e all’allora ministro dell’Economia, Giovanni Tria, riassunti nella lapidaria affermazione: “Non firmiamo un cazzo”. Chi ha ragione?

La scena del delitto è la Camera dei deputati. Nella seduta del 19 giugno 2019, il Presidente del Consiglio tiene le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno successivi. Si parla anche della riforma in corso del Mes. L’intervento di Conte, dopo ampio dibattito, si conclude con la votazione di 5 mozioni. Tutte respinte tranne una: quella a prima firma Molinari e D’Uva, rispettivamente capigruppo alla Camera di Lega e Movimento Cinque Stelle, che impegna il Governo: punto 10) – “in ordine all'approfondimento dell'unione economica e monetaria, a confermare l'impegno ad opporsi ad assetti normativi che finiscano per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici, con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci”. E prosegue al punto 11) – “più specificamente, in ordine alla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale”; al punto 12) – “a promuovere, in sede europea, una valutazione congiunta dei tre elementi del pacchetto di approfondimento dell'unione economica e monetaria, riservandosi di esprimere la valutazione finale solo all'esito della dettagliata definizione di tutte le varie componenti del pacchetto, favorendo il cosiddetto ‘package approach’, che possa consentire una condivisione politica di tutte le misure interessate, secondo una logica di equilibrio complessivo”; al punto 13) – “a render note alle Camere le proposte di modifica al trattato Esm, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato”.

La mozione passa con 287 voti favorevoli, 188 contrari e 33 astenuti. Ma Conte beffa tutti infischiandosene delle indicazioni ricevute dal Parlamento. Grave scorrettezza istituzionale, tanto più che a dare parere favorevole alla mozione a nome del Governo sia stato lui in persona. Il presidente dell’Assemblea parlamentare, al termine della replica del premier, come si evince dal resoconto stenografico della seduta, gli chiede: “Presidente, quindi il parere sulla risoluzione Molinari e D’Uva n. 6- 00076 (nuova formulazione) è favorevole con riformulazione. È corretto?”, e Conte risponde: “Sì, grazie”.

Salvini promette di trascinarlo in tribunale. Verosimilmente, spunterà una mozione di sfiducia ad personam contro Giuseppe Conte. Lunedì il premier sarà a Montecitorio per dare spiegazioni all’Aula e al Paese. Per i grillini che lo dovranno difendere per dovere d’ufficio sarà un calvario. Ma stavolta non è detto che la fragile maggioranza riuscirà a fare muro per neutralizzare l’assalto leghista. Posto che lo voglia. Forse è il momento che i malpancisti escano allo scoperto e mettano fine all’indecente farsa a cui è costretto il Paese. Forse è il Mes la buccia di banana su cui il “Conte bis” si romperà l’osso del collo. Una rissa da saloon a Montecitorio c’è già stata ieri l’altro, manca solo che Conte ritorni sul luogo del delitto per rimediare la pugnalata definitiva.

Aggiornato il 30 novembre 2019 alle ore 11:03