Coronavirus, da che parte sta l’Oms?

A causa del coronavirus, è finita “sotto osservazione” anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Davvero la condotta dell’agenzia Onu è stata finora così “sino-centrica”, come denunciato da Donald Trump?

Non si può negare che la decisione di sospendere i finanziamenti americani sia anche correlata alla grave situazione negli Stati Uniti, dove la Casa Bianca fa obiettivamente fatica ad alleggerire il peso delle proprie responsabilità nell’ondata di pandemia che sta travolgendo il Paese. D’altro canto, le ambiguità filo-Pechino dell’Oms sono emerse in maniera nitida sia agli occhi degli esperti che dell’opinione pubblica, a prescindere dalla posizione di scontro assunta da Trump. Basti ricordare l’attesa fino al 30 gennaio per suonare il primo campanello d’allarme; la critica alla chiusura dei voli provenienti dalla Cina; gli elogi sperticati del “lockdown” imposto da Pechino come modello di contrasto al virus; l’aver basato le proprie valutazioni sui dati forniti dalle autorità cinesi, secondo molti scienziati di dubbia attendibilità (si veda, in proposito, l’aspra polemica sulla rilevanza dei soggetti asintomatici, ignorati da Pechino e quindi dalle direttive dell’Oms che sono state seguite pedissequamente dal governo italiano. La restrizione dei test con tampone ai soli soggetti con sintomi evidenti, è stata una delle cause fondamentali della diffusione del contagio tra il personale sanitario e nella società).

Dati alla mano, gli Usa sono di gran lunga il principale finanziatore dell’Oms: Washington ha contribuito al bilancio del biennio 2018-2019 per il 22 per cento, pari a 237 milioni di dollari, mentre la quota della Cina ha raggiunto il 12 per cento, ovvero 76 milioni di dollari. Si tratta però soltanto dei versamenti “fissi”, a cui Washington ha aggiunto 656 milioni di dollari per progetti specifici, capitolo di spesa dove invece la somma elargita dalla Cina ammonta a una manciata di milioni. Con ciò, Pechino si attesta appena al quindicesimo posto tra i “donors” dell’agenzia, ma sembra esercitare al suo interno un peso superiore all’effettiva contribuzione in termini finanziari.

Tanto per non smentire i sospetti di sino-centricità, la portavoce dell’Oms, Fadela Chaib, in una conferenza stampa del 21 aprile ha fatto pendere l’ago della bilancia sull’ipotesi che il Covid-19 sia di “origine animale” e non il frutto di esperimenti di laboratorio. “Probabilmente”, ha precisato, per non porgere il fianco all’accusa di schierarsi troppo apertamente con Pechino nella polemica riguardante la genesi del contagio.

Quel che è certamente probabile, anzi quasi una certezza, è che non si arriverà mai a una valutazione condivisa su quanto realmente accaduto. Ma l’Oms dovrà passare porte molto strette per riuscire a sostenere in maniera credibile un’immagine di serietà scientifica e imparzialità, visto che la pressione sul governo cinese per ottenere una maggiore chiarezza su quanto accaduto a Wuhan è in aumento.

“In Cina sono successe cose che non sappiamo”, ha affermato il presidente francese, Emmanuel Macron, a cui ha dato manforte la cancelliera tedesca, Angela Merkel: “Sull’origine della pandemia la Cina sia più trasparente”.

Dalla Germania, un altro colpo ben diretto è stato lanciato dal potente quotidiano Bild. Il direttore della testata si è rivolto senza timore al presidente cinese, Xi Jinping, per ribadire le accuse di aver lasciato scappare il virus da un laboratorio di Wuhan e di aver tenuto il mondo all’oscuro del contagio troppo a lungo, rifiutandosi di porgere le scuse richieste dall’ambasciata cinese a Berlino dopo la pubblicazione da parte del giornale di un articolo di denuncia delle omissioni e delle mancanze di Pechino.

“Sul Covid-19 siamo sempre stati trasparenti e responsabili”, hanno replicato le autorità cinesi senza battere ciglio, negando l’esistenza di qualsivoglia base legale alle richieste di risarcimento per danni economici che cominciano a giungere da più parti (lo Stato del Missouri negli Usa, i proprietari di un hotel di Cortina d’Ampezzo in Italia) e che il Bild sostiene siano legittime.

D’altro canto, Pechino ha annunciato una nuova iniezione di denaro fresco all’Oms appositamente per fronteggiare l’emergenza coronavirus: 30 milioni di dollari, che andranno a sommarsi ai 20 precedentemente ricevuti.

Tali donazioni sono il segno di una vicinanza che intende continuare a rafforzarsi, nel solco della nomina a direttore generale di Tedros Adhanom Ghebreyesus, già ministro della salute e degli esteri in Etiopia, votato nel 2017 da una maggioranza composta da Paesi africani e asiatici su cui Pechino esercita una notevole influenza.

Meritano pertanto attenzione le critiche di coloro che puntano il dito sulle capacità della Cina di condizionare l’operato dell’Oms attraverso abili manovre politico-diplomatiche. Come non c’è nulla di scandaloso nella decisione di Trump di bloccare per un periodo di 60-90 giorni l’erogazione di altri finanziamenti in attesa dei risultati dell’inchiesta sul ruolo dell’agenzia dell’Onu nella vicenda legata alla pandemia.

Il primato tra i “donors” dell’Oms detenuto dagli Stati Uniti, ha come esito la preponderanza cinese? Questo dice molto sulla partita geopolitica in corso, nella quale il coronavirus è destinato a giocare un ruolo fondamentale.

Aggiornato il 24 aprile 2020 alle ore 14:41