Se quel circo fa corto circuito

Si parla e si scrive tanto di Luca Palamara come soggetto e oggetto di una storia che non è una novità. Una storia che viene da lontano. Il giudice oggi tanto chiacchierato tramite, naturalmente, quelle intercettazioni il cui uso doveva essere funzionale all’opera della magistratura, e che si è rivoltato contro come un serpente velenoso per l’abuso dello strumento il cui sfruttamento intensivo è stato largamente adoperato da magistrati e media, spettacolarizzandolo e mirandolo contro i malcapitati, colpevoli e innocenti.

Di fatto, è stato grazie a questo duopolio che un’inchiesta si è mutata in un atto di accusa preliminare, cancellando il principio d’innocenza fino a prova contraria. Cioè l’habeas corpus.

Il termine di circo mediatico-giudiziario è entrato – codificato – nella Treccani anche e soprattutto perché dalla sua nascita ha prodotto svolte, passaggi, traumi, cambiamenti di regime, favoritismi e dannazioni. Il “circo” che ha cancellato cinquant’anni di democrazia e di benessere del nostro Paese (“Mani pulite”, le due parole fatali ed emblematiche) e, infaticabile, non ha mai smesso di operare come “Partito dei pm” con l’accusa divenuta un faro puntato, privilegiando o dimenticando qualcuno e rivolgendo un’attenzione tutta particolare contro altri... Anche, se non addirittura, nei confronti di un maestro e proprietario di informazione e spettacolo come Silvio Berlusconi, i cui media parteciparono al Big Carnival di quegli anni, rientrando nei ranghi quando la tempesta giudiziaria si applicò con la massima cura delle sue vicende.

Negli anni Novanta, come sappiamo, stampa e televisione si schierarono “a corpo morto con i magistrati. Trascinarono dalla loro parte molti imprenditori che concessero il loro appoggio ai pm in cambio, semplicemente, dell’immunità. Da allora l’informazione in Italia, soprattutto quella dei grandi giornali e delle tivù, è diventata in larga parte subalterna alle procure in una misura del tutto “ancillare”. E ora?

Ora la magistratura è nella bufera e sembra che il Partito dei pm e lo stesso Consiglio superiore della magistratura attraversino grandi difficoltà, sullo sfondo di una situazione del Paese piegato da una delle sue più gravi crisi e dalla quale dovrà pur uscire. Ma non facilmente e non brevemente.

Come era ovvio, il ministro Alfonso Bonafede ha solennemente promesso riforme nel suo settore, ma già questa parola ha un suono che ricorda il suo contrario da parte di un Bonafede che si è applicato, volonterosamente e valga per tutte, nella controriforma della prescrizione.

Toccherebbe ora ai mass media una riflessione su un ruolo che soltanto in Italia non smette, salvo rare eccezioni, di infervorarsi nel tradizionale “dagli al colpevole”, non dopo che un pm abbia lanciato il suo dardo, ma già da prima, ottenendone carte e spunti in favore, va da sé, dell’accusa. Mai della difesa. Non ponendosi la domanda: e se fosse innocente? Questo in nome della sacralità della notizia e della sua pubblicazione.

Si chiama do ut des, ed è in questo scambio che risalta troppo spesso l’assenza di un giornalismo del tutto attendibile, indipendente dal potere e soprattutto dalla magistratura che è il classico potere uber alles, creando uno squilibrio nel sistema dei contrappesi, veri garanti della tenuta democratica. Per intanto, con il caso Palamara, il circo ha fatto corto circuito.

Aggiornato il 27 maggio 2020 alle ore 10:56