Coronavirus e negazionismo

A proposito della valutazione d’impatto del Coronavirus sulla popolazione italiana, ha fatto capolino, tra le altre, una bizzarra tesi negazionista secondo cui il morbo non sarebbe così nocivo come, invece, viene descritto dagli esperti. C’è chi si spinge a negarne gli effetti catastrofici appellando gli scienziati impegnati nel contrasto alla sua diffusione alla stregua di stregoni del terzo millennio. Si sostiene che le previsioni sul contagio siano sballate e che la sua regressione sia la prova dell’incompetenza della comunità scientifica. Si tratta di giudizi approssimativi che meriterebbero quanto meno un’adeguata argomentazione a supporto. Argomentazione che non esiste se non nella citazione di qualche commento orecchiato nell’ascolto di trasmissioni di intrattenimento televisivo. Gli italiani, già penalizzati dal virus e dalle sue tremende conseguenze economiche, non meritano di essere ulteriormente disorientati. Perciò, niente polemiche ma solo rigorosa esposizione di dati certificati per ristabilire un minimo di verità. I “negazionisti” sostengono che il Covid-19 abbia cessato di essere un pericolo per la popolazione, “posto che lo sia mai stato”.

Da un’indagine dell’Istituto superiore di sanità chiusa al 20 maggio scorso, alle ore 16,00, i casi accertati in Italia erano 227.204. Per gli analisti dell’Iss “il fatto che il picco dei casi per data di inizio sintomi sia stato raggiunto qualche giorno dopo l’adozione delle misure di restrizione nazionali (lockdown) conferma che tali misure hanno avuto un impatto nell’invertire l’andamento delle infezioni”, che è l’opposto di ciò che sostengono i negazionisti. Il virus poi, sempre secondo i critici, avrebbe recato danno esclusivamente a “quella piccola frazione di individui fragili che andrebbero sempre protetti al meglio pure da un semplice raffreddore”. Asserzione destituita di fondamento. In base all’indagine sui decessi risulta che sì, alla data del 20 maggio, dei 31.096 pazienti deceduti e positivi all’infezione da Sars-Cov-2 la maggior percentuale abbia riguardato soggetti di sesso maschile appartenenti alle classi d’età comprese tra i 69 e i 90+ ma è ugualmente vero che un numero significativo di decessi vi sia stato anche nelle classi d’età 60-69 (3.225 morti); 50-59 (1.102); 40-49 (269); 30-39 (61) (Fonte: Iss). Tali numeri conferiscono al contagio un’innegabile trasversalità generazionale che il decisore politico non ha sottovalutato nell’assunzione di misure cogenti di contrasto. Anche l’asserzione sui pazienti indeboliti da malattie preesistenti non risponde a verità.

Dall’indagine dell’Iss si riscontra che la co-morbidità (co-morbidity), cioè la compresenza di patologie cardiovascolari, patologie respiratorie, diabete, deficit immunitari, patologie metaboliche, patologie oncologiche, obesità, patologie renali o altre patologie croniche, sia stata segnalata solo nel 35,5 per cento dei casi. E che le principali patologie rilevate afferiscano all’apparato cardio-circolatorio (Cardiopatia ischemica 28,2 per cento; Fibrillazione atriale 22,5 per cento; Scompenso cardiaco 16,2 per cento; Ictus 10,2 per cento; Ipertensione arteriosa 68,3 per cento). Tuttavia, esse non possono definirsi propriamente malattie della vecchiaia perché sono collegate agli stili di vita della popolazione nel suo complesso (fonte: Iss). Quel che ha turbato sommamente i negazionisti sono state le misure drastiche di distanziamento sociale che avrebbero costretto gli italiani agli arresti domiciliari per alcuni mesi. La doglianza non è in sé un argomento, piuttosto bisognerebbe chiedersi: le autorità avrebbero potuto agire diversamente? La risposta della comunità scientifica è monolitica: no. La sezione epidemiologica dell’Istituto superiore di sanità informa che non esistono trattamenti terapeutici specifici per le infezioni da Coronavirus né sono disponibili vaccini protettivi.

Al momento, vengono curati i sintomi della malattia attraverso le terapie di supporto, come ad esempio la ventilazione polmonare meccanicamente assistita. Per il ministero della Salute la decisione di attuare la misura di distanziamento sociale ha avuto lo scopo di “evitare una grande ondata epidemica, con un picco di casi concentrato in un breve periodo di tempo iniziale che è lo scenario peggiore durante un’epidemia per la sua difficoltà di gestione”. La scelta ha funzionato perché se oggi qualcuno si spinge a dire che sia passata è proprio perché si è riusciti in un modo o nell’altro a rallentare la corsa del virus. Ma, obiettano i negazionisti, lo stop ha mandato in frantumi l’economia del Paese. Purtroppo è vero. Ma quali alternative sarebbero state possibili? Nessuna. Perché la pandemia non è stata una questione italiana: si è fermato il mondo. Ora, ipotizziamo pure che un Governo diverso avesse tenuto aperti tutti i siti produttivi, ignorando le indicazioni della comunità scientifica. A cosa sarebbe servito? Il rischio sarebbe stato di vedere tanti lavoratori italiani cadere come mosche sotto i colpi del virus solo per tenere aperte aziende che avrebbero comunque dovuto fermare la produzione a causa della caduta della domanda.

Se un mondo si ferma chi compra le cose che si producono? Hanno funzionato i servizi essenziali e le produzioni dell’agro-alimentare nel garantire la sussistenza alla popolazione. La linea prudenziale nella ripartenza, con tutti i disagi che essa comporta soprattutto per i giovani, è sacrosanta. C’è il concreto pericolo di una seconda ondata del virus che non va sottovalutato. Gli esperti evidenziano il fatto che seppure il numero di casi di Covid-19 in Paesi come Italia, Francia e Gran Bretagna (attualmente l’epicentro della pandemia si è spostato in America Latina) stia diminuendo non significa che sia finita. La previsione degli “stregoni” è di un possibile ritorno dell’infezione già dal prossimo autunno. Per quel tempo sarà improbabile aver approntato, sperimentato e diffuso il vaccino. Ciò comporta la necessità di tenere alta la guardia sulle misure di prevenzione mantenendo standard di sanificazione elevati, in particolare sui mezzi del trasporto pubblico, come suggerisce la virologa Ilaria Capua. Se vogliamo evitare di finire nuovamente al confinamento domiciliare è indispensabile che ci si abitui presto a un cambiamento degli stili di vita. Questa è una peste dei nostri tempi e come tale va trattata. La circostanza che l’economia abbia pagato un prezzo insostenibile è un altro conto.

Per fronteggiare tale emergenza ci sono lo Stato e l’Unione europea che devono fare ciascuno la propria parte per proteggere e assistere i cittadini e le imprese fino a quando il problema pandemico non sarà risolto o non saranno trovati i giusti rimedi per contenerlo. Detto ciò, ognuno poi interpreta i dati come crede o per come sappia relazionarsi con la realtà. Per i negatori della pericolosità del contagio i 231.139 contagiati totali in Italia (+ 584 in un solo giorno) contabilizzati alle ore 18 del 27 maggio (fonte: Protezione civile), di cui 505 ricoverati in terapia intensiva, sono quisquilie; come i 33.072 deceduti accertati in pari data possono considerarsi un danno che la ragione economica non contempla. Al contrario, è nostra opinione che quei numeri siano orribili.

Che nessuna ragione economica debba prevalere sulla difesa e la protezione della vita umana minacciata da un nemico invisibile. Di qualsiasi vita umana, anche di quelle dei nostri vecchi che non devono essere trascurati in nome della ragione statistica che li vuole papabili per il camposanto più dei quarantenni e cinquantenni, a prescindere dal Coronavirus. È nostra sincera convinzione che anche i negazionisti, se avessero avuto l’occasione di vedere da vicino come soffre e muore un infettato da Covid-19, avrebbero cambiato idea a proposito dell’esistenza di una sorta di “Spectre” globale messa in piedi tra scienziati e politici di tutto il mondo per inibire a qualche assiduo frequentatore di giardini pubblici la passeggiata quotidiana. Occorreranno anni per rimettersi in piedi economicamente. Ma le cicatrici che hanno piagato la nostra esistenza in questi tempi bui non spariranno. Resteranno al loro posto, sui nostri corpi e nella memoria collettiva, a ricordarci che questa vita, per tanti aspetti meravigliosa e irrinunciabile, progredisce tenendosi aggrappata a un filo sottile. Che basta un agente patogeno insignificante per reciderla di netto.

Aggiornato il 29 maggio 2020 alle ore 10:32