Il brodo ideologico del taglio dei parlamentari

Pubblichiamo oggi il primo di una serie di cinque articoli scritti da Alessandro Giovannini, editorialista de L’Opinione e Docente ordinario di Diritto tributario all’Università di Siena, sulla necessità di votare “no” al prossimo referendum confermativo sul taglio del numero dei parlamentari in programma per il 20 e 21 settembre. Si tratta di una battaglia – anche se apparentemente di minoranza – che L’Opinione ha deciso di combattere in prima persona. E i motivi di questa scelta, già espressi nelle scorse settimane da un buon numero di nostri commentatori, risulteranno ancora più evidenti al termine di questa serie di brevi saggi, che si concluderà con la pubblicazione – in formato pdf – di un pamphlet più dettagliato sull’argomento, scritto dallo stesso Giovannini, che sarà disponibile sul sito internet de L’Opinione in forma assolutamente gratuita. Buona lettura, dunque, con l’augurio che (come è già accaduto più volte nel nostro Paese), una presunta minoranza possa trasformarsi presto in una sorprendente maggioranza (Andrea Mancia).

Il Parlamento è inutile: “Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno. La democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato, la rete è il futuro”. Parola di Gianroberto e Davide Casaleggio.

“La democrazia è un modello superato e i parlamentari vanno nominati con sorteggio”, parola di Beppe Grillo. “Noi crediamo nella democrazia diretta!”, dal programma elettorale del Movimento 5 Stelle.

Ebbene, senza inutili giri di parole, questa è la radice pseudo culturale del recente taglio del numero dei parlamentari, sul quale, taglio, saremo chiamati ad esprimerci col referendum confermativo il prossimo 20 settembre.

È un brodo ideologico gelatinoso, opaco, questo della riforma. Ed è anche il brodo nel quale sono affogati sperabilmente per perseguire finalità diverse i partiti che in Parlamento si sono accodati alla parata populista.

L’errore di questi ultimi, tuttavia, è ancora più grave, se possibile, di quello del Movimento e la loro responsabilità rimarrà scritta nelle pagine della storia: illudendosi di poter beneficiare anch’essi degli applausi del pubblico festante al passaggio delle majorette, non hanno saputo vedere oltre la parata, dando così la stura a un filone ulteriore di propaganda capace di far tremare vene e polsi per povertà culturale. E poi, accovacciandosi nel politicamente corretto, hanno tradito le loro origini che nella rappresentatività diffusa - si pensi alla doppia storia ereditata dal Partito Democratico o nel liberalismo si pensi ai partiti moderati di centrodestra trovavano il terreno più fertile.

Si dirà: la riforma non chiude le Camere, si limita a ridurne i componenti. È vero, la legge riduce, non elimina. Ma se non intendiamo prenderci in giro, è lampante che la riduzione ha l’obiettivo finale di comprimere forzatamente la democrazia rappresentativa: la riduzione del numero dei seggi è solo l’avvio di un processo articolato nel medio periodo. Il brodo ideologico del populismo vuole arrivare lì.

Le culture populiste hanno tutte il medesimo obiettivo: porre fuori gioco, in un modo o in un altro, prima o poi, il Parlamento, ridurlo “a un bivacco di manipoli”. Non hanno urgenza di chiuderlo: “Potevo sprangare il Parlamento. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto” (Benito Mussolini, discorso alla Camera dei deputati del 16 novembre 1922). Da lì a poco, come si ricorderà, arrivarono le leggi c.d. “fascistissime” e poi, alla fine, il Parlamento fu davvero chiuso, anche formalmente!

Ripeto: tutti i populismi, di destra e di sinistra, rivoluzionari o pseudo democratici, nati ad est o ad ovest, sono arrivati a sterilizzare, di riffa o di raffa, la rappresentanza parlamentare e le funzioni del Parlamento.

Vi è un famoso discorso che testimonia, proprio, come anche in Italia importanti pezzi del populismo rosso fossero ideologicamente strutturati in questo modo. È quello che pronunciò Amadeo Bordiga, cofondatore del Partito Comunista d’Italia, al II Congresso dell’Internazionale Comunista il 2 agosto 1920. Disse: “Il primo meccanismo borghese che deve essere distrutto è il Parlamento […] che deve essere sostituito dagli istituti dei Consigli operai perché in questo modo contiamo d’infrangere l’apparato democratico e di sostituirlo con la dittatura del proletariato”.

Ora, se nella storia è già accaduto, può accadere di nuovo, ripeterebbe profeticamente Primo Levi. Certo, in forme e modi diversi, anche profondamente diversi, specie nelle modalità, ma potrebbe senz’altro accadere di nuovo.

Qui sta il nocciolo referendario, è sulle ideologie amputatrici dei nuovi illusionisti che dovremo esprimere un “sì” o un “no”. Il resto è fumo negli occhi. Io voterò convintamente “no”.

(1/continua)

Aggiornato il 03 settembre 2020 alle ore 10:38