Crisi di Governo, Conte-nzioso con Renzi

In questi giorni continuano a scorrere fiumi di parole sotto i ponti della politica. Ponti che stanno affannosamente cercando di edificare, a quanto pare senza pilastri solidi capaci di saper fare superare l’ostacolo. E, in tal caso, idonei a reggere una maggioranza che si possa definire tale. Per taluni versi, sembra che non si voglia credere alla dura realtà dei fatti, non sembra essere chiaro agli occhi di molti. O, molto probabilmente, quei molti fanno finta di non vederla, cosa ancor più grave. La realtà è palese, possono girarla come gli pare, ma senza Matteo Renzi e la sua Italia Viva la coperta risulta essere troppo corta e si finirebbe inevitabilmente ad un’apparente soluzione del problema. Perché il nuovo gruppo al Senato, Europeisti-Maie-Centro democratico, non sposta di un millimetro la questione, i voti non bastano.

Stando così, ai fatti, appare chiaro che un nuovo Governo non potrà vedere la luce se si continua, in modo ostinato, a porre dei veti sul fattore “R” (leggasi Renzi). A meno che non si vada a delle nuove elezioni, cosa da escludere al momento, molti dei parlamentari non sarebbero rieletti a causa della legge che ne prevede la riduzione. Del resto, non sarebbe da escludere un aiutino da parte di qualche parlamentare di Forza Italia, magari conscio di un ultimo mandato, come è accaduto ancora una volta ieri, con il senatore Luigi Vitali proprio in quota azzurra. Certamente, quanto verificatosi deve far accantonare l’ipotesi che questo soccorso si tramuti in un apporto organico di tutto il movimento di Silvio Berlusconi, se non altro perché sancirebbe la spaccatura del centrodestra. Infatti, è bene ricordare che questo governa la maggioranza delle Regioni e Comuni dell’Italia. Rimane un’alternativa, obtorto collo, scegliere la via pur tortuosa di un Governo di unità nazionale che permetta di uscire dall’impasse.

In ogni caso, i Cinque Stelle, Liberi e Uguali e il Partito Democratico – per quest’ultimo in particolar modo non se ne comprende l’oscura ragione, almeno al momento – sembrano insistere sul nome di Giuseppe Conte come unica chance plausibile per ridare un Governo al Paese. Viene da chiedersi se davvero il presidente del Consiglio uscente sia la sola, indiscutibile, panacea per le sorti della nostra nazione, l’uomo della provvidenza. L’aut aut su Conte, per taluni versi, è anche comprensibile nell’ottica di un equilibrio, quindi di una tenuta, all’interno del M5s, che altrimenti rischierebbe una seria, inesorabile deriva, ancor peggiore di quella che già sta subendo, mettendolo così di fatto, ma solo momentaneamente, in sicurezza. Quello che però appare inspiegabile nella circostanza, almeno agli occhi di un attento osservatore, risiede nel fatto di come questa scelta possa essere stata abbracciata e fatta propria all’inverosimile anche dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Basterebbe che questi volgesse lo sguardo all’interno del proprio partito – parola questa oramai desueta, ma dato i risultati di questi ultimi tempi, forse bisognerebbe seriamente pensare di riabilitarla, almeno in essa vi era la presenza di una certa cultura politico-istituzionale – per scorgere dei profili qualificati per ricoprire l’incarico di premier, cercando così di garantire un adeguato livello di Governo e, allo stesso tempo, un punto di equilibrio credibile, tanto per dirla con le parole dello stesso Zingaretti.

Forse la chiave di lettura non marginale andrebbe interpretata così: dietro tale piano si nasconde il cercare di evitare che lo stesso Conte restituisca, in caso di un mancato appoggio, pan per focaccia, mettendo in campo un proprio partito ammaliato dal suono delle sirene dei sondaggi, che lo darebbero ad una percentuale del 10,2 per cento (fonte Emg). Ed erodendo, se non altro sulla carta, voti allo stesso Pd e ai Cinque Stelle. Pur trattandosi di un’ipotesi, rimane una delle spiegazioni meno distanti dalla realtà di queste ultime ore, altrimenti non ci sarebbe stato alcun motivo logico di una tale preferenza, soprattutto se si tiene conto dei rumors di malcontento levati proprio sul nome di Giuseppe Conte all’interno di una parte del Partito Democratico.

Certo è che le dichiarazioni al vetriolo su Matteo Renzi, rilasciate dapprima da Luigi Di Maio e poi da Alessandro Di Battista dei Cinque Stelle, non sembrano facilitare il lavoro di chi, nel silenzio, sta cercando di smorzare le tensioni in atto. E dimostrano sia la mancanza di capacità dialettica, sia di avere davvero a cuore le sorti dell’Italia. Anche perché il consenso di qualcuno, fino a prova contraria, si ottiene sulle idee e i programmi, non sulle promesse o incarichi. Ritornando ai fiumi e ai ponti succitati, è bene ricordare a qualcuno ciò che diceva Nikita Chruŝcëv: “Gli uomini politici sono uguali dappertutto. Promettono di costruire un ponte anche dove non c’è un fiume”. Già.

Aggiornato il 29 gennaio 2021 alle ore 09:35