Nota a margine: il lillismo

Il “lillismo”, inteso come filosofia politica e catodica di Lilli Gruber, costituisce il progressismo al tempo del Coronavirus. Costituisce? Sostituisce, forse. Il progressismo è in rotta, essendogli venuto meno il propellente ideologico della sinistra classica a base di lotta di classe, socialismo, sfruttamento capitalistico, eccetera. Lilli è alla moda, come il commercio equo e solidale. Il lillismo è femminismo allo stato puro. Il sinistrismo post-sinistra connatura il lillismo, che va accreditandosi come il pensiero-guida dell’élite mediatica. Ci avete fatto caso? Per trovare un comunista all’antica dovete cercarlo fra vecchi nostalgici del bolscevismo e la giovane intellighenzia che rumina Karl Marx come una giovenca.

Invece il lillismo è sincretistico. Sperimentati reazionari vengono esibiti da Lilli in vetrina, a riprova che la sua trasmissione è anche rigenerante. Occultati sotto maglioni dolcevita e gel per capelli, Lilli schiera disinvoltamente i suoi adepti contro questo e contro quello, indirizzandoli con spunti che ha concordato tra sé e sé, con il massimo dell’apertura mentale. Sbaglierebbe chi pretendesse di scorgere nel lillismo venature di politicamente corretto e di stantio modernismo. Il lillismo somiglia alle bolle di sapone. Fluttua nell’aria perché inconsistente. Bello da vedere. Cattura l’attenzione del pubblico, purché arcobaleno. Il lillismo vuol dire pure garantismo ma non troppo, giustizialismo salvo eccezioni, interventismo quanto basta, assistenzialismo ad occhi aperti, finanza pubblica senza frugalità, dirittismo a tutto spiano. Il lillismo è un surrogato. Perciò, come miscela sostitutiva, piace nel tempo in cui manca il prodotto principale.

Aggiornato il 02 febbraio 2021 alle ore 09:18