Se torna Di Pietro abbiamo toccato il fondo

Si sente in giro qualche voce sul ritorno alla politica attiva di Antonio Di Pietro che, per l’appunto, avrebbe offerto il “suo progetto aperto ai delusi del Movimento” e si è detto “felice di concedere il simbolo alla nuova componente… il progetto può rappresentare il punto di riferimento per chi non vuole piegare la schiena, sia chi fa parte della vecchia famiglia sia chi viene dalla famiglia dei cugini del Movimento”.

Al di là di qualcosa di criptico (piegare la schiena a chi?) il messaggio può bene illustrare il grado di decomposizione non soltanto del M5S ma di un intero comparto della nostrana politica non più ripresasi del tutto dal tritacarne giudiziario anti-partiti degli anni Novanta di cui Di Pietro – rieccolo – fu il simbolo. La sottolineata cuginanza con Beppe Grillo mostra per di più che il fondamento di uno e dell’altro resta il qualunquismo, e il ritorno di Grillo alle vecchie parole d’ordine conferma l’antica vocazione italiana per l’anti-politica di tutti i movimenti antisistema che “cambiano pelle” entrati a Palazzo, perché una volta entrati nel sistema sono costretti a trasformarsi, o come sta accadendo nei pentastellati, a tornare indietro.

Certo, le cose cambiano e sono cambiate: il discorso sulle mutazioni dipietresche si parallelizza, a volte anticipandole, con analoghe “rivoluzioni” (false) a meno che non ci i soffermi sulle svolte storiche di Lega e di Fratelli d’Italia, a loro volta con le premesse e le intuizioni berlusconiane di Forza Italia.

Ma ciò che si vede nello sfacelo del M5S è una sorta di lezione, di insegnamento e, per certi aspetti, di lascito che dimostra come senza una struttura partitica, senza un’organizzazione a tutti i livelli, senza una capacità se non addirittura una ragione che motivi il senso dello stare insieme, nessuna forza politica moderna è in grado di svolgere il suo alto compito di rappresentanza per dare soluzione ai problemi della mitica “gente”, evocata quotidianamente proprio dagli stessi movimenti nuovi autoproclamatisi gli unici rappresentanti del popolo.

Il panorama di oggi non dovrebbe consentire il ritorno del dipietrismo tout court non soltanto per la centralità politica occupata da maggioranza (Matteo Salvini) e da opposizione (Giorgia Meloni), ma per la presenza di un comparto mediatico che è a sua volta un partito per dir così a latere ma non disposto a fare sconti. Purché la potenza dei media sia al servizio di disegni ampi, coraggiosi, aperti, sfuggendo al rischio, sempre presente, della prevalenza di quel qualunquismo di cui Di Pietro, dietro paroloni e promesse di finto moralismo, e con l’aiuto dei post-comunisti, si servì per distruggere partiti e politica in nome dell’anti-politica salvo precipitare a sua volta nell’abisso della stessa. Da cui tenta di uscire, non a caso, implorando proprio quella Polis che si era illuso di “cambiare dalle radici”.

Aggiornato il 06 luglio 2021 alle ore 09:16