Il silenzio intersezionale delle “nuove femministe”

Il silenzio delle femministe italiane sui fatti di Capodanno a Milano è imbarazzante, ma non suscita eccessiva sorpresa. Non sorprende perché si è già verificato in tutti i casi in cui ad esser autori di violenze sulle donne sono uomini non occidentali, in particolare se mediorientali e musulmani. Sono state silenti ed indifferenti, tra l’altro, persino dopo la sparizione ed il probabile omicidio di Saman Abbas, la ragazza pakistana di 18 anni, residente in Emilia, scomparsa e probabilmente uccisa dai suoi parenti solo perché non voleva sposare un cugino scelto dai genitori e voleva sposare chi voleva lei.

Tutti ormai hanno capito che le nuove femministe si mobilitano, menano alte urla e si strappano i capelli e le vesti solo quando ad essere autori delle violenze sulle donne sono uomini occidentali. Quello che non è ancora chiaro a tutti è che quello che spiega i silenzi ed il doppio standard delle nuove femministe è che esse, influenzate dal “nuovo femminismo” estremista americano (e in parte anche francese) sono ormai orientate solo a condurre una guerra distruttiva in teoria al maschio in quanto tale ed al patriarcato, ma in realtà solo al maschio occidentale, al maschio bianco e, per suo tramite, alla cultura ed alla civiltà occidentale.

Il nuovo femminismo teorizza, infatti, una lotta “intersezionale” e di fatto è confluito nel pacchetto di ideologie del politicamente corretto che hanno un solo denominatore comune: quello della lotta alla cultura occidentale. La donna sarebbe incrocio di tutte le discriminazioni e la sua oppressione “sistemica” nella società occidentale sarebbe superabile solo se le femministe si alleano alle altre minoranze oppresse dalla stessa società, tra cui le minoranze etniche, gli immigrati, gli omosessuali, i transessuali e gli ambientalisti radicali; e quindi solo se si uniscono alla lotta al razzismo, al maschilismo, al patriarcato, al fascismo ed al produttivismo occidentale distruttivo dell’ambiente che sarebbero – a loro avviso – tutti “sistemici”, e cioè inscritti nei geni stessi della società occidentale.

È una visione che si inscrive nella tradizione del pensiero rivoluzionario progressista perché teorizza che solo quando della civiltà occidentale sarà stata fatta tabula rasa, tutte le oppressioni e le discriminazioni, tra cui quella femminile, saranno eliminate.
“Ecco allora che i loro nuovi slogan diventano frasi del tipo ‘migranti non lasciateci sole con i fascisti’” – ha dichiarato Laura Tecce, autrice del libro “Femministe 2.0”, che ha aggiunto: “Le nuove femministe sbagliano bersaglio: se la prendono con le nostre tradizioni occidentali per questioni marginali e ridicole come quella terminologica, salvo poi alcune di loro assecondare società che impongono il velo, facendosi fotografare loro stesse con il velo addosso”.

Le nuove femministe rischiano cioè così di allearsi con i loro nemici più radicali che aggrediscono le donne e con le culture più ostili alle donne stesse.

Tra le culture ostili alle donne le femministe della vecchia generazione annoverano quella del gender, sostenuta in particolare dalle lobby dei transessuali (non anche da quelle degli omosessuali) ed in particolare la rivendicazione della autoidentificazione di genere. Essa rappresenta infatti non solo una visione antiscientifica che crede di potersi contrapporre alle leggi della biologia, ma costituisce una seria minaccia identitaria alla stessa identità della donna. “Se i trans fisicamente maschi sono donne, noi donne cosa siamo?” – dicono con ragione le femministe “tradizionali”.

I conflitti tra le femministe e le lobby dei transessuali (non anche con quelle degli omosessuali) sono già emersi negli Usa e in Francia. Sono emersi anche in Italia nel corso del dibattito sul Ddl Zan. Quest’ultimo è stato per ora affossato anche per l’opposizione delle femministe liberali della vecchia generazione proprio perché prevedeva l’autoidentificazione di genere, sostenuta invece dalle estremiste del nuovo femminismo. Queste ultime sembrano non essere coscienti che la loro guerra al maschio bianco rischia di diventare una guerra anche alla donna bianca. Il nuovo femminismo sfocia dunque in un razzismo anti-bianco, anzi in un auto-razzismo in nome della lotta alla cultura occidentale e all’intero Occidente. Ma proprio questo è il vero obiettivo del nuovo femminismo “rivoluzionario”.

Aggiornato il 21 gennaio 2022 alle ore 12:42