La demagogia ai governi non fa mai difetto

L’articolo 27 della legge di bilancio: senza testo, ma intitolato “Contributo di solidarietà temporaneo”

Da quando esiste la previdenza pubblica, cioè obbligatoria e di fatto monopolizzata dagli enti previdenziali, le pensioni sono sempre state considerate, dal sentire comune e dalle sentenze dei giudici, “una retribuzione differita”. Questa “retribuzione differita” viene erogata prelevando tributi, sotto forma di contributi, dalla retribuzione in atto. E qui cascano gli asini peronisti, giustizialisti, nazional-socialisti, i quali, pur ragliando contrapposti a destra, al centro, a sinistra, pari sono. Infatti, tanto i contributi (l’entrata) quanto le pensioni (l’uscita) finiscono nelle mani delle maggioranze parlamentari aventi il potere di determinare gli uni e le altre. Al popolo, ulteriore paradosso, i giustizialisti nostrani riluttano a spiegare che, metodo retributivo o metodo contributivo, le pensioni non sono il frutto di un risparmio accumulato (salva la marginale previdenza integrativa) ma l’insufficiente partita di giro consistente nel pagare le pensioni di questo mese con i contributi di questo mese, con in più, essi non bastando, l’integrazione statale proveniente dall’erario e dunque dai tributi di tutti, che perciò la pensione la pagano “pro quota” due volte.

Finché il sistema previdenziale pubblico è stato in equilibrio, cioè finché i contributi incassati oggi sono stati maggiori o uguali alle pensioni erogate adesso, tutti i partiti hanno largheggiato nell’erogare pensioni, soprattutto a chi non versava contributi o ne versava pochi o addirittura soltanto “figurativi”. Hanno così creato una giungla di privilegi che, essendo diffusi tra categorie di milioni d’individui, sono considerati dai peronisti alla stregua di diritti incontestabili per ragioni elettorali, mentre i diritti incontestabili dei pochi, per le stesse ragioni, vengono giudicati odiosi privilegi. Questi stessi partiti giustizialisti, peronisti, nazional-socialisti lasciano poi intendere che il metodo contributivo sia una sorta di criterio di intrinseca giustizia, mentre è solo uno dei modi di calcolare quanto concedere ai pensionati, tant’è che è stato introdotto non per equità ma per decurtare le uscite previdenziali.

Il vigente sistema pensionistico costituisce il prodotto della stratificazione di leggi e leggine accumulatesi nel tempo sotto la spinta di contingenti maggioranze e di opposizioni colluse. Tra i suoi molteplici difetti, il peggiore non viene mai evidenziato. Ed è il seguente: i pensionati non sono proprietari della loro pensione perché i soldi sono in mano pubblica. Da qui la protervia di governanti e parlamentari livellatori che, come prìncipi esentati dalla vera giustizia e dal vero diritto, ardiscono di comportarsi con le pensioni come se ne fossero loro stessi i proprietari assoluti. L’intrinseca superiorità, morale e giuridica, del sistema previdenziale privatistico consiste nel sottrarre la pensione dalle grinfie dei politici e nel preservare l’indipendenza dei pensionati al riparo da restrizioni, costrizioni, vessazioni delle maggioranze parlamentari. Assistere i bisognosi è tanto doveroso quanto compatibile con la libertà dell’individuo di garantirsi da sé una sicura vecchiaia senza la paura che un Parlamento, seppure benintenzionato, gliela insidi e renda incerta.

Il “Contributo di solidarietà” sulle pensioni, definite d’oro come pretesto per depredarle, non è né volontario né condiviso, ma un vero tributo istituito (“temporaneo” di nome ma durevole di fatto) contro individui particolari da tassatori in veste di Robin Hood, incuranti perfino dell’incostituzionalità decretata dalla Consulta.

Aggiornato il 26 novembre 2022 alle ore 10:28