Il paradosso democratico

La disaffezione dei popoli verso la democrazia in cui vivono

Due notizie quasi contemporanee colpiscono chi ha a cuore la democrazia liberale. All’apparenza sembrano scollegate. Ma, a ben guardare, mettono in luce due facce dello stesso problema ed evidenziano la paradossale disaffezione verso quel libero sistema democratico che nel ventesimo secolo è stato difeso o ottenuto con un mare di sangue proprio dai popoli che ne avevano goduto o anelavano a goderne. La prima notizia viene dal sondaggio Ipsos sulla soddisfazione circa il funzionamento della democrazia in Svezia, Polonia, Francia, Regno Unito, Italia, Stati Uniti, Croazia. Esclusa la Svezia, l’unica nella quale il 58 per cento dei cittadini interpellati si dichiara soddisfatto e solo il 20 per cento insoddisfatto, nelle altre nazioni la percentuale dei soddisfatti scende nell’ordine dal 34 per cento al 19 per cento mentre la percentuale degli insoddisfatti sale dal 48 per cento della Polonia al 57 per cento degli Stati Uniti. Rispetto a cinque anni fa, la situazione è cambiata in meglio, nell’ordine delle nazioni, dal 23 per cento al 4 per cento degl’interpellati, mentre è peggiorata dal 37 per cento al 73 per cento, ma non nello stesso ordine. Quale la posizione dell’Italia nel sondaggio? Il quinto posto in entrambe le graduatorie. Gl’Italiani sono soddisfatti al 24 per cento e insoddisfatti al 51 per cento. Rispetto a cinque anni fa, la situazione è migliorata per il 6 per cento e peggiorata per il 61 per cento.

La seconda notizia è frutto di una ricerca del meritorio Ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo la quale in Italia vigono 160mila leggi, dieci volte il numero complessivo (15.500) di quelle in Francia, Germania, Regno unito. Il legame tra le due notizie, che riportano elementi politici intrecciati e determinanti, è rappresentato dal fatto che la democrazia liberale risulta soddisfacente soltanto se la politica (le leggi, gli atti di governo, i provvedimenti amministrativi, le autorità istituzionali, i soggetti sociali, la condotta dei semplici cittadini) permane, in linea di massima, coerente con la natura della “costituzione della libertà”, la quale è basata su capisaldi inderogabili sotto pena della sua degenerazione parziale o esiziale, come mi dilungavo in un precedente articolo (“La crisi della democrazia liberale”, www.beemagazine, 13 dicembre 2023). Infatti, il “governo rappresentativo” è fatto di libertà personale, imperio del diritto, poteri divisi e limitati, Parlamento rappresentativo, proprietà privata, economia di concorrenza, responsabilità individuale, umanesimo vitale, e di tutte le altre cose che ne derivano necessariamente.

Per stare innanzitutto alla ricerca della Cgia, 160mila atti normativi (71mila nazionali e 89mila regionali e locali) non possono non interferire o, peggio, coartare la libertà personale, la proprietà privata, l’economia di concorrenza, la responsabilità individuale, a tacere che scambiare l’imperio del diritto con l’imperio della legislazione è una follia tipica del positivismo giuridico. Le procedure, a cui sottopone i cittadini questa pania di norme, comportano per loro altresì un costo che la Cgia quantifica in 103 miliardi l’anno. Quale individuo, pur vivente in uno Stato democratico con un accettabile grado di autonomia, può essere soddisfatto e della democrazia e della libertà, se deve districarsi in una giungla di adempimenti costosi e defatiganti per intraprendere una qualsiasi attività economica alla quale pure ha sacrosanto diritto oppure per beneficiare semplicemente delle posizioni conferitegli dal suo status di cittadino?

Per stare poi al sondaggio Ipsos, non vengono indagate tutte le cause del malcontento, indagine del resto impossibile perché sono astrattamente infinite e non completamente spiegabili. Il sondaggio pone agl’intervistati soltanto due domande abbastanza anodine, chiedendo “se l’economia nel Paese funziona a beneficio di tutti” oppure “se l’economia è truccata a vantaggio dei ricchi e dei potenti”. Riguardo a domande così formulate resta confermato che i sondaggi, parlando in generale, riescono ad assomigliare ai somari tirati a cavezza dal padrone. Detto altrimenti, l’esito di un sondaggio dipende dalla formulazione della domanda. Tuttavia, nel sondaggio Ipsos, alla prima domanda le percentuali salgono dal minimo del 9 per cento in Italia al massimo del 49 per cento in Polonia, mentre alla seconda domanda dal minimo del 34 per cento in Polonia salgono al massimo del 72 per cento in Italia. Insomma, un sesto degl’Italiani ritiene che l’economia avvantaggi tutti; al contrario, i due terzi credono che l’economia sia un imbroglio a favore dei ricchi e dei potenti. Un popolo che nutre tali convinzioni è pure troppo se soddisfatto al 24 per cento della democrazia in cui vive.

Le due notizie confermano che l’Italia, nei decenni passati, è stata ridotta a sistema di democrazia malata e libertà complicata. Per rivitalizzare il “governo rappresentativo” sono indispensabili almeno due rimedi: primo, restituire ai cittadini il diritto concreto di candidarsi e di scegliere personalmente i parlamentari in carne ed ossa; secondo, regolamentare il “metodo democratico” interno ai partiti per modo che “concorrere a determinare la politica nazionale” (articolo 49 della Costituzione) non resti sulla Carta, in senso metaforico e in senso reale. Dopo di che avremmo almeno sottratto al popolo il destro di accusare gli eletti di pensare solo a sé stessi dipendendo dall’oligarchia partitica ed i potentati di manipolare incontrollati l’economia, truccandola a loro vantaggio. Portare anche gl’Italiani al grado di soddisfazione degli Svedesi, che al 58 per cento approvano la loro democrazia, non è impossibile, magari seguendo le indicazioni suggerite al buon senso dalle due notizie, che di per sé sembrano allarmanti per le sorti della nostra democrazia e forse del modello stesso della democrazia liberale.

Aggiornato il 12 gennaio 2024 alle ore 11:21