Dal cosiddetto “caso Scurati” ai cosiddetti “casi oscurati” il passo è breve.

Il caso Scurati ha suscitato le indignate proteste di tutto il mondo dell’intellighenzia progressista italiana che ha denunciato la vicenda come esempio di censura, di fascismo, di intolleranza.

Non si intende certo in questa sede discutere di quel singolo caso, sebbene certamente può suscitare qualche perplessità che un minuto di antifascismo possa e debba essere pagato sulla rete pubblica per un valore di 1.800 euro, in quanto se è vero antifascismo dovrebbe essere un valore privo di prezzo, e se è vero che ha un prezzo è allora privo di ogni valore, per cui non si tratta di censura, ma di scelte economiche interne all’azienda televisiva pubblica.

Incidentalmente, sarebbe anche opportuno chiedersi se si è inaugurata una nuova era, cioè quella dei tariffari ideologici: venti minuti di antinazismo quanto dovrebbero essere retribuiti? Quindici minuti di anticomunismo che prezzo hanno? Mezz’oretta di antifranchismo a quanti euro corrisponde?

Tralasciando simili logiche, per pietà sia dell’intelligenza mortificata da coloro che le adottano, sia della memoria dei morti che le ideologie totalitarie a milioni hanno mietuto nel corso del XX secolo, è bene porre mente ad altro, cioè alla schizofrenica sensibilità democratica dell’intellighenzia progressista di questo Paese.

In primo luogo: tutti coloro che oggi si scandalizzano perché la maggioranza avrebbe impedito alla minoranza di esercitare il diritto di parola, dove si trovavano appena un triennio or sono?

Sarebbe bene ricordare, infatti, che allorquando Mario Monti in data 27 novembre 2021 esortava a ridurre la democrazia sui mezzi di comunicazione in tema di pandemia, alla sua linea si adeguavano con solerzia e disciplina quasi militare, in data 3 e 4 dicembre 2021, rispettivamente, Enrico Mentana, direttore del Tg La7, e Monica Maggioni, direttore del Tg1, i quali non a caso ebbero ad annunciare che non avrebbero più dato alcuno spazio ai cosiddetti “no-vax” nei loro telegiornali.

La presunta censura del caso Scurati riguarda un singolo, nel caso della pandemia invece si trattava di decine di migliaia di cittadini italiani, alcuni anche molto preparati e competenti, ma nessuno degli odierni indignati osò profferire verbo all’epoca, dovendosi tutti mostrare allineati e coperti con l’ortodossia dell’ideologia pandemisticamente corretta.

Viene dunque da chiedersi: la libertà di parola può essere tutelata e rivendicata a fasi alterne? Può essere attivata o disattivata in base alla condivisibilità più o meno estesa del contenuto del messaggio che essa garantisce? Chi decide e con quali criteri cosa può essere detto pubblicamente e cosa no? In una democrazia compiuta non sono tutte le opinioni uguali davanti alla legge?

In secondo luogo: proprio l’intellighenzia progressista italiana che denuncia la presunta censura di Scurati è la stessa che il più delle volte esercita o spera che si esercitino forme ben più radicali di censura per tutta una vastissima serie di argomenti di ogni tipo (storico, etico, filosofico, giuridico, ecc.) per cui non tollera alcuna possibilità di dibattito o confronto con voci dissonanti da ciò che la medesima ortodossia progressista ha sancito essere la verità incontestabile e assoluta.

Tra i vari temi per cui l’intellighenzia progressista impedisce il dibattito si ritrovano vari argomenti di cui seguono soltanto alcuni esempi chiarificatori: l’equivalenza tra comunismo e nazismo; l’esistenza delle foibe; la persecuzione antiebraica nei Paesi del cosiddetto blocco sovietico; l’antisemitismo radicato anche in una parte del pensiero progressista nazionale e internazionale; la legittimità etico-giuridica dell’aborto; le unioni differenti dall’unione monogamica tra uomo e donna; l’ideologia gender; e così via.

Come può, dunque, l’intellighenzia progressista rivendicare per se stessa quella libertà di parola che nega agli altri?

In terzo luogo: con tutta evidenza, in Italia, il concetto di libertà in genere e quello di libertà di pensiero in particolare, per di più nel modo pieno e sostanziale con cui è stato sancito e tutelato dall’articolo 21 della Costituzione, è ancora qualcosa di estremamente sconosciuto e largamente incompreso, specialmente da parte di coloro che se ne autoproclamano chiassosi difensori senza averne colto l’essenza e la portata reale.

La libertà di parola, bisognerebbe tenere a mente da parte di tutti, infatti, non soltanto garantisce la possibilità di dissentire, ma soprattutto presuppone – se rettamente intesa, cioè nel modo autentico proprio di un ordinamento giuridico e politico tipico di uno Stato di diritto – la necessità della difformità di vedute.

Nello Stato di diritto, del resto, nessuna opinione può essere silenziata poiché nessuna può essere ritenuta deteriore rispetto a qualsiasi altra, differentemente dallo Stato totalitario in cui vige una versione ufficialmente sancita su ogni aspetto della realtà.

Nello Stato totalitario, infatti, esiste una visione ufficiale della storia, del diritto, e di tutto ciò che il cittadino deve o non deve pensare. Nello Stato totalitario - ecco appunto perché esso è totale - l’ideologia ufficiale deve essere metabolizzata dalla coscienza di tutti e di ciascuno con l’aiuto e l’opera della classe dell’intellighenzia, appunto, come, per esempio, gli scrittori che non a caso Stalin definiva come “ingegneri di anime”.

Nello Stato totalitario – che anche per questo è totale – la realtà nella sua interezza è definita dalla élite ideologica che detiene ed esercita il potere e non si ammette il pensiero diverso perché significherebbe ammettere che la realtà possa essere diversa da ciò che gli organi ufficiali hanno sancito che sia.

L’aspetto più preoccupante, tuttavia, non è tanto che vi possano essere tendenze e spinte totalitarie, spesso non avvertite dai più – come accaduto appunto durante la pandemia – ma che taluni rivendichino per se stessi e soltanto per se stessi – come per l’appunto quasi quotidianamente dimostra l’intellighenzia progressista – quella libertà che nega a tutti gli altri.

Ecco cosa distingue una opinione pura da un indottrinamento ideologico, ed ecco un criterio per poter distinguere, allora, cosa è vero e cosa, invece, è falso poiché falsato dalla sovrastruttura ideologica.

In conclusione, ancora una volta, l’intellighenzia progressista italiana ha rivelato la sua natura strettamente ideologica che come tale è avulsa dalla realtà: si spera soltanto che, diversamente da quanto accaduto nel generalizzato sonno dogmatico della pandemia, almeno questa volta i più rimangano desti e immuni dai fumi oppiacei che esalano dalle opinioni, sbagliate in merito e false in metodo, ma legittime che l’intellighenzia progressista italiana propina ogni giorno alla pubblica attenzione sia sul caso Scurati sia su tutto il resto.

Aggiornato il 23 aprile 2024 alle ore 11:31