Dalle urne vuote nasce la nuova legge elettorale

“Elettori cercansi” è il cartello da appendere sui portoni delle istituzioni politiche rappresentative. Diminuiscono i votanti. Ad ogni rinnovo delle rappresentanze democratiche, dal Parlamento in giù, il corpo elettorale, già in via di dimagrimento per la riluttanza degl’italiani a generare figli, mostra sempre più scarso interesse alle sorti degli organismi che nondimeno decidono della sua stessa sorte. Il fenomeno, nonostante le mille ipotesi sociologiche e politologiche prospettate da tempo, sembra tuttavia inspiegabile, anche perché dal voto dipende largamente la vita materiale e dunque spirituale degli elettori e dei loro familiari ancora privi dell’elettorato.

Dopo le tre o quattro giornate che i media dedicano parossisticamente a dissezionare i risultati, impegnandovi analisti che vanno dai matematici ai sondaggisti, dagli psicologi ai comunicatori, gli argomenti che tengono banco restano solo due: la riforma elettorale e la stabilità governativa, argomenti peraltro connessi. E si spiega. Tutti i risultati elettorali, dalle città alle regioni, interessano, di fatto, nella misura in cui evidenzino tendenze replicabili a livello nazionale, atteso che solo gli ingenui e gli illusi son rimasti a credere che il partito di un sindaco o di un governatore faccia una differenza sostanziale nell’amministrazione di una città o di una regione. In ambito locale contano gli uomini e le donne al comando, per quanto i partiti producano sforzi propagandistici per accreditare differenze epocali tra i rispettivi programmi.

In ambito nazionale, no. Gl’indirizzi politici sono vitali sia per la politica interna che per la politica estera. Diventa essenziale il modo di scelta dei governanti, a cominciare dal capo del governo. In Italia è venuta a consolidarsi la tradizione, non dico la consuetudine, di riformare la legge elettorale a ridosso delle elezioni politiche generali, con lo scopo esplicito, così dichiarano, di assicurare la governabilità, espressione o troppo vaga o troppo ambigua. Governare per che cosa? Stabilità pregio in sé? Lasciamo perdere che la stabilità è un valore e un obbligo della legge elettorale, non dei governi. La fregola che agita i partiti ha meno a che fare con l’afflato patriottico per le sorti del Paese che con gli interessi alla perpetuazione della forza parlamentare.

I partiti sarebbero più credibili, o meno incredibili, se almeno dichiarassero di voler cambiare la legge elettorale per assicurare davvero, per quanto possibile, la rappresentatività del Parlamento piuttosto che la governabilità del sistema, la quale dipende pure da tanti altri elementi, umani, politici, economici. E, come suddetto, non costituisce un bene in sé. La legge elettorale, in soldoni, è un meccanismo per tramutare i voti dell’urna in seggi delle Camere, per modo che i secondi corrispondano ai primi alla meno peggio. I sistemi elettorali sono tanti e complessi al punto da rappresentare, anche nelle università, una disciplina autonoma. Una cosa è certa: la botte piena e la moglie ubriaca nessun sistema può garantirla. Ma ogni sistema dovrebbe assicurare in fatto, non solo in diritto, che l’elezione consista davvero (eligere = scegliere) nel potere di selezionare il candidato in carne ed ossa, mettendo l’elettore nella condizione di valutarlo e sceglierlo a ragion veduta in rapporto di causa ed effetto tra voto ed elezione, facilitando e semplificando al massimo la candidabilità e senza odiose discriminazioni tra partiti insediati e aspiranti ad esserlo.

La disaffezione verso l’esercizio del “governo rappresentativo” ha cause diverse e variamente influenti. Tuttavia, per Costituzione la sovranità appartiene al popolo, che la esercita principalmente nella forma elettorale. Al popolo glielo assicurano in ogni occasione, dicendogli che il massimo della sovranità consiste nello scegliersi direttamente il governo, mentre non gli lasciano scegliere direttamente i parlamentari. Se poi il popolo eleggesse al contempo il Parlamento e il Governo, magari con unica scheda, compirebbe un atto autolesionistico contro la sua stessa sovranità, sotto l’apparenza di esercitarla il doppio.

Aggiornato il 26 novembre 2025 alle ore 10:50