Il sonno della ragione genera mostri è il titolo di un’acquaforte realizzata nel 1797 da Francisco Goya. Lo prendiamo in prestito per dimostrare che qui da noi il buonsenso ha chiuso bottega ed è andato in ferie. Parliamo della follia in scena nelle aule parlamentari a proposito della modifica della legge sulla violenza sessuale. Che diamine stanno combinando i nostri rappresentanti politici? Si sono bevuti il cervello per stare in linea con le mode del politicamente corretto? E anche quelli del centrodestra sono mica impazziti per correre dietro alle più sconcertanti bizzarrie progressiste in fatto di regolazione dei rapporti tra i sessi?
I fatti. Lo scorso 19 novembre è stata approvata alla Camera dei deputati la proposta di legge, prima firmataria Laura Boldrini, recante: “Modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso”. La nuova formulazione del testo dell’articolo stabilisce che: “Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità ovvero induce taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.
La novità sta nell’introduzione dei requisiti della libertà e dell’attualità nella determinazione del consenso al compimento dell’atto sessuale. Che detta così sembrerebbe una cosa normale, financo banale: è ovvio pensare che un rapporto sessuale lo si abbia con chi ci sta e non forzando la volontà di chi non ci sta o non ci starebbe se fosse libera – o libero, perché no? Succede anche al contrario – di scegliere. Ma ciò che prevede la modifica della legge vigente, se venisse approvata in via definitiva, è qualcosa che sfonda il muro della demenzialità per atterrare nella terra incognita dei paradossi più assurdi. Non siamo giuristi e perciò ci asteniamo dall’impiccarci a una discussione in punta di diritto, ma siamo uomini di mondo pur non avendo fatto i canonici tre anni di militare a Cuneo (come avrebbe detto il mitico Totò). Da come è scritta la norma viene fuori che il requisito dell’attualità del consenso non si limiti a un generico “prima”, ai comportamenti fattuali (bisogna metterci dentro anche gli sguardi, i sorrisi, gli ammiccamenti, i gesti furtivi, i WhatsApp?) che prefigurano e preparano l’inverarsi di un atto sessuale, ma si spinge fino al “durante” la realizzazione di una performance sessuale.
Altro che coitus interruptus, siamo al consensus interruptus! Se, nel più bello di un rapporto sessuale, la donna dice: “No, basta!”, cioè revoca il consenso all’atto sessuale e il partner non si ferma, non gira l’interruttore che interrompe il circuito degli ormoni e dei neurotrasmettitori, scatta il codice penale. Ma ce la vedete la scenetta in tribunale? “Signor giudice, l’imputato non si è fermato all’alt”, e il giudice che chiede: “Dei carabinieri?” “No dell’amica, a letto”. Giovanni Boccaccio si sganascerebbe dal ridere a sentire una roba del genere. Invece, è questione seria, maledettamente seria. Già, perché questo obnubilamento della ragione conduce dritto all’inversione dell’onere della prova. Non sarà più la presunta vittima a dover dimostrare con qualche straccio di prova di aver subito una violenza, ma sarà il malcapitato a dover provare la sua innocenza a fronte di un’accusa apodittica. Basterà che la presunta vittima dica: gli avevo detto di smettere, e lui si prende una condanna dai sei a dodici anni di reclusione. Qui nessuno mette in discussione il principio sacrosanto che le donne vadano difese dal rischio di subire violenza sessuale, ma ci deve essere un limite di ragionevolezza, oltre che di decenza, in ciò che il legislatore fa per assicurare quel principio di civiltà.
E poi, da quando è ritenuto salutare che lo Stato entri in camera da letto? Non basta che sia già dappertutto? Alla faccia della libertà! Certe cose neanche il regime fascista ebbe mai lo stomaco di imporre. Non si tratta di “Stato etico” quanto piuttosto di “Stato guardone”. Se la modifica di legge passasse, cambierebbe repentinamente il costume degli italiani nelle relazioni intergenerazionali. Una volta i genitori, riguardo al disvelamento dei misteri dell’amore, si dividevano i compiti. Quando i figli raggiungevano l’età delle pulsioni sentimentali le madri provvedevano a spiegare alle figlie femmine i fatti della vita e altrettanto facevano i padri con i figli maschi. In particolare i padri stavano lì, tra l’imbarazzato e l’orgoglioso, a impappinarsi con le parole per suggerire “ex cathedra”, e sulla base di un’esperienza più millantata che effettivamente vissuta, ai propri figlioli come gestire la sessualità nel modo giusto, più sicuro e più rispettoso per la partner.
Oggi ce la immaginiamo la scena? Il padre che dice al figlio: “Mi raccomando se fai sesso con la tua ragazza registra tutto col telefonino, non si sa mai”. A tanto la demenza politica ci sta portando, a pensare di procurarsi delle prove – videofilmati, con i quali magari inondare i social? – per non correre rischi, visto che l’astrusità dell’attualità permanente del consenso può funzionare da giustificazione per comportamenti non propriamente specchiati da parte delle donne. “Signori della corte faccio rispettosamente osservare che quel no pronunciato dalla presunta vittima con voce aspirata era un oh di compiacimento. Perciò, vi chiedo di assolvere il mio assistito per non aver commesso il fatto, o meglio per averlo commesso con il consenso sospirato della vittima”.
Un papà che scopre la propria figliola a letto con il ragazzo? “No, papà è lui che mi ha violentato, io non volevo”. Un marito che becca la moglie con l’amante? “Amore, ti giuro sono innocente, io ero qui per parlare della crisi russo-ucraina e lui invece mi è saltato addosso”. In fondo, per quelli avanti con gli anni sarebbe un bel amarcord tornare ai tempi della commedia erotica all’italiana e a Grazie zia, il cult che ha formato la coscienza sentimentale di una generazione di connazionali mezzi imbranati. Ma l’ordinamento giuridico è una cosa seria e non ci si può scherzare maneggiandolo con le lenti deformanti della morale di Stato. La proposta nel frattempo è passata al Senato per l’approvazione definitiva, dove ha assunto la numerazione “Atto Senato numero 1.715”. Per fortuna, il gruppo della Lega, mostrando un minimo di lucidità probabilmente indotta dalla presenza tra le proprie fila dell’avvocato senatore Giulia Bongiorno, ha chiesto di ridiscutere la norma e, semmai, di riscriverla in modo più sensato e realistico evitando, se possibile, di farsi ridere dietro da mezzo mondo.
Il nostro auspicio è che ciò accada; che i nostri rappresentanti politici rinsaviscano. Difendere la libertà delle donne è un sacro dovere, ma non è in questo modo ridicolo che la si difende. Non è portando lo Stato ad arbitrare il rapporto sessuale in camera da letto, neanche fosse un incontro di wrestling, che si serve la causa della libertà delle donne; non è spingendo gli uomini a videoregistrare i loro momenti intimi con le donne allo scopo di procurarsi preventivamente le prove della propria innocenza, che si serve la causa del diritto. E non si fa giustizia facendo strame del principio che debba essere sempre e comunque l’accusa di colpevolezza a essere provata oltre ogni ragionevole dubbio e non la difesa ad essere tenuta a dimostrare la propria innocenza. Lo Stato di diritto non è un’opzione facoltativa da azionare a giorni alterni. O ci si crede sempre o lo si nega. Basta dirlo. Non è così “compagni”?
Aggiornato il 28 novembre 2025 alle ore 13:58
