Insomma, signori! Cos’è tutto questo frignare su Donald Trump che odia l’Europa e ama la Russia; che non ci considera mentre è pronto a sacrificare l’Ucraina sull’altare dell’amicizia con Vladimir Putin; che è un autocrate al pari dei suoi degni compari russi e cinesi i quali – sia detto per inciso – governano di fatto il mondo? Noi europei, vogliamo una buona volta scendere dalle nuvole, dalle quali comodamente pontifichiamo, e prendere atto della realtà? Magari per scoprire che è dura. Sai che novità! Da quando il vivere quotidiano è una passeggiata di salute? Forse nelle favole, e non sempre. Forse c’è stato un tempo in cui è stata coltivata l’illusione collettiva che il Vecchio continente – il luogo nel quale i popoli si sono scannati per millenni – potesse trasformarsi nel paradiso terrestre descritto nelle Sacre scritture. Per non dire della tragica menzogna sulla quale ci si era messi tutti d’accordo e cioè che con l’avvento dell’Unione europea i nazionalismi sarebbero scomparsi definitivamente. Che crudele inganno! Gli Stati Uniti d’Europa avrebbero potuto avere una chance se a guidarli fosse stata una nazione forte, presumibilmente la Germania.
E negli anni di Angela Merkel effettivamente si è andati vicini alla “germanizzazione” del continente, quando come nella fattoria degli animali di George Orwell, Berlino imponeva agli Stati partner (o sudditi?) il rispetto di regole comunitarie che per prima lei infrangeva; o quando obbligava l’Italia ad abbandonare il progetto di costruzione del South Stream, il gasdotto che dalla Russia avrebbe dovuto portare il gas fino in Italia a prezzi competitivi, mentre continuava a pompare allegramente materia prima energetica dal rubinetto russo attraverso le condotte del Nord Stream. E, per non farsi mancare niente, seppure in piena crisi diplomatica con Mosca, la Berlino “caput Europae” non disdegnava di raddoppiare la linea di rifornimento diretto attraverso l’attivazione del Nord Stream 2. Ci sono voluti i sabotatori inviati probabilmente da Kiev su input di Washington a far saltare il gasdotto rompendo il giocattolo a Berlino. Sarà un caso se, da quando l’apparato industriale tedesco non può approvvigionarsi di gas russo pagato a prezzi irrisori, l’economia tedesca è andata a picco? E i francesi? Mai sarebbe immaginabile uno Stato unitario europeo in cui non fosse Parigi a comandare.
E poi dicono che se l’Unione è divisa su tutto e non riesce a darsi un futuro unitario la colpa sia di Viktor Orbán e della piccola Ungheria. Non siate ridicoli! Giusto per rinfrescare la memoria agli smemorati, quando il 29 ottobre 2004 a Roma si tentò di dare una costituzione all’Europa mediante l’adozione di un testo approvato e firmato dai capi di Stato o di governo e dai ministri degli Esteri dei 25 Paesi che all’epoca formavano l’Unione europea, fu la Francia, insieme ai Paesi Bassi, a negarne l’entrata in vigore bocciando il progetto in sede referendaria. Signori, i nazionalismi non stanno ritornando per la semplice ragione che non se ne sono mai andati. Hanno continuato a vivere e a prosperare dalla fine della Seconda Guerra mondiale, protetti e garantiti dalle armi statunitensi. E se oggi quella stessa Europa saccente e pretenziosa si sente oltraggiata dalle critiche rivoltele dall’amministrazione americana è solo perché non accetta l’idea che sia lo Zio Sam a ricordarle che la cuccagna è finita.
Se tale è la cornice, non v’è margine per incastrarle all’interno un quadro difforme da quello tracciato sui campi di battaglia in Ucraina. Il tanto vituperato piano di pace in 28 punti proposto da Washington, per rimanere alla metafora pittorica, è un capolavoro di realismo degno del pennello del miglior Gustave Courbet. Ora, i nostri leader-pigmei possono ostinarsi nel trastullamento retorico quanto vogliono, ma non ci si schioda dalla realtà, che è scritta a caratteri di fuoco nei bollettini di guerra dal fronte. Il punto di snodo del negoziato è la cessione dei territori che Mosca pretende di ottenere per porre fine alla guerra: prendere o lasciare, non esiste un’altra via. Gli europei dicono che ciò sia inaccettabile. Dicono i “volenterosi”: “Non abbiamo né diritto legale né morale di cedere dei territori”. Teoricamente giusto, ma qual è l’alternativa? Che Mosca se li prenda ugualmente continuando a fare ciò che sta facendo, metro dopo metro – e con centinaia di migliaia di morti lasciati sul terreno – da quasi quattro anni.
Donald Trump lo ha capito e ha una fretta del diavolo a chiudere la partita ucraina perché deve preoccuparsi dell’evolversi degli scenari in altri quadranti più strategici, per gli interessi americani, di quello dell’Europa orientale – per esempio, l’Indo-Pacifico – e per farlo ha bisogno dell’appoggio di Vladimir Putin. Gli arroganti occidentali stanno ricoprendo d’insulti il presidente degli Stati Uniti, definendolo a turno: pazzo, destabilizzatore, antidemocratico, autocrate, mezzo nazista (per l’altra metà: ultra sionista), guerrafondaio succube dei tiranni e aspirante tiranno lui stesso. Idiozie vendute un tanto al chilo al mercato degli allocchi. L’elezione di Trump al vertice del più potente Stato al mondo non è stato un incidente di percorso ma una necessità storica. A fronte del colossale errore commesso dal suo predecessore alla Casa Bianca, con il concorso miope della corte dei miracoli dei leader-pigmei del Vecchio continente, di gettare letteralmente Mosca tra le braccia di Pechino (alla lunga, il vero nemico dell’Occidente) la scelta di Trump di sacrificare l’Ucraina va in direzione del tentativo di tagliare il cappio che da quattro anni consente alla Cina di tenere per il collo la Russia.
L’amministrazione di Washington è perfettamente consapevole che se Pechino si muovesse militarmente per ribaltare i rapporti di forza con gli Usa nel quadrante del Pacifico e lo facesse col supporto della potenza nucleare russa, per gli Stati Uniti sarebbe una sconfitta di incalcolabili dimensioni. Ecco cosa per Trump non deve accadere, non che Mosca non si prenda uno spicchio di Ucraina. Quando gli europei la pianteranno di baloccarsi con la storia della “pace giusta”, che è una fregnaccia assoluta (da quando nella storia risultano stipulate “paci giuste”?), prenderanno atto della realtà decidendo se vorranno tenere in vita il moribondo ucraino fino all’ultimo respiro o se invece accetteranno di staccare la spina per evitargli ulteriori inutili sofferenze in nome di un principio che non è retto da alcun fattore di concretezza: la forza della vecchia Europa di orientare gli scenari geostrategici futuri nella sua stessa area d’influenza. La si chiami pure pace quella proposta da Donald Trump ma si accompagni la parola con l’aggettivo qualificativo più appropriato che è: necessaria. Sì, pace non giusta (che non esiste in natura) ma necessaria, che è quella che serve a Trump, all’America e a noi europei, per rimettere in equilibrio i piatti della bilancia della geopolitica globale.
Aggiornato il 10 dicembre 2025 alle ore 09:57
