Pagina 6 - Opinione del 08-9-2012

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II
ESTERI
II
Obama attacca i repubblicani
e difende il ruolo dello stato
di
STEFANO MAGNI
o stato non è il problema,
perché lo stato siamo noi».
Condensandolo, è semplicemente
questo il messaggio presidenziale di
Barack Obama, nel suo discorso di
Charlotte. Accettando la nomination
dal Partito Democratico, ha difeso
i risultati della sua amministrazione,
giustificato gli sconfortanti risultati
(in termini di disoccupazione e de-
bito pubblico) alla luce della grande
crisi del 2008, tracciato le linee della
sua politica estera. E ribadito la sua
filosofia di stato interventista, con-
trapposta al “darwinismo sociale”
dei Repubblicani, che vorrebbero ri-
durre il peso del settore pubblico.
«Noi non pensiamo che lo stato
possa risolvere tutti i problemi – ha
detto il presidente, parafrasando
Reagan – ma non pensiamo neppu-
re che sia la fonte di tutti i problemi,
più ancora dei beneficiari del welfare
o delle aziende o dei sindacati, o de-
gli immigrati, o dei gay, sui quali al-
cuni vorrebbero scaricare tutte le
colpe. Perché, America, noi sappia-
mo che la democrazia è nostra».
Obama lancia il suo “j’accuse”,
non solo contro i Repubblicani, ma
anche, in genere, contro il sistema
di libero mercato. Il presidente ri-
tiene che la crisi del 2008 sia stata
generata dai precedenti 10 anni di
crescita “effimera” (dunque anche
l’amministrazione Clinton viene ti-
«L
rata in ballo). Un decennio, in cui:
«le famiglie lottavano contro costi
che salivano, contrariamente ai loro
stipendi. In cui la gente si indebitava
anche solo per mettere la benzina
nella macchina, o il cibo in tavola.
E quando tutto il castello di carte è
crollato nella Grande Recessione
(del 2008, ndr), milioni di americani
innocenti hanno perso il loro lavoro,
la loro casa, i loro risparmi di una
vita, una tragedia dopo la quale stia-
mo ancora lottando per uscirne».
Questa analisi della crisi già dice tut-
to. Sono dimenticati e assolti i re-
sponsabili statali e para-statali del
collasso economico: Fannie Mae e
Freddy Mac (garantiti dal pubblico),
la Fed (ente teoricamente privato,
ma in posizione di monopolio sta-
tale), la stessa politica di “una casa
per ogni cittadino”, voluta dai De-
mocratici e dallo stesso Obama,
quando era giovane. Se il mercato
finanziario è collassato, dal punto
di vista di Obama, la colpa è del li-
berismo. E infatti, puntualmente, di-
chiara: «Dopo tutto quello che ab-
biamo passato, non credo che
ridurre le regole di Wall Street aiuti
la piccola imprenditrice ad espan-
dere la sua attività, o il costruttore
licenziato a conservare la propria
casa». Anche per quanto riguarda
le tasse, per Obama, sono i ricchi
che devono pagarle: «Ho tagliato le
tasse a chi ne aveva bisogno, alle fa-
migli della classe lavoratrice, ai pic-
coli imprenditori. Ma non credo che
rinnovare un’altra volta un’esenzio-
ne fiscale per i milionari possa creare
nuovi posti di lavoro in patria, o ri-
durre il nostro debito».
Sfiducia anche nell’assistenza (so-
ciale e sanitaria) gestita dai privati:
«Io non penso nemmeno di trasfor-
mare Medicare in un assegno (buo-
no sanità da spendere sul mercato,
come propone Paul Ryan, ndr). Nes-
suno americano deve spendere i mi-
gliori anni della sua vita alla mercé
delle assicurazioni private». E:
«Manterrò le mie promesse sul si-
stema previdenziale, prendendo tutte
le misure responsabili per rafforzar-
la, non per regalarla a Wall Street».
Obama non nega le virtù dell’ini-
ziativa e della responsabilità indivi-
duali, ma «…Noi crediamo anche
in qualcosa chiamato cittadinanza».
L’America crea meno posti di lavoro del previsto
K
Secondo i dati diffusi ieri dal Dipartimento del Lavoro,
l’economia Usa ha creato 96mila nuovi posti di lavoro, molto al
di sotto delle attese.
Pakistan: Rimsha
è libera su cauzione
Il discorso del presidente
è una difesa
al suo operato in
condizioni di crisi,
ma anche un attacco
al libero mercato.A cui
contrappone il concetto
di «cittadinanza»
imsha Masih, la bambina pa-
kistana cristiana di 11 anni,
incarcerata dietro la gravissima
accusa di blasfemia, è stata libe-
rata su cauzione. Grande soddi-
sfazione dei parenti, prima di tut-
to, delle associazioni cristiane che
si sono battute per la sua libera-
zione e anche del ministro paki-
stano Paul Bhatti (consigliere per
l’Armonia Nazionale), che si è
esposto in prima persona in que-
sta causa. Ma anche orrore per un
ennesimo caso di estrema intolle-
ranza, del quale rischiava (e ri-
schia tuttora) di rimanere vittima
una bambina, che, secondo una
perizia psichiatrica, è anche affetta
da gravi problemi mentali. Secon-
do gli accusatori, la bambina
avrebbe bruciato alcune pagine
del Corano. Ed è bastato dirlo per
far partire un pogrom anti-cristia-
no nel quartiere di Mehrabadi, un
sobborgo della capitale Islama-
bad. L’accusa di blasfemia, secon-
do i testimoni che si sono alternati
nell’aula del tribunale di Islama-
bad, è stata montata ad arte da
imam radicali. Ma intanto 600
cristiani avevano già dovuto ab-
bandonare le loro case, per sfug-
gire al linciaggio. “Ironia della sor-
te” vuole che quasi tutti i cristiani
di Mehrabadi fossero già profu-
ghi: si erano trasferiti nella capi-
tale dopo che erano fuggiti da un
altro pogrom anti-cristiano a Go-
R
jra, nel 2009. Le loro nuove case
vennero assegnate dall’ex ministro
delle religiosi Shahbaz Bhatti…
ucciso nel 2011 per mano dei ra-
dicali islamici. Ovunque vadano,
queste famiglie restano vittime
della violenza dei radicali islamici.
E della legge pakistana: Rimsha
Masih, solo in base al sospetto del
suo atto sacrilego, è stata arrestata
in agosto e processata per blasfe-
mia. Dopo un’intensa campagna
per la sua liberazione, nei primi
giorni di settembre è arrivata la
svolta a suo favore. Il 2 settembre,
uno dei suoi accusatori, l’imam
Hafiz Mohammed Khalid Chisti,
è stato arrestato dietro al sospetto
di aver prodotto prove false. Nello
specifico: di aver piazzato il libro
“dissacrato” nella borsa della
bambina. Il giorno dopo, Hafiz
Mohammad Tahir Mehmood
Ashrafi, presidente della conferen-
za degli ulema (dottori della legge
coranica) del Pakistan, ha testi-
moniato a favore della giovanis-
sima cristiana, chiamandola “figlia
della nostra nazione”. Il ministro
Paul Bhatti, come Shahbaz prima
di lui, si è esposto personalmente
per evitare una nuova vittima
dell’odio religioso. Ma, facendolo,
rischia la vita in prima persona:
il 3 settembre ha ricevuto minacce
concrete, tanto da dover rimanere
barricato nei suoi uffici.
(ste. ma.)
tati Uniti, terra di libertà, o
forse no? Dai dati pubblicati
dalla Fondazione Pew Center e
dal Governo Americano, emerge
infatti un quadro preoccupante.
Il Paese “a stelle strisce” vanta
infatti un triste primato: quello
del maggior numero di detenuti
al mondo.
I dati parlano forte e chiaro:
sul nostro pianeta vivono 6.8 mi-
liardi di persone, di questi, 9.8
milioni si trovano in stato di de-
tenzione (viene considerato anche
chi è in attesa di giudizio) e seb-
bene sul suolo americano risieda
solo il 4,5% della popolazione
mondiale, si trovano, dietro le
sbarre, il 23% di tutti I prigio-
nieri del mondo. Questo signifi-
ca che il Paese “a stelle e strisce”
detiene il tasso di incarcerazione
pro capite più alto al mondo:
715 persone ogni 100mila abi-
tanti, 7 volte quello di Italia e
Francia (tra i 95 e 100 detenuti
ogni 100mila abitanti), 10 volte
quello di Svizzera, Grecia o Da-
nimarca (70 persone ogni 100mi-
la abitanti). I numeri diventano
ancora più allarmanti se consi-
deriamo esclusivamente la popo-
lazione adulta: con questo calco-
lo emerge che negli Usa, quasi
una persona su 100 si trova die-
tro le sbarre. Di questi, circa il
20% si trova in prigione a causa
di crimini legati all’uso o allo
S
spaccio di sostanze stupefacenti.
Decine di esperti, professori, av-
vocati e politici si sono interro-
gati riguarda l’attuale preoccu-
pante situazione. Le soluzioni
proposte sono diverse: alcuni Re-
pubblicani di stampo libertario,
capitanati da Ron Paul, propon-
gono di depenalizzare I crimini
legati alle droghe leggere e rego-
larizzarne il commercio. Altri, tra
cui molti Democratici, propon-
gono invece di sfruttare maggior-
mente altre forme di detenzione
“leggera”: l’equivalente dei nostri
arresti domiciliari o della libertà
vigilata. Il problema che emerge,
non è infatti solo quello del so-
vraffollamento e del costo uma-
no, ma anche quello dei costi
materiali. Ogni anno, gli Stati
Uniti spendono oltre 44 miliardi
di dollari in spese per mantenere
il sistema carcerario. Il doppio di
quanto spende uno Stato come
quello dell’Arizona, per mante-
nere 40 università, poco meno di
quanto spenda il governo nazio-
nale per tutto ciò che riguarda
l’ambiente (parchi, aree naturali,
fiumi ecc...). Insomma, si tratta
di una cifra veramente importan-
te. E oltre a considerare i costi
umani, sociali e materiali, viene
naturale chiedersi se sia accetta-
bile che un Paese come gli Stati
Uniti imprigioni più persone che
paesi molto più grandi e autori-
tari come la Cina (1.5 milioni) e
la Russia (800mila). Gli Stati
Uniti sembrano avere bisogno di
un’enorme e urgente riforma. Tra
pochi mesi vedremo chi, tra i due
sfidanti alla presidenza, saprà
portare questo problema sotto i
riflettori, e, magari, anche nelle
aule del Congresso di un paese
che, ricordiamo, fu fondato sui
principi di “libertà individuale e
dei popoli”.
ELISA SERAFINI
Il triste primato degli Usa:
recordmondiale di detenuti
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 8 SETTEMBRE 2012
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