Page 3 - Opinione del 19-9-2012

II
POLITICA
II
Siamodemocraticamente tornati ad essere sudditi?
di
FEDERICO PUNZI
pesso si può affermare una verità
solo al prezzo dannatamente sa-
lato del politicamente scorretto, ma
per chi fosse interessato ad appro-
fondire nel merito, e con onestà in-
tellettuale, le parole carpite a Rom-
ney dalla telecamera di un cellulare
nascosto, il candidato repubblicano
ha centrato il tema politico dei no-
stri tempi, il discrimine che orienta
le scelte dei governi, e degli elettori,
nelle nostre società. Non sorprende
che parlando ad alcuni facoltosi so-
stenitori durante una cena privata
si sia lasciato andare ad un linguag-
gio molto diretto, estremizzando i
suoi concetti per renderli compren-
sibili, come capita a chiunque. E’
ipocrita imputargli l’imprecisione
dei dati statistici o la ruvidezza delle
sue generalizzazioni. Considerando
il contesto politicamente “amiche-
vole”, è ovvio che non abbia cali-
brato il suo messaggio per un pub-
blico vasto. Riassumere il senso del
suo discorso nella frase “i poveri
non mi interessano, tanto votano
Obama”, o “chi sta con Obama
non paga le tasse”, è pura mistifica-
zione, spesso inconsapevole, frutto
del copia-incolla praticato nelle re-
dazioni dei media più “autorevoli”.
Può piacere o no, ma il tema posto
da Romney è quello della dipenden-
za di una sempre più rilevante fetta
della popolazione americana dai sol-
di del governo e delle questioni da
ciò derivanti: se rappresenti o meno
una minaccia per una nazione fon-
data sulla libertà e la responsabilità
S
individuali e in che modo debba
comportarsi in campagna elettorale
un candidato alla presidenza porta-
tore di un approccio opposto. Rom-
ney stava spiegando ai commensali
le sue strategie elettorali, in partico-
lare perché ha scelto di concentrarsi
sul 5-10% di elettori indipendenti,
o che nel 2008 hanno votato Oba-
ma ma oggi si dichiarano delusi dai
risultati della sua presidenza, piut-
tosto che gettarsi alla conquista della
base elettorale del suo avversario,
voti che ritiene persi in partenza. Ha
ammesso infatti che il presidente
uscente parte da numeri enormi,
perché può contare su una gran
massa di persone, il 47% a suo dire,
che siccome «dipendono dal gover-
no» voteranno per Obama «in ogni
caso». Persone «che si credono vit-
time, che credono che il governo ab-
bia il dovere di provvedere a loro,
che credono di avere diritto all’as-
sistenza sanitaria, al cibo, alla casa,
a quello che volete. E che voteranno
per questo presidente in ogni caso»,
dal momento che il messaggio dei
repubblicani è l’esatto opposto, pun-
ta cioè sulla necessità che le persone
si assumano maggiori responsabilità.
La cifra del popolo dei “sussidiati”
che voteranno comunque per Oba-
ma è arbitraria, così come non è af-
fatto scontato che coincida con quel
47%
di americani che di fatto non
pagano l’imposta sul reddito perso-
nale, ma è indubbio che questi elet-
tori non sono molto sensibili alla
proposta di abbassare le tasse e che
il fenomeno della “dipendenza” dal
governo ha una consistenza nume-
rica elettoralmente non trascurabile.
Sono in gioco due concezioni alter-
native del ruolo del governo: «Cre-
diamo in una società incentrata sul
governo che elargisce sempre più
benefit, oppure in una società fon-
data sulla libera iniziativa, in cui le
persone hanno la possibilità di in-
seguire i propri sogni?». La gaffe sta
nel fatto che trattandosi di un video
rubato” Romney non si esprime
con precisione nell’analisi e nei ter-
mini appropriati, ma è questo ormai
il vero discrimine politico, non più
le vecchie distinzioni destra/sinistra.
Nell’epoca in cui viviamo lo stato
ha accresciuto come mai nella storia
le sue capacità di intervento nella
società. L’incidenza della spesa pub-
blica sul Pil era del 7,5% negli Stati
Uniti all’inizio del secolo scorso ed
è progressivamente salita fino al
40%
di oggi. Per non parlare del-
l’Italia, dove siamo passati da un
17,1%
dei primi del ‘900 al 30%
degli anni ‘20, al 40% della fine de-
gli anni ‘70, fino al 50 e dintorni dal
1986
ad oggi. Ma è una tendenza
consolidata in tutti i paesi occiden-
tali: da una media di circa il 12%
agli inizi del XX secolo a ben oltre
il 40% di oggi, con punte vicine al
50.
Ciò significa che gran parte delle
nostre economie, imprese e singoli
individui, dipendono direttamente
o indirettamente dalla spesa pubbli-
ca, dalle risorse elargite dai governi.
Chiedersi che impatto ha tutto ciò
sul processo democratico non è
ozioso. È noto che in democrazia
gruppi e singoli esprimono le pro-
prie preferenze politiche con un oc-
chio o due ai loro interessi partico-
lari. Anzi, è il sistema di governo
finora migliore nel garantire alla
molteplicità di interessi di esprimersi
ma allo stesso tempo di arrivare ci-
vilmente ad una sintesi, che per for-
za di cose accontenta molti ma non
tutti, o meglio scontenta in misura
accettabile molti, e pochi in modo
inaccettabile. Ma cosa accade se lo
stato espande il proprio ruolo, nella
misura e negli ambiti, fino al punto
di alimentare una vera e propria di-
pendenza della maggior parte della
popolazione dai suoi benefit? Non
c’è forse il rischio che questi votino
per chi garantisce loro la permanen-
za, se non l’estensione dei benefit, e
che le classi politiche per restare al
potere accrescano sempre di più il
ruolo del governo e incoraggino la
cultura della dipendenza? Insomma,
lo spettro che un voto di scambio
di massa possa inquinare il processo
democratico aleggia. Forse nessuno
meglio di noi italiani può sapere
quanto sia fondato questo rischio e
quanto sia difficile tornare indietro.
Se tutti ormai ammettono che ab-
biamo esagerato con spesa pubblica
e tasse, perché non riusciamo a in-
vertire la rotta? Perché al dunque,
quando dalle parole bisognerebbe
passare ai fatti, i gruppi di interesse
organizzati, così come i singoli elet-
tori nelle urne, non vogliono rinun-
ciare alla propria fetta di torta ga-
rantita dallo stato? Se Romney
avverte questo rischio per gli Stati
Uniti, dove spesa pubblica e pres-
sione fiscale non sono comparabili
alle nostre, in Italia potremmo aver
oltrepassato una sorta di punto di
non ritorno. Che succede quando
più o meno la metà dell’economia
nazionale dipende direttamente o
indirettamente dalla spesa pubblica?
Quante chance ha di prevalere
un’agenda politica alternativa? Si
può parlare di una “dittatura dei
sussidiati”, di volontaria rinuncia
alla libertà? Poco male, si potrebbe
obiettare, se lo stato provvede – in
modo più o meno efficiente ed effi-
cace a seconda dei paesi – ai nostri
bisogni primari (e secondari). Pro-
babilmente pochi di noi hanno pie-
na consapevolezza delle prospettive
che ci sono precluse a fronte delle
sicurezze statali, di tutte le porte che
la vita ci offre e che non apriremo
mai, essendo la nostra strada trac-
ciata in partenza da ciò che lo stato
ci mette a disposizione.
Il “caso Romney”è stato
trattato frettolosamente
dai media, ma apre
a importanti riflessioni
Il tema posto è quello
della dipendenza di gran
parte della popolazione
occidentale dai governi
Il caso Fiorito e la spaccatura tra neri e azzurri
ulle ceneri di quella che fu la
Mediaset dei Vianello, Fede,
Bongiorno e Mentana, nell’azien-
da berlusconiana si sta sviluppan-
do una tv diversa, meno governa-
tiva e più corrosiva, contestatrice
dei sepolcri imbiancati dell’oli-
garchia politica. Praticamente un
ritorno ai tempi dell’inizio, di
vent’anni fa, un ritorno alla de-
molizione antipartitica attuata a
sostegno di Mani pulite dalla mi-
riade dei Bosio, piazzati tra pen-
siline, bus e tribunali a megafo-
nare gli atti del martello
giudiziario. L’abilità della nuova
antipolitica Mediaset è quella di
interpretare la rabbia del mondo
del lavoro e dell’impresa in tempo
di crisi, salvando ad un tempo le
ragioni del Nord e le sorti del
Pdl. Esattamente l’opposto del-
l’antipolitica di giornali e Rai –
La7 che hanno sempre indentifi-
cato la casta politica nei partiti
di centrodestra. Stavolta però lo
scandalo dell’uso facile e spreco-
ne del finanziamento dei partiti
è calato sul partito berlusconiano,
dopo quelli di Api-Margherita e
di Lega. Cosa abbastanza sor-
prendente. A Lusi e Belsito, si ag-
giunge così Fiorito, ex An di Cio-
ciaria, divenuto gestore dei fondi
del gruppo consiliare laziale Pdl.
Il grosso - 130 kg su 1m e 91cm
-
ex presidente, di primo acchitto,
un po’ ruspante, un po’ grezzo,
dovrà temere parecchio per l’in-
carico a suo favore preso dall’av-
vocato Taormina che ha all’attivo
già un paio di disastri dalla com-
S
missione Telekom Serbia alla Ben-
zoni. La seconda cosa sorpren-
dente è la reazione d’indignazione
scattata tra le stesse fila del Pdl,
in particolare delle sue donne ro-
mane, Meloni, Lorenzin e Polve-
rini. Parliamo di un partito abi-
tuato a vedere leader, prime,
seconde e terze file, sotto inchie-
sta, sotto intercettazione e sotto
processo permanenti. Un partito
uso ad essere marcato stretto dal-
la magistratura, un partito che
può offrire al Guiness dei primati
la fine di ogni guarentigia elettiva,
come per Di Girolamo, dimesso
d’autorità, o di Papa, buttato in
galera da eletto praticamente
sine
sensu
,
un partito in genere abi-
tuato a non reagire alla giustizia
avversa, se non curvandosi alla
tempesta come un bambù. Il Pdl
è un partito che teorizza l’uso po-
litico della giustizia ma poi non
lo contrasta per spirito di mode-
razione: in genere reagisce poco.
Invece per il Fiorito, nel Pdl, sen-
za governo, né chiaro futuro,
scatta una rabbia primigenia, an-
tipolitica e antipartiti della Prima
repubblica: la Meloni vuole calci
nei denti per l’ex capogruppo re-
gionale del suo partito, la Loren-
zin una punizione esemplare.
Quanto alla governatrice laziale
Polverini, si presenta reduce da
interventi ospedalieri, pronta al
sacrificio come una nuova Ma-
gnani, per imporre il blocco dei
quattrini per tutti i gruppi consi-
liari o in alternativa il ritorno al
voto. Così si alza la pira salvifica
su cui arrostire la retorica di de-
stra di campagna per ridare di-
gnità ai partiti e ritrovare un dia-
logo tra loro e società. La
tempistica di certe inchieste non
è mai casuale. Si scopre che Lusi
usa a suo consumo i soldi della
defunta Margherita, proprio men-
tre Rutelli risucchia i centristi Dc
dal Pd verso il grande centro. In-
chiesta Lusi, Rutelli ai minimi ter-
mini, ritorno della famiglia Pa-
lombelli nel Pd con le pive nel
sacco. Si scoprono gli investimen-
ti africani e le lauree albanesi pro-
mosse dall’amministratore leghi-
sta Belsito, proprio quando
Berlusconi è in caduta libera e si
tratta di defestrare l’antico leader
Bossi, garanzia dell’unione berlu-
sconianleghista.
Anche il ciclone sul consigliere
più eletto al Comune di Roma,
Piccolo, appare come un fulmine
a ciel sereno, utile a ributtare giù
il sindaco Alemanno, appena
uscito dall’esibizione di associa-
zioni e giornate sociali a suo fa-
vore. Ed ora il caso Fiorito appa-
re utile per realizzare quella
spaccatura tra neri e azzurri già
nell’aria a Roma e nel Lazio, in-
seguita da chi spera di far sparire
il centrodestra nei prossimi risul-
tati. Le dimissioni della Polverini
portebbero ad una triplice ruota
elettorale: comunale, regionale,
nazionale; e potrebbero consoli-
dare il ruolo outsider della leader
laziale, eletta in fondo anche sen-
za l’ex partito di maggioranza.
Con presenza di spirito, la gover-
natrice ha evocato il finale tragico
ricordando la parodia comica del-
l’avvio del suo governo. Il finan-
ziamento pubblico dei partiti, co-
m’è noto, in un rapporto leale
società-rappresentanti avrebbe
dovuto sparire tanto tempo fa. Al
suo fianco, sono poi sorte le fon-
dazioni, casseforti miliardarie dei
capi componenti, che hanno uc-
ciso del tutto i partiti e svuotato
i loro budget. Poi l’erogaazione
di fondi nei gruppi degli enti lo-
cali, dai budget più o meno ricchi
a secondo dei territori, ha signi-
ficato ulteriore denaro pubblico
per rais e capigruppo. Da ultimo
i verticissimi dei grandi partiti
poggiano sulle aziende ed i rela-
tivi manager di riferimento. Tutti
i casi citati sono frutto di rapporti
tra privati; sono indagini di av-
versari politici o di inchieste man-
canti di denunciante, denunciato
e reato. Cento milioni distribuiti
dall’ufficio di presidenza della
Polverini ai gruppi partitici erano
un’enormità, uno spreco in qua-
lunque caso.
Che poi venissero utilizzati per
convegni, manifesti, o sezioni, op-
pure per feste, macchine e viaggi,
cosa cambia? Come tante altre
volte si cerca di estrarre dall’in-
dignazione naturale, il reato che
non c’è per mero attacco politico.
Nel frattempo i tanti casi dell’am-
ministrazione Vendola, o di Pe-
nati, dove invece c’erano i reati
contro la pubblica amministra-
zione, giacciono scordati. Come
quelle di Mani pulite, anche le
scoperte dei radicali laziali hanno
il sapore giacobino dell’inchiesta
giudiziaria permanente sull’av-
versario politico. Tutto questo
manda in onda la nuova Media-
set che lancia nella propria cer-
chia la rabbia di doberman poli-
tici desiderosi di sangue e
mondezza politica.
Quinta Co-
lonn
a, manda in onda anche un
siparietto surreale tra una bella
inviata che ha poco del giornali-
sta ed il bel giovane vicepresiden-
te Pdl De Romanis, quota forzi-
sta. Anche l’azzurro De Romanis
scarica il nero Fiorito, dichiaran-
dosi non solo completamente
estraneo, ma senza informazioni
sulla gestione del suo gruppo
consiliare regionale. In ogni caso
un autogol totale. Il giovane mo-
stra un vero volto non politico,
nuovo avatar sulle orme del vuo-
to pneumatico dei vecchi che da
sempre condanna un vasto voto
popolare laziale al vuoto di con-
tenuti ed all’insignificanza. Invece
che le primarie An contro Fi, so-
gnate dai giovani destri di Atreju,
ci sarebbe l’occasione per un Mi-
das che liberi chi vuole fare poli-
tica dal peso dell’eredità di fami-
gli e
clientes
.
Neri eretici di
provincia contro tutti, neri contro
neri, azzurri contro neri. Viene da
rimpiangere il tempo del basso
profilo quasisolidale. Forse un
giorno la teoria dell’uso politico
della giustizia si farà anche azione
conseguente. Dipenderà dalla
nuova linea politica tv.
GIUSEPPE MELE
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 19 SETTEMBRE 2012
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