C'è ancora guerra nel nord del Caucaso

I due attentati kamikaze del 3 maggio scorso, nei pressi di una stazione di polizia a MakhaÄkala (capitale del Daghestan), hanno riacceso la tensione nel Caucaso settentrionale. Il Daghestan è divenuto, negli ultimi dieci anni, il nuovo teatro di scontro tra i separatisti islamici e le autorità centrali russe: nella regione, gli attacchi dei ribelli separatisti, gli arresti e le repressioni avvengono sempre più regolarmente e si teme il tragico epilogo bellico della Cecenia.

Nel doppio attentato del 3 maggio sono morte 13 persone e più di 100 sono rimaste gravemente ferite: la maggior parte di queste erano agenti di polizia. Le autorità locali e federali russe sono subito partite alla caccia dei responsabili degli attacchi, avviando un'operazione antiterrorismo su larga scala in tutto il Paese.

Ieri, il Comitato Nazionale per l'Antiterrorismo della Federazione Russa ha annunciato che Gussein Mamaev, capo del "Gruppo terroristico di MakhaÄkala" e ritenuto il principale mandante degli attentati, è stato ucciso nel corso di uno scontro a fuoco con le forze dell'ordine. Il ventottenne Mamaedov (nome di battaglia "Hamza") era il sedicente "Emiro di MakhaÄkala" e veniva considerato come uno dei più pericolosi bracci destri di Dokka Umarov in Daghestan. Da diversi giorni, le autorità russe stavano braccando il terrorista che si nascondeva nel villaggio di Karaman - nel distretto Kumtorkalinsky -  e proseguono la caccia di altri tre militanti ritenuti responsabili degli attentati: Rasul Mejidov, Ruslan Kaznabiev e Kurban Omarov. Inoltre, servizi di sicurezza russi hanno affermato che il "gruppo di MakhaÄkala" comprenderebbe 12 membri e stesse preparando degli attentati terroristici a Mosca.

Secondo alcuni "complottasti", la nuova ondata di attacchi e di rivendicazioni dei terroristi caucasici sarebbero state strumentalizzate da Putin per poter ulteriormente stringere sulle opposizioni che in quei giorni stavano "assediando" Mosca; e le catture/uccisioni dei responsabili dei ribelli come un successo politico dello "zar". In ogni caso, l'attuale sistema federale non sembra funzionare per il Caucaso: se il Cremlino vuole vincere questa guerra segnata da "vittorie di Pirro", deve necessariamente rielaborare una strategia militare che pacifichi stabilmente la regione nord caucasica e una riforma politica che, tenendo conto della natura clanistica delle società locali, coinvolga maggiormente le popolazioni autoctone nel sistema di governo.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:45