Think tank polacco fa le pulci all’Italia

In una succinta e abbastanza affrettata rassegna di vetusti luoghi comuni, veloci considerazioni politicamente comparate, accostamenti geopolitici quanto meno discutibili e conditi con ancor più sommarie e spiazzanti conclusioni socioeconomiche, il pur altrimenti raffinato e intellettualmente apprezzato Polish Institute of International Affairs (un think-tank statutariamente indipendente ma, a sommessa impressione di chi scrive, sufficientemente meta-statuale e para-governativo) ha appena pubblicato nel bollettino periodico 118 (571) del 31 ottobre 2013 un focus dall’invitante titolo: “The Italian Crisis: Grounds for Eurozone Policymakers to Reform Domestic Politics”, a firma congiunta di Paulina Sałek e Paweł Tokarski (http://www.pism.pl/publications/bulletin/no-118-571). In esso, la coppia di analisti-ricercatori si cimenta arditamente nell’ambizioso compito di spiegare (in sole due fitte e stringate paginette) le ragioni più vere dell’attuale crisi italiana.

Con in più, l’accorato invito ai decisori della più ampia politica dell’Ue in tema di eurozona a trarre lumi e insegnamenti dalle intrinsecamente croniche debolezze istituzionali di Paesi come l’Italia in primis (ma ad essa i due articolisti accostano pure - bontà loro - Grecia, Spagna, Cipro e Slovenia). Il tutto, per trarre da questo poco rassicurante quadro d’insieme ogni possibile insegnamento valido a far sì che la cristallizzazione delle singole deficienze politico-strutturali di simili Paesi non finisca per complicare irreparabilmente la stessa neo-architettura dell’eurozona. L’argomento è abbastanza specialistico, toccando questioni relative sia ai rapporti bilaterali italo-polacchi, che a quelli multilaterali europei.

Nondimeno, alcune reazioni a caldo non siamo stati in grado di trattenerle. Giusto in attesa di leggere i riscontri che - dato il calibro e l’acclarato prestigio accademico della fonte – ne vorranno dare (e sicuramente con maggiore competenza e capacità argomentativa della nostra) personalità più titolate ad interloquire mediaticamente o ad esprimersi nel merito da sedi istituzionali deputate. Tanto per iniziare, è francamente tutto da verificare che la crisi politica al momento in corso in Italia sia essa sola e non altra la spia più significativa della cronica debolezza del nostro sistema politico, se non anche dell’altrettanto connaturata incapacità di concepire ed effettuare delle riforme economiche apprezzabilmente degne di tal nome.

Se poi sotto il velo di paludamenti cripto-politologici si voleva dire (come a naso ci pare di intendere) che i governi Berlusconi sono stati la causa prima e fondativa della impasse in corso, sarebbe troppo facile ribattere con una sfilza di richiami all’ordine provenienti da sedi Ue ad indirizzi politici che non corrispondono esattamente a quelli dell’area liberal-moderata italiana. E probabilmente chiunque sarebbe in grado di smentire almeno l’unidirezionalità dell’ingenerosa bordata polacca al Belpaese. Come pure resta quanto meno opinabile che la maggior parte se non tutte le altre capitali europee siano, tout-court, associabili alla medesima opinione dei redattori del Pism di Varsavia circa l’instabilità del sistema democratico-statuale italiano.

Nonché all’esplicitato corollario di questo assunto: secondo cui il caso italiano da più di un sessantennio rappresenterebbe non solo un elemento deficitario di complicazione per la tenuta del quadro nazionale d’insieme, ma sarebbe poi divenuto potenzialmente esiziale anche sul piano internazionale, per la governance di quella che oggi si configura come l’area meridionale dell’eurozona. Quasi a voler con ciò inferire che, come accaduto in l’Italia, anche in Europa la causa del mancato decollo strutturale dell’insieme (magari in edizione riveduta e corretta) sia sempre da ricercarsi nello scontro/divario tra un Nord socio-economicamente operoso e politicamente lucido, e un Sud lento, conservatore e al limite parassitario.

Laddove invece sappiamo bene che esistono quanto meno delle (chiamiamole pure) scuole internazionali di pensiero, diversamente orientate e non per questo meno autorevoli, che oltre a riconoscere all’Italia di De Gasperi e Altiero Spinelli un ruolo storico irrefutabile tra i Padri Fondatori dell’Europa, ne apprezzano ancor oggi gli innegabili sforzi contributivi al consolidamento strutturale. Tanto per fare uno ed un solo esempio, per quel che attiene all’idea di un Mercato Unico Europeo. E ci riferiamo, in questo caso, alla riconosciuta esperienza e capacità professionale di un luminare accademico indiscusso dell’Integrazione Europea come il professor Mario Monti: specificatamente italiano quando già eccelleva in quanto tale in ambito sovranazionale europeo.

E dunque, prim’ancora che fosse chiamato alla carica di Premier di un Governo Tecnico: al suo nascere quasi da tutti (irrealisticamente) caricato di attese palingenetiche, quanto dopo (altrettanto incolpevolmente) lapidato - salvo rare eccezioni - come sentina di ogni obiettivo mancato, sia a livello di politica interna che estera. Tesi quest’ultima fatta sostanzialmente propria dai due redattori del Pism, specie nei riferimenti alla impopolarità subita da Scelta Civica su risoluzioni come l’innalzamento dell’età pensionabile e l’aumento della tassazione. Con l’aggravante, ci permettiamo di aggiungere, della citazione della sola Cgil come dell’Auctoritas aristotelicamente suffragante l’inappellabile giudizio di fallimento del governo dei tecnocrati guidato dal professor Monti.

Cioè a dire, fondando tutto il peso della stoccata sul pericolo agitato dal maggiore sindacato della sinistra: di cui (ma questo nella nota del Pism non è riferito) dal 2002 al 2010 è stato segretario generale lo stesso Guglielmo Epifani, poi nominato dall’11 maggio 2013 segretario del Partito Democratico. E il pericolo sarebbero gli oltre 500mila lavoratori a rischio di perdita del lavoro, per via di un inasprimento delle regole contrattuali avanzate dal Governo guidato non a caso da un buon amico di Angela Merkel.

Che è poi quanto dire comunque una buona ragione (per la Polonia) per voler tentare di mantenere un giudizio positivo (se non all’oggi, almeno in prospettiva) sul rapporto bilaterale polacco-italiano. E questo perché, come ci spiegano dal Pism, non si può negare che nel più recente passato ci sia stata una convergenza di vedute tale da fare di Roma un valido alleato di Varsavia su diversi punti. Come pure - sempre a detta della coppia dei nostri due accorsati articolisti Sałek e Tokarski - sarebbe stato proprio grazie al fatto che Monti era in buona con la Merkel che l’Italia poté condividere con la Germania alcune posizioni (favorevoli agli interessi della Polonia) come l’inclusione di Varsavia nel novero di quanti avrebbero potuto aver titolo a discutere inter pares il futuro dell’eurozona.

Diversamente, sembrerebbe di capire (ed è questo un passaggio sul quale non ci è proprio possibile concordare) difficilmente una tale consonanza di vedute sarebbe stata possibile riconoscere e sostenere, almeno ad un livello di cultural diplomacy, non essendo infatti (e in questo caso diremmo per fortuna di tutti) i punti di veduta e le analisi del Pism in sé e per sé coincidenti e assimilabili a quelli delle due rispettive Cancellerie. Ad entrambe le quali del resto (unico caso di Paesi che si citano scambievolmente nei rispettivi inni nazionali), non sono mai mancate nemmeno nei periodi più scuri della storia recente, né mancano oggi, occasioni per vantare la plurisecolare amicizia tra la Patria di Copernico, Mickiewicz e Chopin da un lato, e il Paese di Bona Sforza, Canaletto e Francesco Nullo dall’altra. Per venire ai nostri giorni, l’Italia ha oggi alla guida della Farnesina un ministro, Emma Bonino, che nel gennaio del 1987 venne a Varsavia per manifestare contro la dittatura comunista del generale Jaruzelski e a favore di Solidarnosc: per questo, venne arrestata ed espulsa dal Paese.

E il ministro Radoslaw Sikoski è pur sempre il titolare degli Esteri in Polonia, di cui ricordiamo ancora alcuni passaggi sui rapporti internazionali tratti del suo exposè al Sejm (il Parlamento polacco) del 29 marzo 2012. Nel suo rapporto al Parlamento (http://www.msz.gov.pl/The,Minister,of,Foreign,Affairs,on,Polish,Foreign,Policy,for,2012,50768.html ) è pur vero - dice Sikorski - che per quel che concerne i rapporti bilaterali è la Germania il più importante partner europeo della Polonia, contro i cui orientamenti sarebbe francamente difficile per chiunque pensare di combinare alcunché di concretamente duraturo e stabile per l’Europa. Ciò, però, sempre a patto -- aggiungeva con altrettanto palmare evidenza - di venire dalla stessa Germania inclusi nel processo decisionale europeo. Il che vale per la Polonia, come per altri Paesi dell’Ue: e per fugare ogni possibile dubbio o possibile ambiguità su cosa intendesse, il ministro affermava di guardare con intensificato interesse alla cooperazione con la Francia e di plaudire ad un più ravvicinato dialogo politico governativo con la Spagna e con l’Italia.

Laddove, nel medesimo passaggio testuale, a venire stigmatizzata era semmai la mancata disponibilità dell’Inghilterra ad occupare una posizione di rilievo nella comune difesa europea. Volutamente ci asteniamo dall’entrare nel merito di altre asseverazioni apodittiche contenute nel denso articolo del Pism, perché ciascuna di esse meriterebbe un’articolazione argomentativa che solo ragioni di spazio ci impediscono in questa sede di affrontare, come sarebbe pur doveroso e converrebbe. Basterà però qui almeno avvertire che alcune di queste tesi qui di seguito sommariamente elencate (e che ci paiono indimostrate al di là di ragionevoli dubbi), si potranno agevolmente rinvenire e meglio meditare ciascuna nel proprio contesto, nel citato testo originale inglese reperibile in rete.

All’interno del quale ci pare che siano fatti risaltare in modo emblematico i seguenti punti: 1) Sono dovuti a Silvio Berlusconi i due più stabili e duraturi governi del dopoguerra , i quali resteranno indicativi di quanto pesino in Italia sia la perdurante centralità partitocratica che la forza del carisma di singoli leaders; 2) L’attuale legge elettorale e il bicameralismo perfetto sono due principali fattori di instabilità politica che, se riformati unitamente ad una più sistemica riforma del sistema politico italiano, potrebbero essere una soluzione per l’instabilità politica permanente dell’Italia; 3) Rimane comunque Berlusconi la forza politica dominante in Italia, ancorché la sua permanenza al Senato sia ancora in bilico e soggetta al voto, nonostante gli scandali e le condanne inflittegli per reati fiscali; 4) La fragile coalizione che ancora sostiene il Governo di Enrico Letta ha nuovamente rinfocolato le preoccupazioni internazionali per il propagarsi contagioso delle criticità tipicamente italiane; 5) Sull’Italia incombe un recente verdetto dell’agenzia di rating Moody’s a scapito della tenuta economico-politica e finanziaria del Paese, che difficilmente vedrà riconosciuti dalla Commissione Europea i parametri impostigli e aventi il 2013 come deadline.

Tutto ciò - conclude l’analisi del Pism appena diramata alle principali istituzioni scientifiche e accademiche internazionali, oltre che ad una selezionata mailing list di opinion makers europei e transoceanici - comporta l’ulteriore pericolo di una diffusione a catena del modello negativo offerto dall’Italia. Col rischio, dato come abbastanza ragionevole, che altri tasselli dell’ancora delicato mosaico comunitario europeo possano venire negativamente influenzati dal malum exemplum di Roma. E pur tuttavia, nonostante tutti questi rischi e quella che viene definita l’attuale deriva introspettiva del Governo Letta, alla Polonia conviene in ogni caso mantenere strettamente ravvicinata la cooperazione con una realtà come l'Italia, non foss’altro per il fatto che si tratta del terzo Paese in ordine di grandezza economica all’interno dell’eurozona.

E per concludere, suggeriscono da Varsavia gli osservatori del Pism, alla Polonia è bene che resti ben presente (per esorcizzarne gli esiti e allontanarli da sé) la triste e dura lezione che proviene dal crinale (ritenuto sostanzialmente fallimentare, ove non interrotto) imboccato dall’Italia: la quale dovrà essere mantenuta sotto attenta e costante osservazione. Specie per evitare di seguirla in quella che viene definita la perdita progressiva e difficilmente reversibile di rilevanza diplomatica e complessivamente politica nell’arena di Bruxelles. E in modo particolare, in vista delle prossime tornate elettorali polacche del 2014 e del 2015: quando persino gli eurodeputati di Polonia si ritroveranno per forza di cose costretti a doversi concentrare sulla dimensione politica nazionale. Rischiando così di porre in secondo piano gli stessi interessi comunitari europei. Come erroneamente e con scarsa cautela, sempre a detta delle teste d’uovo di ulica Warecka, sarebbe accaduto all’Italia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:39