Elezioni Europee, i partiti in campo

Non è una novità che in vista del voto per il rinnovo del Parlamento europeo a maggio prossimo, i partiti con i loro leader prendono posizione nel dibattito su tema di quale Europa vogliamo e come la vogliamo.

Si deve subito dire che c’è anche un’iniziativa italiana che fa capo al leader greco Syriza Alexis Tsipras, il cui partito è in testa ai sondaggi, candidato della Sinistra Europea all’Europarlamento, nella sua tappa in Italia, applaudito dai partiti della sinistra (Sel di Nichi Vendola e Rifondazione comunista di Paolo Ferreri), dall’ex Social Forum di Luca Casarini e Vittorio Agnoletto, ha esposto il programma della Sinistra nel quale “non c’è l’uscita dall’euro, ma una grande conferenza europea sul debito, non solo per salvare la Grecia ma per liberare risorse per lo sviluppo delle zone periferiche dell’ Europa”. A tal riguardo è calzante la definizione di se stesso: “Euroscettico costruttivo”, la cui ricetta è “unire tutti quelli che oggi il neoliberalismo divide, mettendo da parte le differenze per un comune obiettivo”. Su queste basi, secondo Tsipras, i Paesi del Sud Europa devono guidare il cambiamento per battere Angela Merkel.

Anche se la stampa tedesca lo considera “il nemico numero uno dell’Europa”, bisogna ricordare che Tsipras è cittadino di un Paese che attraversa la più grave crisi finanziaria della storia dell’Unione Europea, unitamente ai Paesi euro-mediterranei. Dall’alleanza della Sinistra europea resta fuori solo il Partito comunista di Marco Rizzo, che nel congresso rifondativo del 18 gennaio scorso ha proposto l’uscita dall’Ue senza pagare il debito, e di nazionalizzare le banche e le grandi imprese come la Fiat.

Dall’altra sponda, quella dei partiti populisti, la musica è diversa, perché questi ultimi puntano sull’uscita dall’Ue e quindi dalla moneta unica. A questa posizione il Paese più interessato è l’Olanda, in quanto il Pil pro capite olandese senza euro salirebbe di 9.800 euro l’anno fino al 2035, mentre per il Pil con euro il governo ha quantificato in 2000 euro l’anno i vantaggi portati dalla moneta unica, quindi gli olandesi senza l’Europa sarebbero più ricchi, come risulta dal report commissionato dal Parlamento e dal partito populista di Geert Wilders, il quale sottolinea che “contrariamente a quanto dicono gli allarmisti, la nostra economia non si arresterebbe se uscissimo dall’Unione, ci farebbe invece guadagnare miliardi”. Invero, il 55 per cento degli olandesi è favorevole a lasciare l’Ue, se ciò creasse posti di lavoro e facesse crescere l’economia.

Anche in Gran Bretagna il fronte degli euroscettici cresce, come risulta da “uno studio autorevole, perché prodotto da una credibile società della City. Le cose si complicano per l’Europa in materia di libera circolazione dei lavoratori a seguito del referendum indetto dalla Confederazione elvetica che, con una maggioranza del 50,3% e un plebiscito nel Canton Ticino all’insegna di slogan quali: “Giornata storica” e “Sta cambiando un’Era”, ha bocciato intese di 15 anni fa sulla libera circolazione dei lavoratori. Così si sono aperte le ostilità di una guerra contro l’immigrazione e la libera circolazione dei lavoratori, se si calcola che un milione e duecentomila cittadini europei, di cui trecentomila italiani, attualmente lavorano in Svizzera, e oltre duecentomila frontalieri ogni giorno varcano le frontiere. Si tratta di un esercito di nuovi emigranti che sarà sottoposto ad un regime di quote su cui Bruxelles non avrà voce in capitolo.

Il risultato del referendum elvetico comporterà la revisione di tutte le altre intese intercorse tra Bruxelles e Berna. Rischiano di essere rivisti tutti gli accordi che, dalla ricerca all’agricoltura, legano la Svizzera al resto d’Europa. Il danno per la Confederazione potrebbe essere notevole, come avevano avvertito partiti, sindacati e imprenditori, ma anche per l’Ue i contraccolpi saranno negativi, soprattutto quelli di tipo politico alla vigilia di elezioni europee in cui si prevede l’affermazione dei partiti populisti, anti-europei ed anti-sistema, e il voto del referendum svizzero potrebbe funzionare da detonatore e far deflagrare una situazione europea che non è più governabile.

Non è un caso che, da Marine Le Pen in Francia al leader dello Ukip in Gran Bretagna, dal populista olandese Geert Wilders al segretario leghista Salvini, l’estrema destra europea esulta per i risultati del referendum svizzero. La paura dello straniero, la voglia di erigere nuovi muri divisori in Europa rischia di diventare un tema cruciale delle prossime elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento, portando maggiori consensi al fronte populista. Dopo il voto della Confederazione elvetica saranno in molti che voteranno contro l’Europa che sbaglia e il dramma è che rischiano di colpire invece l’Europa che cambia.

Andrea Manzella, in un editoriale uscito su “La Repubblica”, analizza i segnali di una Ue che, dopo la Grande Crisi, ritrova la sua ragione sociale quasi per un ravvedimento doveroso, mentre le forze populiste e anti-sistema avanzano contro l’euro, contro Bruxelles e le sue istituzioni, contro Angela Merkel, contro l’idea che non si possa essere più sovrani a casa propria. Quattro di questi segnali sono molto chiari e non possono non essere seguiti, perché grazie ad essi rinasce l’Unione europea. Il primo è la conferma dell’Unione europea come agglomerato multi-statale del mondo in cui entra il primato del diritto sovranazionale. La prova è data dal fatto che la Corte Costituzionale tedesca si è spogliata dal pregiudizio negativo sugli acquisti di titoli dei Paesi in difficoltà da parte della Bce e chiede per la prima volta che il giudizio definitivo sia dato da una istituzione europea: la Corte di Giustizia di Lussemburgo. Il secondo segnale di cambiamento è nella proposta avanzata dall’ultimo Consiglio europeo di uscire dalla gabbia di una politica economica che non è più rispondente all’attuale governance, in quanto, nel quadro dei grandi orientamenti, si è affermata l’idea che ci possono essere contratti bilaterali con ciascun Paese, e cioè adattamenti che tengono conto della diversità di ognuno nell’assumere l’impegno di più riforme, che abbia come contropartita incentivi finanziari e flessibilità di bilancio. Il terzo segnale di mutamento dell’Europa è dato dalla personalizzazione transnazionale della campagna elettorale in linea con il trattato di Lisbona, per cui sarà il Parlamento Europeo ad eleggere il presidente della commissione. Il quarto e ultimo segnale dell’Europa che cambia è emerso nelle giornate interparlamentari di Bruxelles (20-23 gennaio), ed è sembrato chiaro che il controllo democratico sul governo economico dell’Unione non sarà affidato al solo Parlamento Europeo, ma reso più vitale dall’intreccio, con commissioni congiunte, dei poteri dell’assemblea europea con quelli dei parlamenti nazionali.

Per completare questo quadro dell’Europa che cambia, mentre le forze populiste e antieuropeiste affilano le armi per condurre un attacco senza precedenti proprio contro l’Ue che cambia, sovviene l’intervista apparsa su “L’Unità” del 10 febbraio del più europolista degli europarlamentari, il primo vicepresidente in carico del P.E., Gianni Pittella, che da leader politico dell’Ue sviluppa temi di più profondo respiro europeo, che costituiscono il “quid novum” della sfida che lancia a tutte le forze politiche della destra europea. Il primo tema è quello dell’ingresso del Pd nel Partito socialista europeo, che aveva già sostenuto con forza nella mozione presentata a sostegno della candidatura alla segreteria del Pd. Questo tema è collegato alla novità introdotta dal Trattato di Lisbona, che, come sottolinea Gianni Pittella, prevede che ora il Consiglio europeo decida sulla base dei risultati elettorali, in quanto, come sostiene Pittella: “I socialisti europei hanno deciso di politicizzare fortemente la campagna per le Europee e lo hanno fatto mettendo in campo una personalità politica di primo piano come Martin Schulz, che Pittella ha avuto modo di apprezzare nella sua azione di vicepresidente vicario dell’Europarlamento, in quanto per la prima volta c’è la possibilità, in base alla normativa del Trattato di Lisbona, di indicare un candidato di riferimento alla presidenza della Commissione Europea. Gli altri temi che Gianni Pittella tratta in questa intervista si intrecciano con quelli illustrati da Andrea Manzella, costituzionalista e già eurodeputato della Sinistra italiana. Si tratta di temi quali: l’avanzata delle forze euroscettiche; creazione degli “Stati Uniti d’ Europa, per avere una moneta unica con uno Stato; l’eccessiva penalizzazione dell’Europa del Sud. Temi di fondamentale importanza attorno ai quali ruota la nuova Europa integrata che punta al riscatto dal suo grigiore per un ulteriore balzo in avanti, seguendo la, linea di Altiero Spinelli, che con l’Atto unico ed il Trattato di Unione politica, rimasto purtroppo nel cassetto, ha dato slancio all’Europa del suo tempo.

Gianni Pittella, con la sua moderna chiave di lettura degli eventi attuali, interpreta in termini reali l’azione propagandistica delle forze euroscettiche che avanzano, perché trovano terreno favorevole nel “disegno sociale che sta investendo l’Europa e rischiano di avere buon gioco i proclami di Grillo, della Lega e persino di Berlusconi contro l’euro, quando invece il problema non è uscire dall’euro, cosa peraltro impraticabile, “quanto dotare la moneta unica di un governo economico e di una politica fiscale di tipo europeo. Questo tema fa il paio con l’altro che mira alla creazione degli Stati Uniti d’Europa, perché “abbiamo una moneta senza Stato e questo ci ha portato grossi guai. La Commissione deve essere un vero governo e l’Europarlamento una Camera legislativa dell’Unione”.

Infine, l’altro tema cruciale che riguarda le due Europe : quella depressa del Sud e l’altra del Nord ricco, che Gianni Pittella affronta da convinto meridionalista, sostenendo che: “L’Europa del Sud ha subito una penalizzazione eccessiva dai governi europei in maggioranza di centrodestra. Ora tocca operare sul Patto di Stabilità, perché i Paesi in recessione e a forte disoccupazione abbiano una fase di sterilizzazione del famigerato cappio del 3%, consentendo loro di investire in settori nevralgici come istruzione, ricerca, difesa del suolo”.

Non è un dubbio che l’azione di contrasto disegnata da Pittella è l’unica che può rilanciare l’Europa verso il traguardo dell’integrazione, battendo l’avanzata delle forze populiste che vogliano disintegrare il grande sogno europeo che fu di Altiero Spinelli e degli altri grandi europeisti di questo Paese, da Alcide De Gasperi a Gaetano Martino e Ugo la Malfa: gli Stati Uniti d’Europa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45