Il costo della Crimea secondo Obama

La crisi in Crimea, è stato detto da più parti, riecheggia in molti versi gli scontri “per procura” tra Usa e Urss degli anni della Guerra Fredda. Ma all’epoca, dietro le quinte dell’equilibrio del terrore, agiva anche una diplomazia occulta che, al di là dei proclami ufficiali, lavorava soprattutto per mantenere aperti i canali di comunicazione tra Washington e Mosca, onde evitare che un eccessivo attrito tra le due superpotenze provocasse una scintilla in grado di dar fuoco alle polveri atomiche. Un sistema che si basava essenzialmente su di un patto non scritto: una frase, a prima vista insignificante, poteva in realtà racchiudere un’indicazione di come (e se) avrebbe reagito una superpotenza nel caso in cui l’altra avesse portato a compimento una data azione.

Ad esempio, nel 1956 una dichiarazione di Eisenhower diede il via libera all’invasione russa dell’Ungheria: in quei giorni gli Usa erano più interessati agli sviluppi della Crisi di Suez che a sporcarsi le mani in una rivolta in casa del nemico che aveva scarsissime possibilità di successo: e quando il presidente americano dichiarò in pubblico che “il cuore dell’America è a Budapest”, la Casa Bianca non fece altro che confermare a Krusciov che gli americani non sarebbero mai intervenuti a sostegno del governo ribelle di Imre Nagy. Come pure, nell’estate 1961, una sedicente minaccia di Kennedy a Mosca (“Interverremo militarmente a difesa di Berlino Ovest”) fece capire ai sovietici che gli Usa avrebbero mosso guerra all’Urss solo per difendere le loro guarnigioni di stanza nell’area ovest dell’ex capitale tedesca: qualsiasi cosa fosse avvenuta a Berlino Est, ciò non avrebbe interessato Washington. Anzi, lo si è poi saputo in seguito, JFK accolse positivamente la decisione della Ddr di auto-isolarsi costruendo il Muro, che suonava come un chiaro segnale che il Patto di Varsavia non avrebbe attaccato, almeno a breve termine, Berlino Ovest.

Oggi quel sistema segreto sembra essersi rimesso in funzione in Crimea: nonostante le proteste e le minacce, per gli Usa la possibile annessione russa rappresenta paradossalmente la soluzione ideale della crisi innescata dalla cacciata di Yanukovic. E a spingere per un esito del genere sembra essere proprio la Casa Bianca. Possibile? Partiamo dall’inizio. Cosa intendeva Obama quando, il 28 febbraio scorso, dichiarava che l’occupazione russa della Crimea avrebbe avuto “dei costi”? Se voleva minacciare Putin, perché invece di un’espressione così sibillina non ha usato il più incisivo termine “conseguenze”? Possibile che i ghost-writers di colui che guida la prima potenza militare al mondo non abbiano saputo trovare un termine più incisivo? Dinanzi alla più grave crisi tra Mosca e Washington da trent’anni a questa parte, le parole hanno un peso maggiore, e non ci si può permettere fraintendimenti. Dunque quel termine potrebbe essere stato usato di proposito.

Il presidente Usa evidentemente voleva comunicare qualcosa che di certo non era una minaccia, piuttosto un’indicazione per uscire dal pantano, e alla svelta. Si potrebbe obiettare che Obama avrebbe potuto riferirsi ad un isolamento economico, come l’estromissione della Russia dal G8, con conseguenti costi per la stagnante economia russa: tuttavia è più probabile che abbia voluto far sapere agli “addetti ai lavori” ucraini e russi come intendevano reagire gli Usa dinanzi alla pressione di Putin sulla Crimea. I costi a cui Obama si riferiva sono probabilmente quelli di un impegno militare statunitense al fianco di Kiev, insostenibili sia dal punto di vista finanziario che politico: in questo caso, il messaggio era sicuramente diretto al neopremier ucraino Yatsenyuk, e suonava come un “siamo con voi, però scordatevi uno sbarco dei marines a Sebastopoli”.

Ma più che a Yatsenyuk, Obama è sembrato rivolgersi soprattutto a Putin. E in questo caso, il significato poteva essere una sorta di “la pace ha un costo, e gli Usa lo pagano volentieri facendoti prendere la Crimea, visto che la regione è storicamente parte della Russia ed è abitata da russi che con gli ucraini non ci vogliono stare, così ci evitiamo pure che la situazione degeneri come nell’ex Jugoslavia. “Caro Vladimir Vladimirovic, se vuoi mantenere il tuo bel naviglio a Sebastopoli a guardia del tuo gioiellino South Stream (il colossale gasdotto che i russi stanno costruendo sotto il Mar Nero, proprio al largo delle coste ucraine) fai pure, ma il costo da pagare è l’Ucraina russofona: quella resta a Kiev e i tuoi uomini lì non ce li mandi”.

Dunque dal presidente americano sarebbe arrivato un implicito riconoscimento del ruolo dominante (ri)guadagnato dalla Russia nello spazio ex sovietico: per evitare un pericoloso deterioramento dei rapporti con Mosca, Obama sceglie di collocarsi nel solco della vecchia realpolitik e lancia indicazioni a Putin su fin dove deve spingersi in Ucraina. E a sua volta riceve cenni di assenso: la Russia sembra infatti defilarsi rispetto alla rivolta nelle regioni russofone di Donetsk e Kharkiv, come se il Cremlino volesse dare a Washington la sua disponibilità a lasciare a Kiev l’Ucraina orientale, in cambio della Crimea, della base navale di Sebastopoli e della salvaguardia delle relazioni bilaterali.

In sostanza, la crisi ucraina ha assunto le caratteristiche iniziali di una cristallizzazione di due nuovi blocchi contrapposti, molto simile a quella di fine anni Quaranta del XX secolo, quando il blocco atlantico e quello sovietico iniziarono a consolidarsi: come nel 1948, quando la Guerra Fredda era agli albori e Truman lasciò che Stalin si prendesse la Cecoslovacchia con un golpe, poiché, al di là delle dichiarazioni di facciata, non aveva materiale interesse ad intervenire a Praga.

Dopo il multilateralismo (che è sembrato più un unilateralismo statunitense) susseguente al disfacimento dell’Urss, siamo prossimi ad un ritorno al bipolarismo Russia - Usa? Forse non arriveremo ai livelli della “dottrina della sovranità limitata” di brezhneviana memoria, ma sembra proprio che una nuova cortina di ferro stia calando sull’Europa. Stavolta però, invece che a Berlino, corre ad ovest di Sebastopoli.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49