La Tymošenko: Elena di Kiev

Come quella tra greci e troiani, la guerra di Ucraina è nata attorno ad una donna, l’Elena o Giovanna di Kiev. La lunga occupazione di Piazza Maidan e la sollevazione popolare nella capitale ucraina hanno trovato immediata motivazione nel sostegno all’associazione con l’Unione Europea, ma si sono accese per la causa di Julija Tymošenko, l’ex premier incarcerata sotto il successore Yanukovich per tre lunghi anni.

C’è, per le elezioni del 25 maggio (in cui votano sia l’Europa che l’Ucraina), una comune condizione di rarefatto straniamento, da esaurimento nervoso cronico. È folle celebrare elezioni nel mezzo di un conflitto civile con la sicurezza che metà Paese non potrà votare. Ed è folle mettere in competizione un candidato tedesco e un altro semi-tedesco di fronte alla maggioranza non tedesca dell’elettorato boccheggiante per recessione e disoccupazione, determinate dal rigore voluto da Berlino. Sembra quasi che la partitica e l’ancor più potente burocrazia europea, forti di sprechi in bandi europei da 5mila miliardi l’anno, vogliano provocare i popoli fino a portarli al disgusto per l’idea di unità continentale. Il costoso apparato militare euro-nordamericano, vincolo politico alla configurazione della mappa politica, è impegnato in tutti i continenti vicini e lontani senza un solo scopo sensato per i popoli europei. L’unica volta che poteva servire a qualcosa, questo apparato grandioso e potente si rileva inutile.

Nel momento in cui un membro associato (come l’Ucraina) si trova coinvolto in una guerra civile che il suo governo considera aggressione del vicino potente extraeuropeo (come la Russia), l’Europa esclude l’uso dell’opzione militare, che pure nacque solo per questa funzione anti-moscovita. Davanti alla maggioranza degli europei, contrari se non atterriti all’idea di una guerra con la seconda potenza nucleare mondiale, scorrono in successione gli ultimi luoghi di conflitto: Siria, Libia, Nord Africa, Balcani, Iraq, Afghanistan, Kuwait. Conflitti inutili se non dannosi agli europei, sfociati nel bombardamento di capitali del continente. Lo stato maggiore militare non sostiene neppure l’unico Stato simileuropeo che può vantare una sua propria forza militare. Non difende neppure i propri militari inviati in Paesi extraeuropei. Sembra che la Nato voglia prendersi gioco dell’Europa, negando un qualunque straccio di logica al suo comportamento. L’Europa, permeata (tranne l’Italia) di centrali nucleari, si è nel tempo organizzata per soddisfare i propri bisogni essenziali energetici tramite il rifornimento di materie prime russe. Con logica assolutamente razionale di integrazione economica paneuropea, dall’Atlantico al Pacifico, le due aree economiche, europea e slava, si sono compenetrate secondo esigenze combacianti ed oggettive prospettive di sviluppo nella collaborazione e economica. Una volta però che le condotte di gas e petrolio hanno superato le frontiere slave, l’unione economica che ne è risultata, è irreversibile, poiché il blocco delle forniture toglierebbe al venditore russo predominanti mercati, mentre fermerebbe del tutto quella dell’acquirente europeo.

Sbigottiti, gli europei sentono i loro leader parlare di sanzioni sugli spilli contro il Paese le cui forniture miliardarie sono indispensabili. Astensione o voto antieuropeo trovano fondamento così nell’assenza di senso della politica militare, nell’assenza di logica di quella economica e nell’assenza e basta di politica estera. Gli ucraini del Maidan, storicamente elettori della Tymošenko, battutisi in nome dell’Europa, non ne capiscono ubbie, dibattiti e politiche. Si erano ribellati al destino geografico, storico ed economico che li fa parte integrante dell’economia slava, pensando di avere ad ovest un sostegno forte, all’altezza delle spinte fanatizzanti ricevute dai polacchi. Trovano invece un imbarazzato mutismo di alcuni europei e l’accusa di filofascismo, ripetuta da altri europei, in linea con la propaganda della tivù russa.

Altri ucraini, ad Odessa, come a Karkhov, nel Donbass come nel Donesk, erano più indifferenti, abituati nel loro triangolo di terra a confrontarsi con turchi, azeri ed altri popoli del Mar Caspio. La cacciata per sollevazione popolare del governo filorusso di Yanukovich, consumatosi nei suoi anni di potere, ha ovviamente portato al vertice tutte le sfumature destre del nazionalismo di un Paese che per propria sfortuna ha radici negli eroi, da Mazera a Petljura fino a Bandera, dell’alleanza disattesa degli europei schierati dalla parte sbagliata. Queste destre capivano bene che il governo provvisorio di Turchynov, semplice coup d’etat in stile leninista, doveva trovare ratifica dalle elezioni. La scelta di tenerle il 25 maggio, stessa data di quelle Europee, doveva ancora più simbolicamente avvicinare Kiev a Bruxelles. Poi l’assurdo ioneschiano, consueto in Europa, è esploso in Ucraina. La Tymošenko, incarcerata dall’epoca arancione, intervistata da Euronews, ritiene la divisione tra ucraini “impossibile perché solo il 18% dell’Est e del Sud vuole unirsi alla Russia”. E subito dopo dichiara che “sia l’ora non di combatterci gli uni contro gli altri, ma di capirci a vicenda”. Se non ci sono divisioni, “chi sono gli uni e gli altri?”. Strano che non si sia accorta che il 2 maggio a Donetsk, un milione di abitanti, sia stata proclamata una repubblica indipendente.

La Tymošenko chiude gli occhi di fronte a 2,6 milioni di rivoltosi, alla perdita di ferrovie, basi militari, uffici giudiziari e televisioni, addirittura di divisioni ucraine come la 25° Paracadutisti, ed altre arrivate da Dnepropetrovsk, passate, con al braccio l’emblema della guerra patriottica russa di San Giorgio, dalla parte dei russofili. C’è però il presidente ucraino Turchynov, che ammette: “Abbiamo perso il controllo dell’est, c’è poco da fare”. La Crimea è andata, il Donetsk ed il Donbass di Luhansk, anche. Il fronte incendiario è ad Odessa e sale la paura per Kharkov, l’antica capitale dell’Ucraina sovietica.

L’assurdo nell’assurdo è che il quasi centinaio di morti a carico dell’ex premier Yanukovich, ora sbiadiscono nella guerra civile. Le nuove morti non hanno un responsabile. Non il governo ucraino, non l’Europa e, malgrado tutta la buona volontà occidentale, nemmeno Mosca. La Russia non invade, alza solo un sopracciglio, rilancia le antiche parole d’ordine contro l’emigrazione anticomunista, condisce con un pizzico, proprio un pizzico di servizi segreti infiltrati. E ottiene un’Ucraina divisa a sangue, un’Europa divisa ed impaurita e la spaesata flotta Usa che nel Mar Nero russo-turco vede fantasmi d’aggressione dappertutto. D’altronde solo gli Usa a modo loro ci sono con i 17 miliardi di dollari versati dal Fmi agli ucraini. La Kiev della protesta volontaria ora deve affrontare la prima chiamata di leva obbligatoria. Muta ed esterrefatta, nella dissolvenza degli ex eroi di Piazza Maidan, soffre di un’invasione che tecnicamente non è tale. E l’eco dell’assurdo ucraino nel buco della politica dimentico della realtà, si amplifica più volte nel vuoto europeo. La Tymošenko, causa della guerra d’Ucraina, è già elettoralmente sconfitta e politicamente accantonata. Come Elena, causa della guerra di Troia, che rapita da Paride a Menelao finì poi dimenticata da tutti a Rodi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50