Iraq, il Califfato di al-Baghdadi

Il progetto di Califfato, che è stato annunciato in questi giorni, è stato reso possibile dalla profonda precarietà della situazione in Iraq e dalla contradditoria crisi sviluppatasi in Siria. A loro volta, questi drammi hanno avuto origine dalla guerra scatenata dagli Usa dopo il grande attentato contro il World Trade Center e il Pentagono (11 settembre 2001), anche se è difficile attribuire solo agli americani la responsabilità di quegli eventi. Se è vero che il conflitto è stato voluto da Bush (pensava che gli americani, in quanto apportatori della democrazia, sarebbero stati accolti come liberatori) e da Blair (ora sostenitore pentito), svariati altri hanno applaudito per la conquista di Baghdad e si sono entusiasmati quando hanno visto rotolare dal piedistallo la statua del dittatore iracheno Saddam Hussein. Probabilmente avevano ragione quanti allora sostenevano che tutti questi miliardi di dollari per spese militari (giustificate con presunte finalità umanitarie), potevano essere spesi, con maggiori effetti di pacificazione, investendoli nello sviluppo economico e sociale.

Dopo il ritiro delle truppe americane, l’incompetenza del potere centrale iracheno e la sua politica favorevole agli sciiti, hanno portato alla ribellione dei sunniti. L’esercito iracheno, ormai quasi allo sbaraglio, ha reso facile l’avanzata degli insorti jidaisti che, fino al 2011, costituivano una frangia di Al Qaida (il movimento fondamentalista islamico a carattere terroristico, che combatte in nome di Dio, ma che rigetta il Dio degli altri). Mosul (la seconda città irachena, di quasi due milioni di abitanti) è stata occupata da loro e così tutta la provincia di Ninive, ricca di petrolio. Dalla campagna militare iniziata un po’ più di un anno fa, ormai gli insorti jidaisti controllano una grande area a cavallo tra la Siria orientale e l’Iraq nord-occidentale e asseriscono di aver creato uno stato islamico, embrione del Califfato che si vuol restaurare. Questo il loro traguardo annunciato. A questo fine, in Iraq, gli insorti jidaisti hanno stretto alleanze funzionali con altri gruppi differenti, ma uniti dallo stesso odio per il governo del primo ministro sciita al Maliki, come i rivoltosi di alcune tribù sunnite e i baathisti. Sussiste perciò anche il pericolo che, se queste differenze dovessero ulteriormente attenuarsi, possa scoppiare una devastante guerra frontale tra sciiti e sunniti, storici rivali nella lotta di successione al Profeta.

Denominazioni del gruppo degli insorti jidaisti e relative implicazioni egemoniche

(sta per Sham che in arabo significa Levantestato adottato dalla Bbc e poi si è generalizzato. Il termine Levantesta per LevantIraq e du Levant). Gli arabi e gli iraniani hanno Daash (al Dawal al Islamica fi Iraq al Sham). Dove ShamBaghdadi, appena designato dalla Shuraaver tolto ogni indicazione geografica, vuol significare che il nuovo Califfo sarebbe il capo di tutti i musulmani del mondo.

Ciò, però, ha prodotto dei grossi contraccolpi. I salafiti libici e tunisini, incontratisi in Algeria, hanno promosso la convocazione di un grande raduno di jidaisti, che si dovrebbe tenere nel sud-est della Libia. Sarebbero stati invitati tutti i capi dei gruppi jidaisti del Nord Africa, compresi quelli di Boko Haram. L’obiettivo, secondo il quotidiano algerino ‘el Khabar’, è decidere se restare fedeli ad Al Qaida (e quindi ad al-Zawahiri) oppure aderire al nuovo Califfato guidato da al-Baghdadi. Si tratterebbe dell’inizio di uno scontro aperto fra i due gruppi. E già Mokhtar Belmokhtar, un grosso esponente di Al Qaida, che aveva prima giurato fedeltà ad al-Zawahiri, si è avvicinato al nuovo califfo al-Baghdadi. I principali gruppi della ribellione siriana anti-Assad, come era da aspettarsi, hanno subito respinto con forza la proclamazione di al-Baghdadi definendola “nulla e non avvenuta, legalmente e logicamente”.

La successione dei Califfati Sunniti

Per comprendere la posta in gioco, bisogna dire qualcosa anche sui Califfati. Premettiamo che parliamo solo dei Sunniti. Per gli sciiti, infatti, più che di Califfato si deve parlare di Imamato, a causa del ruolo preminente dell’Imam (la Guida); fra di essi si ha un’altra linea di successione e il periodo di maggiore splendore si ebbe con la dinastia sciita-ismailita dei Fatimidi (909-1171) che governò anche in Sicilia. Il Califfo per i Sunniti è il ‘successore’ politico (più che spirituale) di Maometto. E’ il sistema di Governo adottato nei territori arabi e in quelli successivamente conquistati, benché la sua istituzione non sia prevista né dal Corano né dalla Sunna e intende rappresentare l’unità politica di tutti i musulmani.

Così si distinguono i cinque periodi di Califfati sunniti. Nel primo, dopo la morte di Maometto, (632-660) governarono quattro Califfi (detti ‘i ben guidati’) che avevano conosciuto direttamente il profeta. Essi organizzarono lo Stato ed ebbero come capitale Medina. Poi si ebbe un secondo periodo con gli Omayyadi (660-750) di Siria, una ricca famiglia di mercanti di La Mecca. Con essi inizia il califfato dinastico e acquisisce un ruolo determinante la disputa se ammettere alla suprema carica islamica un qualsiasi credente, oppure riservare il posto di Califfo a un appartenente alla ristretta cerchia dei compagni del Profeta e attribuirlo, con l’inevitabile trascorrere del tempo, a un discendente di Maometto. La capitale passò a Damasco e il periodo si caratterizzò per una grande espansione territoriale. Il terzo periodo è quelli degli Abbasidi (750-1258) d’Iraq, discendenti dallo zio di Maometto. Si sono istallati con un’insurrezione guidata da loro, in cui furono sterminati tutti gli Omayyadi, tranne uno [da cui nascerà prima l’Emirato (756) e poi il califfato omayyade Andaluso di Cordova (912-1027)]. Abbraccia un periodo di tempo molto lungo: oltre cinquecento anni. La capitale venne trasferita a Bagdad. Ma, verso l’ultimo periodo, molti governatori cominciarono a non riconoscere più l’autorità del Califfo, per cui si affermarono i Sultani. Nel 1258 Bagdad venne conquistata dai Mongoli e l’ultimo califfo abbaside fu messo a morte. Segue un quarto periodo (1261-1517). Ufficialmente il Califfato degli Abbasidi finisce nel 1258. Un loro discendente, però, riuscì a trovare rifugio al Cairo, ove sotto la tutela e il controllo dei Mamelucchi (che da schiavi erano diventati affermati guerrieri e, infine, governatori) si perpetuò una forma di califfato che gli storici sogliono chiamare il “califfato fantoccio del Cairo”. Infine c’è il quinto ed ultimo periodo: è il Califfato Ottomano (1517-1924) di Turchia. Iniziò quando il Sultano ottomano Selim conquistò il Cairo e trasportò ad Istambul, che divenne la nuova capitale, gli emblemi del potere califfale abbaside. Il Califfato Ottomano si esaurì nel 1924 ad opera dall’Assemblea Costituente, voluta da Mustafà Kamel, detto Ataturk, che dichiarò estinta la linea califfale del Casato di Osman (iniziato nel lontano 1281).

Gli avvenimenti attuali

Il 27 giugno 2014, un venerdì, giorno sacro per i musulmani, a mezzogiorno, è apparso in pubblico il nuovo Califfo. In una storica moschea di Mosul ha guidato le preghiere e ha tenuto, dal pulpito, il sermone rituale, durato poco più di un quarto d’ora. Questo evento è stato considerato da tutti come una dimostrazione di forza nei confronti degli altri gruppi jidaisti, tanto più che il sermone è stato diffuso, con un video, anche su Internet. Sarebbe stato un modo di mostrarsi e di legittimarsi di fronte a tutto il mondo musulmano, anche a quanti sono molto scettici nei suoi confronti.

Da quel momento, il leader, che prima era conosciuto solo con il nome di battaglia di al-Baghdadi e che aveva prima sempre preferito la riservatezza, ha ripreso il suo nome di Ibrahim al Qureshi, diventando così, agli occhi dei suoi sostenitori, il Califfo Ibrahim. Non dimentichiamo che con l’espressione “al Qureshi”, cioè membro dei coreisciti, si esplicita chiaramente l’appartenenza all’antica tribù del Profeta e, quindi, se ne giustifica la successione. Anche perché, quando nel 1924 fu abolito il Califfato, personalità sunnite, riunite in Arabia, convennero che tra i requisiti della rifondazione doveva esservi quello che il futuro Califfo facesse parte della tribù dei Qureshi. Sarebbe, quindi, la restaurazione dell’unico Califfato legittimo per tutto il mondo musulmano, che parte dalla morte del Profeta ed arriva fino ad oggi; cioè costituirebbe la prosecuzione legittima del Califfato Ottomano estintosi nel 1924, escludendo così non solo la rappresentanza di tutti gli altri gruppi jidaisti, compreso quello di Al Qaida, ma chiedendo ad essi di accettarne l’autorità e di sottomettersi.

Nella storia dell’Islam non sono mancati periodi in cui vi sono stati più Califfi allo stesso tempo, in nome di legittimità contrastanti. Al Qaida, fino ad ora, non ha nominato un capo jidaista come Califfo. Che succederà adesso, dopo la sfida di al-Baghdadi ad al-Zawahiri, che ha scavalcato il ruolo e l’importanza dei jidaisti? Al Qaida non può continuare a lungo a fare silenzio e le alternative sono molto limitate.

Il nuovo Califfato intenderebbe estendere i suoi territori e si proporrebbe di restaurare i confini del vecchio impero islamico (ne è stata diffusa anche la carta geografica), sognando di arrivare fino a Roma, già assediata dai saraceni nell’843, e considerata simbolo del potere occidentale. Rivolgendosi ai musulmani, al-Baghdadi li esorta a prendere le armi e a combattere: “Se avrete fiducia conquisterete Roma e il mondo intero”. Minacce più esplicite sono rivolte contro gli Usa: “Pagheranno un prezzo più alto di quello fattole pagare da Osama Bin Laden” perché “sono i primi fra gli infedeli e la loro battaglia contro i musulmani è perduta”.

I primi beneficiari di una affermazione degli uomini di al-Baghdadi, cioè dello smembramento di fatto dell’Iraq, che potrebbe seguire all’attuale caos iracheno, sarebbero i Kurdi, che hanno già occupato Kirkuk, ricca zona di risorse petrolifere, che considerano la loro capitale storica. Il crescente peso del Governo autonomo del nord-Iraq, appoggiato da oltre cinquant’anni dagli israeliani contro l’allora governo centrale di Bagdad, tende ora verso una esplicita richiesta di un referendum sul diritto all’autodeterminazione, anche se ciò è contro la politica americana che punta al mantenimento di uno stato iracheno unificato.

In tutta questa vicenda, con i sunniti di al-Baghdadi che hanno annunciato l’instaurazione del Califfato, non è ancora chiaro l’atteggiamento dell’Iran sciita verso l’Iraq, suo vicino alleato. Si limiterà ai consigli, al sostegno morale, oppure invierà soldati per combattere a fianco degli iracheni sciiti contro i jidaisti sunniti ?

Intanto, in Iraq, continua la crisi politica interna. I cosiddetti blocchi (cioè sciiti, sunniti e kurdi) non riescono a trovare un accordo (a causa della mancata presentazione di un candidato che possa guidare il nuovo esecutivo, da parte degli sciiti, cui spetta tale carica), per cui è stato rinviata, al 12 agosto prossimo, la seduta del nuovo Parlamento iracheno, eletto nell’aprile scorso. E si fa sempre più forte, fra gli strati popolari, la tensione per la costituzione del nuovo governo che possa affrontare la minaccia dei jidaisti del proclamato Califfato.

Vogliamo aggiungere a queste note un’amara constatazione. Fra gli obiettivi dei jidaisti di al-Baghdadi si annovera anche la volontà di far scomparire le vestigia dei monumenti considerati infedeli. Non si tratta solo di moschee e minareti sciiti né di chiese e monasteri cristiani ma anche delle testimonianze di tre-quattro millenni fa, cioè di quando l’Iraq si chiamava Mesopotamia; in altri termini delle origini di quella civiltà mediterranea assimilata da tutto l’Occidente. A pochi chilometri da Mosul, considerata la capitale del presunto nuovo Califfato, infatti, si trova l’antica capitale dell’impero assiro, Ninive. Qui vi sono centinaia di aree archeologiche concernenti le città monumentali degli Assiri, con le loro sculture ciclopiche e i meravigliosi bassorilievi in pietra. Si teme la furia iconoclasta di questi estremisti. Gli uomini di al-Baghdadi si sono installati all’interno del museo di Mosul dicendo ai funzionari locali di essere in attesa di istruzioni per distruggere le statue, perché tutti i falsi idoli vanno spazzati via. C’è il reale pericolo che possa accadere quanto è già avvenuto nei due siti dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità: la distruzione (nel 2001) dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, e la distruzione (nel 2012) di tombe e mausolei musulmani, risalenti al 1320, nel Mali, perché considerati forme di adorazione politeista, ereditate dagli idolatri.

Concludiamo ripigliando quanto è stato detto all’inizio. Gli Usa non hanno trovato in Iraq né le temute armi di distruzione di massa né alcuna prova che Saddam Hussein avesse appoggiato gli estremisti islamici: sono le due motivazioni che li avrebbero indotto a combattere in Iraq. Ed ora, ironia della storia, per aiutare l’Iraq contro le minacce del neo presunto Califfato, gli Usa devono accordarsi con i due loro maggiori avversari della regione: da un lato, intendersi con i detestati iraniani e, dall’altro, sostenere, in qualche modo, il vituperato dittatore siriano Assad.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:45