La premiata ditta Isis

All’inizio hanno ricevuto fondi dalle monarchie sunnite del Golfo per combattere l’odiato regime alawita di Bachar Assad in Siria; ora gli jihadisti dell’Isis si sono organizzati in un articolato sistema di finanziamento che ogni giorno porta nelle casse del Califfato islamico milioni di dollari.

Con l’abdicazione del vecchio emiro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, che ha ceduto nel giugno del 2013 il potere a suo figlio, il principe Tamim, e la contemporanea uscita di scena dell'ex primo ministro e uomo forte dell'emirato, lo sceicco Hamad bin Jassem al-Thani, si sono interrotti i flussi di denaro da Doha che avevano alimentato fino ad allora l’Esercito islamico. Lo sceicco Hamad bin Jassem, cugino del vecchio Emiro, che era anche vice presidente dalla Qatar Investment Authority, uno dei fondi sovrani più ricchi al mondo, guardava con favore alla ascesa del movimento islamico di Al Baghdadi come strumento per minare il potere di Bachar El Assad in Siria.

Con lo stesso obiettivo, il principe Bandar bin Sultan, fino ai primi di quest’anno capo dell’Al Mukhabarat Al A'amah, il servizio segreto saudita, considerato uno dei falchi nella famiglia reale degli Al Saud, aveva destinato milioni di dollari per addestrare e armare i guerriglieri del nascente Isis. Quando gli jihadisti hanno mostrato il vero volto barbarico e preso di mira anche le monarchie del Golfo, il re saudita Abdallah ha iniziato a preoccuparsi e dopo aver aderito alla coalizione internazionale contro l’Isis, ha allontanato il principe Bandar e nominato al suo posto il ministro degli interni, il moderato principe Mohammad bin Nayef, che ha immediatamente chiuso i cordoni della borsa per gli islamisti.

Le donazioni che ancora arrivano dall’estero, da associazioni islamiste o da facoltosi sponsor privati, rappresentano ormai solo poco, circa 50 milioni di dollari, delle risorse finanziarie dell’Isis. Lo Stato islamico è l'organizzazione terroristica più ricca al mondo; la coalizione internazionale che dall’8 agosto scorso ha avviato la campagna militare contro gli islamisti, sta cercando di tagliare i mille rivoli che alimentano le casse del Califfato. A differenza di Al- Qaeda, le cui risorse provengono in massima parte da donazioni, i jihadisti dell’Isis, che controllano un territorio più esteso del Regno Unito, si finanziano con il contrabbando di petrolio e gas naturale, il racket, il saccheggio, i sequestri di persona, la vendita di capolavori 1 archeologici e di antiquariato rubati, la tratta di esseri umani. A nulla varebbero perciò le sanzioni occidentali che qualcuno vorrebbe imporre sulle zone dominate dagli islamisti.

La principale voce nelle entrate del Califfato viene dal petrolio; l’Isis controlla sette campi petroliferi nel nord dell'Iraq e sei dei dieci giacimenti in Siria, in particolare nella regione orientale di Deir ez- Zor e in quella settentrionale di Hasakah. Il greggio viene raffinato nei diversi impianti sequestrati e venduto a prezzi stracciati sul mercato nero. Secondo gli analisti della Cia, dalla metà di giugno, da quando cioè ha conquistato i territori in Iraq e in Siria, da questo traffico l’Isis ricaverebbe circa un milione di dollari al giorno. Secondo altre fonti, i proventi dal petrolio sarebbero addirittura il doppio, circa 420 milioni di dollari alla fine del 2014. Si stima che il Califfato possa produrre 350.000 barili al giorno, rispetto ai 60 000 barili prodotti attualmente; il prezzo medio di vendita del barile “jihadista” al mercato nero oscilla tra i 25 e i 60 dollari al barile, molto conveniente se rapportato ai tassi praticati sul mercato internazionale.

Per indebolirne le capacità, le forze della coalizione internazionale stanno cercando di colpire le raffinerie, anche quelle più piccole, di cui dispone l’Isis; al riguardo team di sabotatori sarebbero stati infiltrati in quelle zone. Nei giorni scorsi le forze regolari irachene hanno riconquistato, dopo intensi bombardamenti americani di copertura, la città di Baiji, dove ha sede la più grande raffineria in Iraq, che era occupata dai miliziani jihadisti dall’estate. Baiji è strategica perché si trova sulla strada principale tra Tikrit, da cui dista circa 40 chilometri, e Mosul, ancora sotto controllo dell’Isis.

Il petrolio estratto dagli islamisti viene venduto a mediatori curdi in Iraq che poi lo rivendono in Turchia; le polizie e i servizi segreti turchi e del Kurdistan lavorano in stretto coordinamento nel contrasto al contrabbando di petrolio. Secondo informazioni di intelligence, anche il regime di Assad, ormai stremato dagli anni di guerra civile e senza più autosufficienza energetica, acquisterebbe petrolio da mediatori dell’Isis. Le vendite di petrolio avvengono principalmente con l’uso di camion-cisterne che seguono le rotte impervie dei contrabbandieri turchi, da sempre attivi in quelle zone. L’ambasciatore dell'Unione europea in Iraq, Jana Hybaskova, avrebbe riferito ad alcuni parlamentari europei in visita a Baghdad nelle settimane scorse, che i servizi di intelligence iracheni avrebbero scoperto contratti di vendita di petrolio “jihadista” anche a società di mediazione basate in Europa. Quello che è certo è che 2 gli uomini dell’Isis hanno sviluppato una fitta rete di intermediari petroliferi nei paesi e territori limitrofi. Oltre al petrolio i jihadisti controllano i giacimenti di gas naturale in Siria e in Iraq; il gas liquido viene contrabbandato a commercianti iracheni che lo trasportano con piccole cisterne in Iraq e anche in Giordania.

Oltre alle risorse petrolifere, le casse del Califfato sono piene dei milioni di dollari in contanti che erano nei caveau delle banche irachene e siriane razziate dai guerriglieri dell’Isis la scorsa estate durante la loro avanzata. Solo a Mossul, secondo quanto ha dichiarato il governatore della Banca Centrale irachena, Abdul Turki Saeed, le riserve di cassa delle banche prima dell'offensiva jihadista ammontavano a oltre 900 milioni di dollari. Altre entrate provengono dal racket sui commercianti locali e dalle tasse imposte alle popolazioni nei territori occupati, inclusi i pedaggi su auto e camion che percorrono le strade del califfato. L’”agenzia delle entrate” dell’Isis è molto severa: chi evade rischia la decapitazione.

Gli uomini di Abou Baqr Al Baghdadi traggono risorse anche dalla produzione di cereali, grano e orzo, in particolare nella zona intorno ad Aleppo, da sempre considerata il granaio della Siria, che porta nelle casse degli jihadisti circa 200 milioni di dollari all'anno. E’ per questo motivo che i bombardieri della coalizione internazionale hanno preso di mira anche i silos di grano, come è successo nei giorni scorsi a Manbij, una decina di chilometri da Raqqa, la capitale in Siria del califfato islamico.

Anche il rapimento di civili a scopo di estorsione viene considerata fonte di entrate; l’Isis avrebbe già ricavato oltre 20 milioni di dollari solo negli ultimi mesi. Diversi sono i governi europei che in cambio della liberazione di propri cittadini rapiti si piegano al pagamento del riscatto. I jihadisti inoltre hanno “formalizzato” la reintroduzione della vendita di "schiavi" quale fonte di reddito, come è apparso sulle pagine della rivista di propaganda jihadista Dabiq; vengono venduti come schiavi i yazidi mentre cristiani ed ebrei, la “gente del libro” come definita dal Profeta Maometto, possono evitare questo destino pagando la tassa islamica della “jizia”.

Importanti entrate assicura anche il traffico di oggetti archeologici e di antiquariato, razziati da musei, chiese, antichi santuari, siti di patrimonio cristiano, ebreo o musulmano. Gli uomini del califfato hanno stretto accordi con esponenti criminali del contrabbando internazionale di opere d’arte che si occupano della selezione e 3 della vendita sui mercati illegali internazionali delle opere. Solo dai capolavori rubati e contrabbandati dalla zona intorno ad Aleppo, l’isis ha guadagnato circa 40 milioni di dollari, secondo la valutazione dei servizi segreti britannici.

Tutti questi soldi servono al Califfato per mantenersi; i combattenti iracheni e siriani, stimati dalla Cia intorno alle 30.000 unità, ricevono un salario mensile di 400 dollari al mese, più 100 dollari se sposati e 50 dollari aggiuntivi per ogni figlio. Ai jihadisti stranieri, i “Muhajiroun”, viene dato uno stipendio tra i 700 ei 1000 dollari, a seconda del grado di istruzione. Alle vedove di guerra viene assicurata una pensione di 300 dollari.

Bisogna poi amministrare gli ampi spazi occupati e fornire un minimo di servizi pubblici alle popolazioni civili; il governo centrale iracheno destinava alle zone attualmente occupate dal califfato circa 2 miliardi di dollari l’anno.

L'esercito islamico deve poi mantenere efficiente la macchina bellica, anche acquistando armi sul mercato nero. L’Isis dispone anche di tre aerei da guerra, Mig 21 e Mig 23, il cui funzionamento è costosissimo, sottratti all’aviazione siriana.

Ma l’ambizione di Al Baghdadi di lasciare il segno nella storia è molto forte. Nei giorni scorsi uno dei suoi portavoce ha annunciato che il califfato sta per coniare una propria moneta, che si ispira al Dinar, in oro e argento puro, che era in circolazione nel periodo dello splendore del primo Islam.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:52