Le relazioni americane

Su proposta di Giscard d’Estaing, all’epoca presidente della Repubblica francese, si riunirono tra il 5 e l’8 gennaio 1979, nell’isola di Guadalupa in America centrale, il presidente americano Jimmy Carter, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, il primo ministro inglese James Callaghan e lo stesso Valéry Giscard d’Estaing. La conferenza durò tre giorni e fu fatale per Mohammad Reza Shah e per la dittatura monarchica in Iran. La rivolta popolare del 78-79 aveva decretato il suo inesorabile trapasso; bisognava trovare un rimedio. Il presidente francese si proponeva di convincere i suoi amici della sorte del monarca iraniano. Ma -racconterà in seguito- con grande stupore, trovò gli inglesi e soprattutto gli americani più che convinti che ormai lo sciah di Persia andava mollato. Gli Stati Uniti d’America su insistenza di Zbigniew Brzezinski, paladino dello status quo, -allora Consigliere per la sicurezza nazionale, e tuttora consigliere molto ascoltato da Obama- erano stati fermi nel sorreggere lo sciah fino al giorno prima. Nel frattempo però William H. Sullivan, ambasciatore americano a Teheran, chiedeva al suo governo il beneplacito per contattare i “rappresentanti” di Khomeini a Teheran e raccomandò di fare lo stesso a Parigi. Già il 3 gennaio s’era riunito il Consiglio di sicurezza statunitense presieduto da Jimmy Carter e si era deciso di mandare il generale Robert Huyser, vice comandante delle forze americane della Nato, per rassicurare lo Stato maggiore dell’esercito dello sciah del sostegno statunitense e invitare i militari a non abbandonare il paese. In sostanza si cercava di impedire un eventuale intervento dei militari dopo l’uscita dello sciah. Khomeini mise piede a Teheran la mattina del 1° febbraio 1979. Sull’aereo, delle linee Air France, che lo riportava in patria dopo quindici anni, alla domanda quale fosse il suo sentimento per il ritorno, Khomeini rispose hichi, nessuno.

La sera del 3 febbraio, il generale della Nato Robert Huyser, dopo aver compiuto la sua missione -guidare l’uscita di Mohammad Reza Shah e l’entrata dell’ayatollah Ruhollah Khomeini- lasciava l’Iran. L’11 febbraio cadde il regime monarchico e s’insediò il regime khomeinista che spinse il paese verso un’islamizzazione forzata, sotto gli occhi increduli di milioni di iraniani. Questa è la data di inizio dell’integralismo islamico al potere, così come lo intendiamo oggi.

La lotta del popolo iraniano per la democrazia era incominciata alla fine dell’Ottocento. Dopo anni di dura battaglia i persiani avevano ottenuto un Parlamento, che si riunì per la prima seduta il 6 ottobre 1906. Già allora le fortissime ingerenze straniere, in particolare quelle rozze e violente russe e quelle sofisticate e insidiose inglesi, insieme alle servili pedine interne, soffocarono il sogno democratico dell’Iran. Oggi, in sostanza non è cambiato molto. L’Iran e gli Stati Uniti non possono non avere rapporti. Ma l’incapacità endemica delle pedine interne e i ripetuti errori esterni (degli USA) hanno complicato i ruoli. Gli stranieri, l’Occidente, per soccorrere il potere dispotico iraniano e impedire il corso verso la democratizzazione del paese, sono costretti a inventare le vie più tortuose per tenere in sella un regime mai così detestato dalla popolazione. Le cancellerie occidentali per raccattare un accordo sul nucleare col regime iraniano, chiudono tutte e due gli occhi sull’impressionante numero di esecuzioni capitali in Iran: oltre 1200 dall’insediamento di Rouhani. Il 18 novembre il regime è stato condannato, per la 61esima volta dall’ONU per la perpetua violazione dei diritti umani.

L’Occidente, in sostanza tace. Forse l’Occidente ha percepito che la pena di morte è linfa vitale per il regime teocratico al potere in Iran. Chiedere a questo regime, che per “legge” viola quotidianamente la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, il miglioramento della situazione dei diritti umani, è una mera illusione. È -per dirla con un detto persiano- come mungere un montone. Frattanto l’integralismo islamico al potere nato in Iran ha infestato tutto il Medio Oriente e non solo. La verità è che il regime religioso al potere in Iran sin dal suo insediamento ha eretto un muro tra sé e ogni forma di civiltà. Un muro che impedisce agli iraniani di partecipare alla vita politica del loro paese e soprattutto toglie loro il diritto ad una vita dignitosa. I dilettanti dei Diritti, incapaci di vedere il muro, descrivono il regime iraniano in modo immaginario e funzionale alla voce del padrone; gli appiccicano l’etichetta di democratico. Taluni pensano di poter passare sotto il muro e con le loro ripetute frequentazioni cancellano la linea rossa con la dittatura. Cercano di celare l’obbrobrio di andare a braccetto con gli uomini di un regime sanguinario. La soluzione all’integralismo islamico è la democrazia e uno Stato laico, cosa che non c’è affatto nelle corde di tutti gli uomini al potere in Iran.

Intanto il governo del presidente “riformista”, che aveva promesso di sistemare la disastrosa situazione economica del paese, rincara del 40% il prezzo del pane, aumenta del 30% il budget del ministero della Difesa e del 50% quello dei pasdaran. Secondo i calcoli della Banca centrale dell’Iran, il salario minimo è pari ad un terzo della cifra della soglia della povertà. Lo stipendio di un pensionato consentiva, fino all’aumento, solo di nutrirsi di pane. Che succederà ora?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:32