L’adesione della  Palestina alla Cpi

Negli ultimi giorni molto si è parlato dell’adesione della Palestina alla Corte Penale Internazionale, Tribunale con sede all’Aja la cui competenza si estende ai crimini di guerra e contro l’umanità. Poco però è stato precisato in merito alla distinzione tra l’adesione vera e propria al fine di divenire Stato membro e la mera accettazione della giurisdizione di quella Corte.

Il 31 dicembre il Presidente dell’Autorità Palestinese (AP), Mahmoud Abbas, ha sottoscritto e trasmesso i documenti necessari per accedere al sistema della Corte penale internazionale (Cpi). La questione è apparsa insolita poichè la Palestina ha chiesto, nel giro di pochi giorni, sia l’attivazione della Corte che l’adesione allo Statuto di Roma per il tramite di due distinti strumenti.

Il 5 gennaio, dopo giorni di indiscrezioni in merito, la Corte ha rilasciato un comunicato con cui confermava che la Palestina ha sottoscritto una dichiarazione di accettazione della giurisdizione del Tribunale dell’Aja ai sensi dell’art. 12 (3) dello Statuto, che prevede tale possibilità anche per gli Stati non Parte. Tale procedura, che conferisce alla Corte la giurisdizione ad hoc, su casi specifici, era già stata adottata dalla Palestina nel 2009, a seguito dell’ operazione “Piombo fuso”. Il dibattito che ne seguì si concentrò prevalentemente sulla possibilità di qualificare la Palestina come “Stato”, ma i nodi da sciogliere furono più politici che giuridici. Contro il parere di alcuni illustri internazionalisti, i quali ritenevano che non vi fossero ostacoli all’apertura di un’indagine, l’allora Procuratore della Corte Moreno Ocampo decise, al termine di tre anni di dibattiti, che non vi fossero basi sufficienti per considerare valida l’accettazione della giurisdizione da parte della Palestina, proprio a causa delle incertezze gravanti sul suo status giuridico-internazionale, che la qualità di semplice osservatore presso le Nazioni Unite non contribuiva a dissipare.

Lo stesso Procuratore, sebbene avesse rigettato l’istanza, precisò che le cose sarebbero andate diversamente se la Palestina fosse divenuta ‘Stato osservatore non-membro’, cosa che è avvenuta con la risoluzione dell’assemblea generale del 29 novembre 2012.

A seguito di questo nuovo elemento si può pronosticare che la richiesta ora depositata possa avere diverso esito, anche se la portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha subito espresso forte opposizione basata sulla asserita permanenza della mancanza del requisito della statualità della Palestina definendo qualsiasi tentativo di approccio alla Corte un passo sbagliato che può minare ‘la fiducia in un serio impegno da parte palestinese per i negoziati di pace’ e che potrebbe mettere in discussione gli aiuti economici verso quel Paese.

È tuttavia da considerare che il requisito della statualità sembra prendere sempre più consistenza non solo alla luce della risoluzione dell’assemblea generale citata ma anche per il fatto che la Palestina oltre ad aver ratificato diversi trattati “riservati” agli Stati, comprese le Convenzioni di Ginevra, è membro dell’Unesco ed è stata ufficialmente riconosciuta da 134 Paesi.

Il 7 gennaio la Corte ha rilasciato un altro comunicato per annunciare che la Palestina ha anche attivato la procedura per aderire ufficialmente allo Statuto e che ne diverrà parte dal 1° aprile. Sicuramente le autorità palestinesi hanno deciso di intraprendere entrambe le vie, quella dell’accettazione della giurisdizione ad hoc e quella dell’adesione, poiché quest’ultima, da sola, non consente la retroattività della giurisdizione della Cpi. La Palestina, non a caso, ha sfruttato questa possibilità depositando la dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte per fatti commessi a partire dal 13 Giugno 2014. La data scelta dall’AP come inizio della finestra temporale corrisponde al giorno dopo il rapimento dei tre soldati israeliani che ha provocato l’escalation culminata nell’operazione militare “Protective Edge”, facendo ritenere che il rapimento possa restare fuori dall’investigazione.

I fatti portati all’attenzione dell’Ufficio del Procuratore potrebbero costituire reato ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto, crimini di guerra, e saranno valutate responsabilità sia da parte israeliana che da parte palestinese. Qualora venisse accettata la competenza della Corte, potranno finalmente essere accertate le eventuali violazioni commesse nel corso delle operazioni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07