Il coraggio di dire che l’Isis è il nemico

Quanto sta accadendo in queste ultime ore in Libia non dovrebbe suscitare né particolare sorpresa, né nuovo timore. La minaccia dell’Isis era di per sé già evidente e allarmante da prima che le bandiere nere svettassero sul golfo della Sirte. Adesso che il Sud Italia si trova sotto il raggio del fuoco nemico e che il ministro Paolo Gentiloni è stato definito un “Crociato”, la questione dello Stato Islamico non può più essere considerata dalla classe politica un problema esterno.

Resta tale comunque in una parte considerevole dell’opinione pubblica italiana, restìa, o apertamente contraria, ad accettare che ci si trovi di fronte a un nemico. Proprio questa parola, e il rifiuto categorico dell’esistenza di un corpo che si deve definire tale, sono concetti alla base dell’atavica tendenza degli italiani a non volersi battere. Che la pace in Italia la si sia sempre, o quasi, comprata svendendo la sovranità nazionale non è certo una novità, ma dai tempi della guerra fredda in poi questa pratica si è colorata di una forma di inconsapevole egemonia nel capire ed interpretare il pensiero e i desideri altrui. Sembra impossibile accettare che le guerre, la lotta per il potere e la supremazia, i massacri e tutti gli abomini di cui è costellata la storia possano nascere e scaturire da logiche interne alle società d’oltre Mediterraneo. La chiave di lettura per la comprensione dei mostri che dovremo combattere trae il proprio fondamento dall’azione dell’Occidente e dei suoi Stati forti, Gran Bretagna e Francia in passato, oggi Stati Uniti e Israele.

Le barbarie compiute in nome di Dio e pubblicizzate con sicuro compiacimento sono una necessaria reazione alla politica aggressiva e criminale dell’Occidente, e sulla base di questa certezza il pensiero italiano si culla nella propria inattività e nel non-coinvolgimento nei processi della storia. Similmente accadde durante la guerra fredda quando tanti, troppi italiani rifiutavano di trovarsi in una guerra, salvo poi, non volendola combattere, cercavano rifugio sotto l’ombrello americano e atlantico. Per giustificarsi allora si ricorreva all’intervento a stelle e strisce in Vietnam, al coinvolgimento nel golpe cileno, e alle altre azioni di cui gli Usa, guida del primo mondo, si facevano carico. L’Italia urlava la propria indignazione, tipica di chi il potere non lo può e lo sa gestire.

Oggi le dinamiche corrono su simili binari, e di fronte agli omosessuali e apostati impiccati in Iran, alle teste mozzate negli stadi sauditi, alle decine di migliaia di vittime siriane, e agli attacchi nelle capitali europee, si ricorre sempre ai due Satana, Stati Uniti e Israele, colpevoli di manipolare, aizzare, distorcere e plasmare le menti e le volontà altrui, come se le centinaia di milioni di fedeli dell’Islam non avessero una mente propria e indipendente, come se fosse impossibile per loro avere una umana volontà di sopraffazione, di imposizione, di potere anche violento verso o contro il prossimo. Questa logica di poter pensare che il lupo non mi sbranerà se non lo attacco io per primo, è un lusso di cui l’Italia ha goduto nel secondo dopoguerra ma che oggi non può più permettersi.

Il problema dell’estremismo islamico ci riguarda, né più e né meno di quanto riguardi Paesi come l’Egitto e la Giordania, i quali stanno dando prova di capire la natura del nemico, e di volerlo combattere con le necessarie armi, quelle che distruggono anche fisicamente il nemico. Lo Stato Islamico e il suo pensiero totalitario e pre-moderno sono una realtà che dilaga all’interno dei nostri confini, crea consenso nelle moschee anche in Europa, nelle nostre società secolarizzate e libere, e arruola seguaci che hanno piena coscienza delle loro scelte e della visione del mondo per cui combattono.

Ritenere che il mostro dell’estremismo islamico sia solo una reazione alle politiche occidentali è indubbiamente un’ipotesi rassicurante, ma falsata. Credere che portare un mazzo di fiori di fronte a chi sguaina Corano e spada possa stemperare l’incandescente contrasto, non fermerà la loro avanzata. È tempo di capire che esistono alternative peggiori alla guerra, che i nemici sono entità reali, con un nome, un volto e un’ideologia da combattere con forza e convinzione. L’Italia (e con essa l’Europa) deve capire che la protezione atlantica di cui ha goduto per cinquant’anni non esiste più, e che i problemi dovrà risolverli da sola, da nazione matura e indipendente.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03