Gli ebrei, l’egoismo e la solidarietà

Sono tra i primi ad essere intervenuti in aiuto del Nepal. Secondo la Cnn, Israele ha inviato subito 260 soldati, quasi 100 tonnellate di aiuti umanitari ed attrezzato un ospedale con 122 medici, infermieri e paramedici. Gli altri Paesi: Regno Unito, 68 persone, Cina 62, Stati Uniti 54, Corea del Sud 40, Taiwan 20, Italia 15 e Francia 11. Paesi arabi non pervenuti.

Israele ha surclassato tutti per numeri e rapidità di azione, soprattutto in proporzione al numero di abitanti, solo 8 milioni, dello Stato più insultato del mondo, ma capace di dimostrare una solidarietà che i loro detrattori nemmeno si sognano e che non stupisce solo chi comprende come il popolo ebraico sia da millenni la migliore espressione dell’egoismo sociale. È la sua forza, quella che lo ha fatto sopravvivere alle persecuzioni ed anche, temo, il motivo per cui gli altri popoli hanno cercato di sterminarlo.

È il popolo che meglio di ogni altro ha capito che gli egoismi dei singoli non dovessero essere repressi in favore di una società fine a se stessa, ma che al contrario fosse la società ad essere al servizio dei suoi membri perché l’unica che ci permette di soddisfare tutti gli egoismi. L’egoismo “sociale” è, infatti, una forma strumentale a quelli interiori ed esteriori, nato negli uomini per soddisfare il loro istinto di sopravvivenza in tutte le forme in cui si è sviluppato nei millenni. È ciò da cui prende vita la suddivisione dei compiti, sperimentata con successo nella cellula fondamentale della famiglia e via via allargatasi a tribù, nazioni, continenti, fino ad abbracciare l’intero genere umano.

È paradossale, peraltro, che coloro che più avversano l’egoismo siano i primi ad esaltare la preminenza della società sul singolo, senza rendersi conto che senza egoismo la società non servirebbe a nulla, non sarebbe forse neppure nata e non si sarebbe sviluppata come oggi la conosciamo. Sono gli egoismi a renderla indispensabile. È tutta questione di tempo, capacità e libero scambio. Perché́ la società̀ funzioni, infatti, tutti i suoi membri devono fare la loro parte, suddividendosi i compiti, producendo quei beni e fornendo quei servizi utili a soddisfare i desideri degli altri membri. Se io occupo il mio tempo a produrre abiti, devo avere modo di acquistare con il ricavato il cibo, le scarpe, e tutti i beni che soddisfano i miei bisogni, altrimenti salta il sistema.

Sono ancora gli ebrei che, meglio di ogni altro popolo, hanno saputo coniugare e favorire gli egoismi dei singoli, ma andare oltre i loro individualismi, giungendo a comprendere l’immensa forza dell’unione di un popolo che vale molto di più della somma dei suoi membri. Il singolo non è più solo un individuo, ma parte integrante di un organismo che acquista vita autonoma. L’istinto di sopravvivenza si espande, così, dall’individuo alla società di cui fa parte, dalla più piccola associazione fino all’intero genere umano, e lo induce a fare quanto possibile per garantirne l’immortalità̀.

Che sia stata la cultura millenaria, la combinazione tra spirito di sopravvivenza dei memi e dei geni, collegherei piuttosto l’istinto, tutto umano, di aiutare il prossimo alla consapevolezza di far parte di un organismo vivente, una società. Al fine di garantirne la perpetuazione, non si può che partire allora dalla sopravvivenza di tutti i suoi componenti. Ognuno sa che il suo benessere dipende da quello di ogni parte del suo corpo, che il dolore ad un dito implica la sofferenza dell’intero essere umano, così come un’infezione non curata può portare alla setticemia, un’arteria ostruita può causare un infarto. Ugualmente, la perdita di un parente, di un figlio, è una tragedia per l’intera famiglia, in cui i membri sono indotti ad aiutarsi per garantire la sopravvivenza di geni e memi comuni, della cultura e della storia che li uniscono. Ebbene, allo stesso modo, il singolo sente di non essere solo un individuo, ma parte di una comunità vivente, che può sopravvivere solo se tutti i componenti collaborano tra loro, la fanno funzionare, permettendo di sopravvivere a tutti i memi e geni dei loro membri.

La principale differenza tra un individualista ed un egoista è tutta in una rinuncia, perché il vero egoista è colui che, grazie all’egoismo sociale, rinuncia all’appagamento autonomo di un egoismo e condivide con altri le proprie risorse (tempo, energie o beni), per il perseguimento in forma associata degli egoismi di ciascuno, che siano gli stessi a cui ha rinunciato, oppure altri a cui dà un superiore grado di priorità. Si tratta, dunque, di una rinuncia relativa perché ciò che mettiamo in comune ci viene restituito in proporzione maggiore. In realtà è un investimento di un egoismo attuale in vista del perseguimento di un egoismo ulteriore o successivo di maggior valore.

Perché una società possa, quindi, dirsi positiva da un punto di vista egoistico, il risultato, l’appagamento degli egoismi, ottenuto da ogni membro deve essere superiore a quello che avrebbe ottenuto impiegando le proprie risorse per se stesso. In caso contrario, o si ha uno sfruttamento ingiustificato delle risorse altrui, oppure la società è in perdita e non ha nessuna ragione di esistere, meglio scioglierla. È il principio base dell’egoismo sociale, che può essere applicato a qualsiasi attività umana, ma la cui valutazione non può che essere soggettiva, perché solo il singolo è in grado di decidere a quali egoismi rinunciare, quali perseguire, quale ordine di priorità dar loro e valutare, per ogni caso concreto, se il risultato ottenuto lo appaghi in misura superiore o inferiore a ciò a cui ha rinunciato. E lo può fare solo attraverso un libero scambio, senza alcuna imposizione da parte dello Stato, che si deve occupare solo di far rispettare le regole, non certo di sottrarre ad alcuni per dare ad altri.

Siamo noi occidentali, soprattutto europei, forse per colpa dell’assistenzialismo cattolico, ad aver stravolto il significato di altruismo, mettendolo in contrapposizione con l’egoismo, dimenticando che invece nasce proprio dall'egoismo sociale, perché è funzionale al benessere di tutti. Se si contrappone, infatti, la società al singolo è inevitabile che questi regredisca allo stadio pre-sociale e ricominci ad essere un individualista che non si cura del prossimo perché non ha più nessun motivo egoistico per farlo. Quando si perde il sentimento di appartenenza ad un popolo, ad una nazione, ad una Patria, viene meno l'egoismo sociale anche nei confronti del genere umano e la solidarietà verso chi non riconosciamo più come parte del medesimo organismo.

E la colpa, mi spiace, non è dell’individualista, ma di chi lo ha reso tale obbligandolo a preferire gli egoismi altrui al proprio, perché ha violato il principio base dell’egoismo sociale ed il singolo non ha più nessun interesse al benessere di una società che non gli dà nulla in più, ma al contrario gli toglie risorse contro la sua volontà per regalarle a chi non ha fatto nulla per meritarsele. Cianciare di solidarietà, di accoglienza, portando all’esasperazione un popolo ed accusarlo di razzismo solo perché chiede di essere tutelato è quanto di peggio si possa fare per distruggere una nazione, annientarne la naturale predisposizione ad aiutare il prossimo, quando è veramente in difficoltà e non quando se ne vuole solo approfittare. Anteporre gli interessi delle minoranze o degli estranei a quelli della maggioranza dei membri di un popolo che si è unito proprio per poter soddisfare al meglio i propri bisogni significa stravolgere il concetto stesso di nazione. E permettersi di modificare impunemente l’inno nazionale non è altro che l’ennesima dimostrazione di una totale mancanza di rispetto verso un popolo, la sua storia ed il sentimento di Patria, quale territorio lasciatoci in eredità dai nostri padri a prezzo di enormi sacrifici.

Perché diciamoci la verità, queste società politicamente corrette, stataliste, dove lo Stato, ossia i potenti di turno, si occupa di tutti i bisogni dei suoi sudditi dalla culla alla tomba, sembrano una bella utopia che affascina tanti, ma è solo cecità dettata dalla pigrizia, perché non possono né potranno mai funzionare. È facile fare i parassiti, aspettarsi che lo Stato elargisca pensioni, appalti, sussidi, stipendi, contributi come se le risorse piovessero dal cielo. Peccato che le risorse vengano tolte ai pochi che continuano a produrre e vedersi sottrarre impunemente il frutto del proprio lavoro non con un libero scambio, ma con un furto legalizzato sotto forma di tasse esorbitanti senza ottenere nulla in cambio. E davvero vi aspettate solidarietà da un derubato? Davvero vi stupisce che ad un certo punto torni all'individualismo e mandi al diavolo la società che lo ostacola, lo deruba anziché aiutarlo?

L’altruismo non si impone, lo si incentiva solo rispettando gli egoismi dei singoli ed il principio base dell’egoismo sociale, solo allora le persone potranno tornare a credere nella società, a partire dalla propria, e poter quindi riscoprire la forza della solidarietà anche nei confronti di chi non fa parte della stessa società. Se uccidi un popolo, se distruggi l’idea stessa di nazione, se dimentichi perché quei membri stanno insieme da secoli, se non da millenni, se anteponi gli interessi degli estranei a quelli di quel popolo, non avrai niente se non la disgregazione della società e l’individualismo.

Non è un caso allora che il popolo ebraico abbia saputo sopravvivere alle persecuzioni proprio di chi non tollerava che gli ebrei non si annullassero nelle società in cui vivevano, che mantenessero la loro coesione senza divenire sudditi sottomessi ai potenti di turno, perché la forza della loro unione ha sempre spaventato chi non era in grado di crearla al proprio interno. Un popolo che trova in se stesso la forza di crescere e di prosperare è un popolo che non si sottomette ai potenti e che mostra un pericoloso esempio per gli altri cittadini, che potrebbero comprendere anche la propria forza e ribellarsi alla sudditanza. Molto più facile elargire briciole, soggiogare con l’assistenzialismo, impigrire ogni spirito egoistico nei propri cittadini, accusarli di mancanza di altruismo se non si fanno derubare del frutto delle proprie fatiche, affinché non comprendano di non essere liberi e magari ringrazino pure per quel poco che ricevono in cambio. Non stupisce affatto, quindi, che in Nepal il popolo ebraico abbia surclassato in solidarietà tutti i professionisti dell’assistenzialismo.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03