Regno Unito, piccola guida alle elezioni

Giovedì 7 maggio si terranno le elezioni politiche più incerte nella storia del Regno Unito. I media italiani, impegnati nell’esaltare molto più di quelli Oltremanica la nascita del secondo “Royal Baby”, si stanno infatti perdendo gli ultimi giorni di battaglia elettorale di quella che è l’elezione per Westminster più incerta di sempre. La lotta per il numero 10 di Downing Street vede da un parte il premier uscente, il Conservatore Davide Cameron, che ha governato negli ultimi cinque anni grazie all’appoggio con i LiberalDemocratici di Nick Clegg, e il leader laburista Ed Miliband.

Il tradizionale bipartitismo inglese, frutto di un sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali, dovrebbe essere definitivamente un vecchio ricordo: in queste elezioni infatti avranno un peso determinante anche lo Snp-Scottish National Party, che ha ritrovato nuova linfa dopo la sconfitta del referendum secessionista di settembre scorso grazie alla carismatica Nicola Sturgeon e che dovrebbe riportare una clamorosa vittoria con quasi 50 dei 59 seggi scozzesi, l’euroscettico Nigel Farage con il suo Ukip (dato nettamente in discesa rispetto alle elezioni europee del maggio scorso) che insidia i seggi Conversatives soprattutto nell’Est dell’Inghilterra, i LibDem di Nick Clegg, (vice primo ministro uscente), rilegati solo al ruolo di quarto partito secondo i sondaggi, con un crollo verticale rispetto al dato del 2010, e i verdi di Natalie Bennett.

Nonostante il leader Conservatives abbia dalla sua un’economia che è la più forte in Europa (l’anno scorso il Regno Unito ha segnato un Pil del +2.6 per cento) e una congiuntura economica favorevole che vede ogni giorno la creazione di 500 nuove imprese, oltre due milioni di persone occupate in più rispetto al 2010 e un deficit pubblico drasticamente ridotto, Cameron fatica nei sondaggi a guadagnare un vantaggio consistente sui Labour. I candidati Conservatives in molti seggi, infatti, sentono il “fiato sul collo” dei candidati Ukip, i quali attingono soprattutto fra elettori conservatori delusi, e seppure in misura nettamente inferiore, anche Labour. Ricordiamo che lo Ukip di Farage si è piazzato primo partito con il 27 per cento alle elezioni europee dell’anno scorso, e ora la sfida per i Conservatives è far capire che un voto dato a Farage è un voto per Miliband.

In questa campagna elettorale Cameron ha agitato spesso lo spauracchio del caos generato da un governo di coalizione Labour-Snp, che massacrerebbe di tasse il mondo produttivo e il ceto medio e porterebbe al dissesto le finanze pubbliche. Il leader laburista Ed Miliband - è bene ricordarlo - è di una “pasta” di gran lunga ben diversa dal “New Labour” business-friendly di Tony Blair, ed è più vicino ad un socialismo vecchio stampo “tax & spend”. Batte molto i tasti della “giustizia sociale” e dichiara che in caso di vittoria di Cameron il sistema sanitario nazionale (Nhs) sarà a rischio tagli. Potremmo definire Miliband tranquillamente come un François Hollande di Oltremanica, ma con la faccia del cartone animato Wallace.

Il nuovo corso dei Labour è così ostile al mondo della finanza e dell’impresa che gli ambienti della City, allarmati dalle ripercussioni di una possibile vittoria laburista con nuove tasse su banche ed assicurazioni, si sono nettamente schierati con Cameron, sia con supporto mediatico – come l’allarme di un sale-off lanciato da Goldman Sachs di recente in caso di vittoria di Miliband – sia con generose donazioni. Se ai tempi di Blair i leader delle società FTSE 100 era ugualmente divisi fra Labour e Convervatives – oggi la quasi totalità dei grandi boss della City si è schierata con Cameron con tanto di appelli pubblici sulla stampa.

L’esito del voto è a dir poco imprevedibile, i sondaggi attribuiscono infatti un testa a testa senza precedenti. L’unica certezza, o meglio, l’unico elemento comune di tutti i sondaggi, è che la sera del 7 maggio nessun partito avrà la maggioranza assoluta dei seggi di Westminster: ci sarà quindi un “hung Parliament” e necessariamente si dovrà formare un governo di coalizione. Altra certezza, secondo i sondaggi, è che il Partito Conservatore dovrebbe arrivare primo per numero seggi in Parlamento. Ma forse non potrebbero essere sufficienti, sommati ai seggi Libdem, per dar vita ad un secondo governo guidato da Cameron.

Forse i seats laburisti, sommati a quelli dello Snp, potrebbero dare vita ad un governo capitanato da Ed Miliband, ed è questa l’ipotesi ad oggi più accreditata dai sondaggisti: i Labour arriverebbero secondi per numero di seggi dietro ai Conservatives, ma grazie all’accordo con i nazionalisti scozzesi (che hanno un programma tasse lacrime e sangue affine a quello Labour), potrebbero accedere al numero 10 di Downing Street.

La battaglia che si sta combattendo in queste ore di Bank Holiday in 40-50 seggi marginali sarà determinante. I conservatori mirano a compensare la perdita di 30-40 seggi verso i Laburisti (allarmante è il dato di Londra, dove i Labour sono in vantaggio di ben 12 punti percentuali sui Conservatives) strappando seggi ai Libdem e cercando di contenere il risultato Ukip. I Labour, invece, secondo le previsioni, guadagneranno 30-40 seggi prima Conservatives, ma perderanno quasi tutti i seggi della Scozia, terra tradizionalmente laburista, a vantaggio del partito nazionalista scozzese. Lo Ukip al massimo dovrebbe guadagnare tre-quattro seggi, sottraendo voti determinanti per i Conservatives nelle altre circoscrizioni elettorali. L’asticella per i conservatori è rappresentata da un numero: 290. Con un numero di seggi o vicino a questa soglia, Cameron dovrebbe avere chances di essere ancora primo ministro.

Questo è quanto si vocifera dal quartier generale conservatore. Sperando che la campagna elettorale messa a punto da Mr. Messina, stratega elettorale delle vittorie di Obama, riesca a dare slancio al partito di Cameron in questi ultimi, fondamentali giorni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07