La nuova cold war

Settant’anni dopo il Congresso di Vienna, nessuno da tempo ricordava più gli equilibri europei fissati da Metternich e dallo zar Alessandro. Settant’anni dopo la pace di Westfalia, lo status delle potenze definito da Richelieu era più forte che mai; doveva aspettare il 1789, dopo altri 71 anni, per cadere. L’equilibrio fissato nel ’45, secondo la famosa analisi del secolo breve, era durato molto meno dei due precedenti storici.

Invece, a 70 anni esatti, la guerra fredda, data per scomparsa da un quarto di secolo, ha avuto un’inaspettata resurrezione. Diverso anche il percorso dei manifesti ideologici del 1815, del 1648 e del 1945. Il fascino del paternalismo aristocratico durò pochissimo. La ragion di stato anti-ideologica ed antireligiosa è rimasta viva nelle coscienze. Più paradossale la sorte dell’antifascismo, oggi ad una sua seconda giovinezza, nel totale travisamento del significato originale. L’ideale della memoria, ribadito ad ogni piè sospinto, poggia sempre più su ricordi da malato di Alzheimer.

In questo 9 maggio all’annuale (dal 1995) parata moscovita, memoria della guerra patriottica, spiccavano bambini e bambine biondi dagli occhi azzurri, figli di oligarchi miliardari, sventolanti bandiere con falce e martello. Malgrado sanzioni, isolamento, crisi economica, quotidiana questua miliardaria alla Cina, la Russia putiniana non ha badato a spese per il suo acme di esibizione militare, neanche a quelle politiche con la significativa presenza dei reparti di Sebastopoli e della Crimea, recentemente conquistata. Mezzi e uomini in campo per lo show militarista sono apparsi sufficienti per un immediato blitzkrieg contro l’Europa orientale più vicina, i cui presidenti, in polemica con Mosca, si sono riuniti a Danzica.

E meno male che nelle prove, il motore del formidabile nuovo tank T14 Armata si sia bloccato nell’ilarità generale. Presenze ed assenze di Mosca ridisegnano i contorni della nuova guerra fredda. Assente l’Occidente, accanto a Putin ci sono i presidenti indiano Mukherjee e soprattutto cinese Xi Jinping; poi l’egiziano al-Sisi ed il palestinese Abbas. Il greco Tsipras, il serbo Nikolic ed il cipriota Anastasiades. Infine il cubano Castro, il venezuelano Maduro ed il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Sulla sua Piazza Rossa, il Cremlino dispiega le classiche carte della guerra fredda, dalla rete rossa internazionale al terzomondismo anticapitalista. Ed assieme vede anche quelle della tradizione panslava ed ortodossa, contraria all’europa germanizzata.

Inserisce quelle del capitalismo e nuovo militarismo dei Brics, strizzando l’occhio alle parate militari iraniane forti di missili nucleari da 2mila chilometri di gittata. Infine, grande novità, assieme su di sé il principio della indipendenza nazionale e della ragion di Stato. I nemici, in una perdurante campagna mediatica, sono tutti giudicati nazifascisti, a partire dall’Ucraina alla Nato, dall’Europa all’America. Al tempo stesso, la definizione più comune del governo di Kiev, in tivù ed alla radio, è quella di Stato ebraico. Stilemi antichi, ben presenti nel tempo sovietico che usavano, sotto l’ombrello dell’antifascismo, le definizioni antisemite del capitalismo finanziario già proprie dei nazisti. Neanche l’altro fronte della guerra fredda limita la propria propaganda. Il portavoce Perebijnis del ministero degli Esteri ucraino ha dato del neonazista aggressore a tutti i partecipanti alla parata del 9 maggio, inclusi i presidenti ceco e slovacco, defilati ma presenti a Mosca.

È l’opinione di Usa e mezza Europa. La nuova guerra fredda, come la prima, condivide l’idea che il nazifascismo, sconfitto nella guerra di 70 anni fa, rivesta il ruolo del male assoluto. Per cui entrambe le parti si sentono legittimate a darsi del fascista. Al tempo stesso la nuova guerra fredda è lo scontro tra l’ideologia del politicamente corretto contro l’interesse degli stati nazionali. Così la Russia ideologica e l’America non ideologica si scambiano le parti. La nuova guerra fredda, come appare evidente, si fonda al tempo stesso sulla distruzione della memoria e sul suo trionfo. Evidenzia come le condanne ideologiche non siano altro che l’esaltazione di interessi nazionali.

La stessa lotta e condanna al terrorismo islamico, prima tanto condivise, finiscono in secondo piano, sotto uno sguardo più attento. L’antifascismo ne esce ridicolizzato a caricatura, ora che le destre più estreme europee e mondiali, prima nemiche della Mosca comunista, sono le epigoni del sincretismo russo al punto da spellarsi le mani per l’appello del destro Dugin contro il neonazismo ucraino. Per questo si fa più forte il ricordo di Ronald Reagan, il presidente Usa vincitore della prima guerra fredda. Reagan però aveva combattuto l’ideologia russa quale base dell’impero del male.

Aveva indicato un nuovo sistema valoriale nel quale il male assoluto era il comunismo, peggiore del nazismo. La nuova guerra fredda, paradossalmente, mantiene la sua eredità, tanto che anche in Russia il termine comunista, protagonista della prima cold war, è assente, del tutto assorbito dal capitalismo dirigista e sostituito dall’anodino termine sovietico. Alla politica di Reagan viene da associare anche l’apertura nixoniana alla Cina. Tra Obama ed il russo Putin è il secondo, oggi, a sembrare l’erede dei due presidenti repubblicani americani.

La nuova guerra fredda è una vittoria delle aspirazioni russe ed al tempo stesso, come ha giustamente detto Silvio Berlusconi, una sconfitta per l’Occidente che ha sprecato l’occasione di una riunificazione paraconfederale del Nord del mondo. L’idea unificante di un Impero francese risultò sconfitta a Vienna, quella del Reich cadde a Westfalia ed a Postdam. Dopo Postdam e Vienna scomparvero anche i tentativi dell’impero russo ed i ritorni di quello tedesco. La nuova guerra fredda si è ristabilita sul deragliamento euro-americano, divenuto, oltre l’impostazione originaria, imperiale e parasovietico. Per questo i suoi fautori di un tempo gli si schierano contro.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:45