Gop 2016, la notte del primo dibattito

Sveglia ore 2.20, caffè, succo al pompelmo, canale 503 Fox News, qualche occhiata a Facebook e Twitter, appunti e citazioni: questa calda estate italiana è perfetta per svegliarsi ad orari improbabili e seguire il primo dibattito tra i candidati alle Primarie del Gop.

In Cleveland, Ohio, dove forse tutto si deciderà a novembre del 2016, 10 candidati repubblicani discutono e cercano di convincere il pubblico di casa che ha sul palco uno dei beniamini locali, il governatore John Kasich. Molti argomenti (immigrazione, terrorismo, Obamacare, Hillary Clinton, Iran, religione) e un obiettivo molto chiaro per 10 candidati: convincere per iniziare la scalata alla Casa Bianca.

Fuori da questo quadro c’è Donald Trump. Il milionario newyorkese rifiuta di mantenere l’impegno con il Partito Repubblicano per sostenere in ogni caso il vincitore delle Primarie, evitando di candidarsi come indipendente se non dovesse toccare a lui. Arrogante come e più di sempre, Trump non pare aver convinto il grande pubblico: poche idee concrete e spesso espresse in modo poco presidenziale (“Il governo messicano invia criminali al confine”, “Se io uso le leggi statunitensi tutti ne parlano, se li usano gli altri nessuno ne parla”, e ancora “non ho tempo per il politically correct, quello che dico è quello che dico, se non vi piace mi spiace”), incalzato dai moderatori (“Trump, lei si dichiarò very pro-choice, posizione tipica del Partito Democratico, quand’è che lei è diventato un repubblicano?”). Si presentava come quello senza molto da perdere, eppure si ha l’impressione che qualcosa sia cambiato dall’altra sera. Ha iniziato il dibattito da front-runner: forse dall’altro giorno non lo è più.

I dibattiti, soprattutto i primi, contano poco. Qualche sorpresa comunque c’è stata. Innanzitutto Ted Cruz. Il senatore texano si fa sempre trovare pronto, parla, dentro il minutaggio richiesto, convincendo con alcune perle che faranno storia come l’attacco frontale a Barack Obama sulla politica estera. “Non possiamo sconfiggere l’Isis – ha detto Cruz – finché il nostro Commander in Chief non userà le parole terrorismo radicale islamico”, aggiungendo che “dovrà essere chiaro a tutti che se aderisci all’Isis o incoraggi una guerra contro gli americani starai firmando la tua condanna a morte”. Patriottico al punto giusto, rivelazione assoluta per il grande pubblico.

Anche Mike Huckabee convince, persino su argomenti complicati come la social security (“Nessuno decide di entrarci, sono 16 milioni di americani che chiedono aiuto e possiamo aiutarli) e intelligentemente attacca (“La Corte Suprema non è l’essere supremo” e ancora “Reagan diceva «fidarsi ma verificare». Obama si fida dei nostri nemici e diffama chiunque non sia d’accordo con lui”). Attento, valido, persuasivo.

Efficace anche Rand Paul, che sceglie di giocare all’attacco di alcuni compagni di viaggio, concentrandosi in particolare su Trump (“È abituato a comprarsi i politici”) e Christie (“Non ho fiducia in Obama: tu lo hai abbracciato, e se vuoi rifallo pure!”). Bene anche Marco Rubio, arrivato qui molto basso nei sondaggi. Il motto “New American Century” e il continuo richiamo al futuro del candidato più giovane è certamente efficace. Per lui c’è un macigno forse insormontabile in questo momento ed è la concorrenza di Jeb Bush in Florida, dove l’ex governatore sembra essere nettamente avanti al giovane senatore.

Per Scott Walker e Jeb Bush, i due immediatamente dietro Trump nei sondaggi, vale più o meno lo stesso ragionamento: bene, anche se non ci sono grandi picchi da segnalare. Jeb in particolare era attesissimo: ricorda a tutti i risultati ottenuti in Florida e scansa con intelligenza la domanda sul suo cognome (“in Florida mi chiamano Jeb”). Poi amministra ed esce senza far danni: a questo punto della corsa è già un buon risultato.

Male Chris Christie. Il governatore del New Jersey sembra un pesce fuor d’acqua, uno che si presenta alla festa anche se non invitato: una specie di democrat infiltrato alle Primarie Gop. Un anno fa sembrava pronto a prendere la leadership del partito, ora pare esserne ai margini.

Ora ai sondaggi il compito di dirci se il dibattito ha cambiato qualcosa. Nel mentre vi segnaliamo quello che per chi scrive è stato il momento migliore del dibattito. Firmato Marco Rubio, sottoscritto da tutti gli altri.

 

(*) Articolo tratto da Rightnation

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:05