Tunisia, il Nobel e la partita Islam

Il Nobel per la Pace 2015 è stato assegnato alla Tunisia, un Quartetto di esimi rappresentanti della società, sconosciuto ai più, in particolare l’Occidente. Nella motivazione si legge: al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino “per il suo contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralistica nel Paese, sulla scia della Rivoluzione del Gelsomino del 2011”. Il Nobel per la Pace, precisa la motivazione, “è stato assegnato al Quartetto in quanto tale e non alle singole organizzazioni”, ma ben poco si comprende del reale perché di un così nobile premio. Anzi, a guardare cosa sia accaduto nei mesi di marzo e giugno 2015, con gli attentati al Museo Bardo di Tunisi e ai turisti europei sulla spiaggia di Sousse, l’Occidente in particolare s’interroga sulla giustezza di tale assegnazione.

A chiarimento di quanto leggerete, devo aggiungere che l’Associazione che presiedo (Anfe Tunisia) ha per scopo principale il “Dialogo Interculturale” tra l’Islam e l’Occidente. Per trattare quest’argomento con la dovizia di cui necessita, ho dovuto approfondire le mie conoscenze del mondo Islamico, non solo come storiografia, tradizioni sociali e culturali (incluso la buona conoscenza del Corano, delle Hadith e delle varie scuole di pensiero Islamiche, e le ideologie delle componenti dei tempi nostri Salafite, Wahabite e Modernisti), ma, in particolare, lo studio degli Ordinamenti Giuridici, nel particolare del Diritto di Famiglia (Statuto della Donna, in Tunisia) dei paesi di fede islamica della sponda sud del Mediterraneo. Non c’è dubbio, infatti, che la molla che ha fatto scattare in me la voglia di approfondimento, è stato proprio l’aver scoperto una differente concezione, un diverso approccio al sistema di vita incentrato sulla diversa visione nel mondo islamico della “donna” nell’ambito della società. Oltre a questo, io credo, infatti, che il problema sia molto più serio di quanto si possa mai immaginare. Perché, che siano due “Culture” di radici diverse non c’è alcun dubbio, ma ai fini di una possibile integrazione tra i popoli, il problema s’incentra non sulle differenze, ma soprattutto sulla compatibilità alla pacifica convivenza tra le due culture.

Quando si parla di differenze, infatti, nella maggioranza dei casi, le stesse servono a “completarsi” reciprocamente, quindi nell’ambito di una possibile fusione vanno stimolate. Se invece si va ad analizzare l’”incompatibilità”, emerge chiaramente ciò che una delle due culture in esame non è assolutamente disposta a sacrificare! Questo certo non lo dico solo io, ma è la Tunisia stessa che lo ha urlato (spesso incompresa e inascoltata!) al mondo, con il Premio Nobel per la Pace che gli è stato assegnato, con la storia dei trascorsi degli ultimi anni, con l’assassinio di due tra i più attivi e stimati parlamentari “modernisti” nel corso del primo anno di legislatura post rivoluzione, con la morte dei numerosi militari che hanno sacrificato la loro vita (e continuano a farlo) nella lotta al terrorismo islamico nostrano, ma ancor di più con il “silenziosissimo” scontro (dal punto di vista politico si chiama “confronto”, ma quello culturale di matrice islamica è un vero e proprio scontro che nasce proprio dalla incompatibilità tra le due culture a confronto. E, lo sottolineo a chiare lettere, io sto parlando di due sistemi di vita, quindi due culture, che nascono dalle stesse radici arabo-islamiche!

Lo scontro, evidenziatosi all’indomani della cacciata di Ben Alì nel 2011, è apparso in tutta la sua visibilità, nelle scorse elezioni Presidenziali del dicembre 2014, tra l’ottantaquattrenne Essebsi, di cultura bourghibiana, e il “comunista-arabista” Marzouki. Da una parte un Musulmano (così lui stesso ha amato presentarsi ai giornalisti il giorno dopo le elezioni legislative!) di matrice Modernista. Dall’altra un Comunista Islamista (come si faccia a unire queste due indicazioni politiche solo il mondo Arabo ce lo può spiegare!) che persegue un più acuto ritorno alla tradizione dell’Islam delle origini.

Ma l’Islam non può e non sarà mai solo un religione! l’Islam è un modo di vivere, quindi una proposta politica di vita sociale, che ahimè è ben diverso da quello di radici ebraico – cristiane. Nella considerazione che quest’ultimo nel corso dei secoli ha subito una evoluzione verso la “laicità” dello Stato, pagando il suo dazio con il sangue del popolo, attraverso le grandi Rivoluzioni sociali, in particolare quella americana e quella francese, che hanno costituito la base del nuovo umanesimo. Cioè la base laica, su cui l’occidente è passato dallo Stato dei “Doveri”, la Legge di Dio del monoteismo papale in cui era tutto articolato sui doveri dell’uomo nei confronti di Dio e tra di loro, a uno Stato dei “Diritti” basato sul riconoscimento ragionato dell’essere umano, della sua dignità e delle sue esigenze di vita terrena.

Se questo è stato l’insegnamento verso la laicità del pensiero occidentale, per l’Islam, per contro, è da considerare l’ortodossia più tradizionalista se non fondamentalista, oggi rappresentata dal pensiero salafita o arabo wahabita, che ha da sempre costituito quella irrinunciabile visione politico-religiosa, attraverso la quale si è costruito nei tempi l’Islam teocratico dell’Arabia Saudita o del Qatar e, forse un po’ meno, anche dell’Iran.

Il fondamentalismo è cosa antica nel mondo islamico e, purtroppo, non è compatibile neanche con le altre forme di essere musulmano che si vanno affermando nel mondo. Nella sostanza è da quando è nato l’Islam che si è venuto a creare il dilemma tra Religione e Ragione; argomento peraltro quanto mai dibattuto anche oggi nel mondo occidentale. Facendo un logico parallelo è, dunque, proprio qui in Tunisia che il confronto/scontro tra ortodossia e modernismo islamico ha avuto inizio e, ancor di più, si sta ancora giocando. I modernisti sono aperti al confronto culturale, anzi lo auspicano proprio per approfondire le differenze e cercare un percorso di comune pacifica convivenza, nel pieno rispetto l’uno delle differenti radici dell’altro; gli Islamisti (che al loro interno hanno una componente a orientamento salafita stimata intorno al 60 per cento, cioè un milione e mezzo di tunisini) che, per nulla scossi dagli eventi in Libia o nell’Isis, continuano a “stimolare” l’opinione pubblica per una Tunisia maggiormente tradizionalista nel segno di un Islam più “sano”: quello che non ha nessuna voglia di mettersi in discussione, perché si rifà all’Islam puro e semplice professato dal Profeta Maometto. Quello che, riferendosi a un sistema di vita nato 1637 anni fa (secondo il calendario musulmano), è oggi più che mai considerato incompatibile con la cultura occidentale! Un Islam che trova il suo riferimento più marcato nell’Arabia Saudita dei giorni d’oggi, in cui, a conferma di quanto detto, il solo fatto di aver potuto portare alle elezioni comunali un 20 per cento di rappresentanti femminili, ha causato il forte malcontento della totalità della popolazione di cultura wahabita. Quanto mostra lo scenario mediorientale, tra sciiti, sunniti, le divisioni e gli odi intestini che esistono anche al solo interno dei sunniti (Al Baghdadi-Isis e Abdelaziz El Saud-Arabia Saudita: i due Califfi “riconosciuti” del mondo sunnita), le faide e le persecuzioni al loro interno (Sufi - De Asha - Yazidi, Turcomanne, Ashabad), la differente radice culturale che ancora oggi insiste nelle frange sunnite più ortodosse, dando origine ai Wahabiti, Salafiti, Fratelli Musulmani etc.). Ecco, provate un po’ a parlare con questa gente di Multiculturalismo e dell’accettazione dell’altro!

In Tunisia, unica nazione in cui si spera nell’avvento di una sorta di “democrazia islamica”, siamo giunti al punto che all’indomani delle ultime elezioni politiche (il 26 ottobre scorso) il leader del partito di maggioranza relativa Nidaa Tounes (38%), il già citato presidente Essebsi, di scuola Bourghibiana, quindi laico sino all’osso, si è affrettato a fare una comunicazione ufficiale smentendo qualsiasi voce sulla natura “laica” del suo partito che, bensì, è da considerarsi “modernista”. Giacché il dirsi “laico” nella Tunisia di oggi, malgrado tutto, è quasi uguale al professarsi “ateo” (in arabo effettivamente non esiste distinzione tra il laico e l’ateo; ambedue i vocaboli vengono tradotti con lo stesso nome) ed equivale a essere oggetto da parte di frange salafite-jihadiste di Fatwa (responso giuridico) con sentenza di morte. Nel mondo politico tunisino, già occorsa per ben due volte nei passati due anni (Mohamed Brani e Chokri Belhaid) come accennato!

Dopo tanto divagare sulla cultura “arabo-islamica”, possiamo finalmente aprirci al perché del Premio Nobel!

Nell’immediato dopo Rivoluzione dei Gelsomini, qui meglio conosciuta come “Rivoluzione della Dignità”, L’Arabia Saudita e il Qatar agiscono, con finanziamenti e attività di mero proselitismo, attraverso il partito islamista Ennahda per l’affermazione di un ritorno alla cultura delle origini; quella professata dall’ortodossia islamica wahhabita! Grazie agli abbondanti fondi pervenuti, nell’estate 2011 la stragrande maggioranza dei matrimoni delle coppie tunisine sono sponsorizzati da Nahdha e svolti secondo tradizione islamica. Le famiglie bisognose ricevono assistenza attraverso centri sociali appositamente creati, aumentano le “mense sociali” e i punti di ritrovo per la preghiera. Il pellegrinaggio a La Mecca, l’Ḥajj – quinto pilastro dell’Islam e obbligatorio per ogni musulmano, viene raddoppiato in numero e offerto a titolo gratuito. Nel giro di un anno le moschee passano da 2500 a più di quattromila e molte di queste sono a rito “salafita”, il più ortodosso degli ortodossi (ad esempio: scuole coraniche salafite, poligamia, fatwa, ecc.)!

Il risultato più immediato che hanno ottenuto è stato l’ondata di salafismo perverso che ha pervaso il centro e l’entroterra della Tunisia, producendo nel breve più di ottomila giovani Jihadisti che sono andati a combattere in Siria (inizialmente con l’opposizione, quindi entrati a pieno titolo nell’Isis) e più di tremila in Libia per Daëch (Isis Libia). Ai fini interni, inoltre, la contrapposizione parlamentare evidente tra la maggioranza islamista di Governo (Nahdha + P.C. Tunisino) e il fronte popolare modernista, si è tradotta in ambito sociale con una strategia della “tensione” attuata con capillare continuità, che ha portato, oltre al brutale assassinio dei due parlamentari citati, alle azioni terroristiche perpetrate, in particolare, contro le Forze Armate e la Guardia Nazionale Tunisine. I tre anni del dopo Rivoluzione sono stati un vero e proprio stillicidio di azioni armate, attività terroristiche, esecuzioni di Fatwa, ecc., applicate inesorabilmente, ripetitivamente e con stressante continuità, soprattutto nell’entroterra tunisino e nelle aree montagnose al confine con l’Algeria. Risultato che purtroppo si protrae nel tempo e, anche se in modo molto meno palese e sempre più contrastato dallo Stato, continua a manifestarsi nelle forme più perverse ancora oggi. È quanto accaduto al Museo del Bardo, a Tunisi, nel mese di marzo di quest’anno, che ha provocato l’uccisione di 22 turisti (quattro italiani) ad opera di un gruppo di terroristi Jihadisti (tutti tunisini), così come il successivo attacco jihadista sulla spiaggia di Sousse con la brutale uccisione di 37 vittime europee (a maggioranza inglesi e belgi); sempre ad opera di un secondo gruppo tunisino, entrambi associati a Daëch Libia!

Il successivo Stato d’Emergenza dichiarato in Tunisia ha portato all’immediata chiusura di più di un centinaio di Moschee, di quelle recentemente costruite, di rito salafita. Ma ancora più significativo, all’arresto di quasi quattrocento salafiti ultraortodossi, di cui ben centocinquanta erano, da meno di due anni, stati inquadrati nei ranghi (quadri, ma anche qualche dirigente) delle Forze dell’ordine (Polizia e Guardia nazionale) tunisine.

Ma il popolo tunisino fortunatamente è di buon livello culturale e, anche se non è un vocabolo molto appropriato, moralmente emancipato per non accettare l’imposto ritorno alla cultura islamica delle origini. Ecco quindi che nel pieno del confronto parlamentare, in particolare in ambito universitario, viene generata una sorta di coscienza riformatrice che fa capo, insiste e persiste attraverso una moltitudine di associazioni. È l’associazionismo il vero movimento che ha dato un apporto impagabile all’avvento della prima democrazia islamica del mondo arabo! Latifa Lakhdar, attuale ministro della Cultura e della salvaguardia del patrimonio tunisino, è stata una degli attori più dinamici del dopo rivoluzione. La sua personale visione delle assurdità proposte dal fondamentalismo islamico sono condensate nella constatazione che l’integralismo musulmano di oggi, anche terroristico, non è una scheggia impazzita, ma fa tutt’uno con l’ortodossia islamica: “quella dell’università Islamiche, dei gran muftì, dei celebrati teologi, degli imam che predicano nelle più importanti moschee, delle monarchie, dei governi. La medesima ortodossia islamica con la quale la Chiesa cattolica si sforza di dialogare”(*). Già da questa affermazione emerge l’indicazione che Me Latifa si è indirizzata alla totalità di interlocutori possibili, in particolare quelli istituzionali. Il coinvolgimento della Chiesa cattolica, infatti, a mia interpretazione, volge a enfatizzare l’inutilità del dialogo interreligioso svolto sino a oggi che, invece di cercare di portare l’interlocutore islamico all’uso della ragione, sfruttando quella che dovrebbe essere stato il percorso sperimentato per aprirsi all’umanesimo, non fa altro che aprirsi alla mera conoscenza dei dogmi “intoccabili” dell’ortodossia islamica, convinti che la sola presa di conoscenza reciproca porti al reciproco rispetto. In una certa maniera una “falsità” così come Latifa Lakhdar definisce falsità propria del mondo islamico la più volte enfatizzata linea di demarcazione fra l’ortodossia musulmana e l’integralismo. “La demistificazione consiste nel trattare il movimento integralista (ndr: fondamentalista), che ora è l’espressione maggiormente presa di mira dall’opinione pubblica mondiale e quella più problematica, non come movimento religiosamente scismatico rispetto all’ortodossia (come si tende a collocarlo tacitamente), ma quale esso è realmente, cioè come movimento che si pone nel cuore dell’ortodossia, così come essa venne fissata, chiusa e dogmatizzata perlomeno fin dal V secolo dell’egira, e che da allora vive sul proprio passato [...] barricata dietro gli steccati teologici dell’epoca classica dell’Islam.

Attingendo le fonti della verità nel passato, il loro discorso poteva essere solo tradizionale e quindi incapace di partecipare efficacemente alla critica riformatrice dell’ortodossia. E dal loro fallimento trasse nuovo vantaggio proprio l’ortodossia, come dimostra anzitutto il successo storico del wahhabismo, movimento che attinge la propria dottrina dal Hanabalismo sunnita, e in secondo luogo la nascita e l’importante radicamento sociale dei raggruppamenti noti come fratelli musulmani in Egitto e in India.” Con queste sue dure ma inequivocabili affermazioni il Ministro Latifa mette in evidenza il ruolo giocato dall’ortodossia islamica, dogmaticamente espressa dall’Arabia Saudita, nell’attività di proselitismo svolta anche in Tunisia.

Lo sviluppo del suo pensiero, però, si è focalizzato maggiormente sulla realtà sociale mediterranea e a quella del suo Paese. Sul sentimento popolare post rivoluzione aggiunge: “grazie ai quattro anni di libertà del dopo rivoluzione del 2010, il sentimento critico popolare si è evoluto. Nel corso di questi ultimi anni siamo andati molto avanti. Ma quanto abbiamo raggiunto è una mancanza della formazione di un unico pensiero critico ragionato, il che ci rende suscettibili di trasformare il tutto in opinioni casuali e talvolta negative. È ovvio che quando il cittadino tunisino passerà dalla cultura orale alla lettura e allo sviluppo della creatività attraverso il teatro, la musica e le altre arti, il pensiero critico si evolverà. Tutto questo non è solo la missione del ministero della Cultura ma coinvolge l’intero sistema educativo e formativo”.

Ho accennato alle motivazioni che hanno influito sull’assegnazione del Premio Nobel per la Pace assegnato alla Tunisia e, forse, mi sono dilungato un po’ troppo sulle ragioni di fondo e su quanto realmente accaduto in questa terra negli ultimi quattro anni. Ministro Lakhdar non fa parte del “quartetto” cui andrà il Nobel, ma un aneddoto su quanto ha fatto per la costruzione della nuova democrazia Tunisina è essenziale per ben comprendere quello che è realmente accaduto in Tunisia, ma anche quanto errata e malefica sia stata la strategia Usa del “mandante” attuata in tutta l’area mediorientale. Nel pieno del post-rivoluzione, nel mentre la Commissione Parlamentare per la redazione della futura Costituzione voleva inserire un articolo (Art. 28) che proponeva la “complementarietà” della donna rispetto all’uomo in ambito familiare, il 14 agosto 2012 in pieno Ramadan, Latifa Lakhdar scese al tramonto alla testa di oltre diecimila donne tunisine, accompagnate da mariti e figli, per protestare contro la proposta portata avanti dagli islamisti di El Nahdha. “Un termine che non capiamo”, “Non c’è Repubblica senza parità”, “Le donne Tunisine, sono donne complete, non hanno bisogno di complementarietà”, ecc.. Ma quella non fu soltanto una manifestazione di protesta. Per Latifa fu anche l’occasione per aprire al “dialogo” la classe politica (in particolare il conservatorismo religioso dell’ala più radicale di Al Nahdha) con un insieme di comitati formati per la maggior parte da professori universitari e intellettuali in rappresentanza delle più disparate associazioni, che la stessa Latifa Lakhdar poi sintetizzò come in rappresentanza della “Società Civile”. Fu generato un Quartetto di Associazioni rappresentative dell’insieme del fronte riformista: Il segretario generale dei sindacati dei lavoratori, Houcine Abbassi, la Presidente dell’associazione degli imprenditori, Wided Bouchamaoui, il presidente della Lega per i diritti umani, Abdessattar Ben Moussa, e il presidente dell’ordine degli avvocati Fadhel Mahfoudh. Attraverso questi elemeti rappresentativi della società civile, fu quindi possibile aprire al dialogo le varie commissioni parlamentari per la riforma della Costituzione. Certamente il percorso per cambiare l’articolo 28 non fu né facile né breve. Ma grazie alle due nuove entità che Me Latifa era stata capace di attuare: il “Dialogo” e “La Società Civile”, finalmente il 14 gennaio 2013 fu inserita, anche se in modo tumultuoso, sofferto e appassionato, nella nuova Costituzione la parità uomo-donna, che venne poi recepita attraverso un insieme complesso e articolato di princìpi e dispositivi. Quello fu il primo valido risultato della strenua quanto silenziosa (mai fu divulgato in pubblico o attraverso i media il contenuto dei confronti avuti!) negoziazione che ha accompagnato l’iscrizione, nella Costituzione, non solo della parità donna-uomo, ma anche di una serie di contenuti “gender-sensitive”, portato avanti non solo dalla mobilitazione delle femministe, ma anche dal costante controllo esercitato da quel nucleo agguerrito di giuristi, intellettuali e parlamentari del fronte laico che hanno introdotto nel sistema decisionale il costante confronto tra progetti politici, modelli sociali e contenuti culturali diversificati.

Malgrado quanto accennato sulla fine dello Stato d’Emergenza, la Tunisia continua a combattere la sua dura, durissima lotta per l’emancipazione democratica del paese. Non si deve però dimenticare il consistente fronte “islamista” interno, né tanto meno i più di diecimila Jihadisti al di fuori della Tunisia. Così come va enfatizzato come proprio da questa terra arriva il forte e perentorio richiamo al “dialogo interculturale”. Lo stesso, grazie al quale si è arrivati alla possibilità di creare un prossimo governo tra modernisti di Nidaa Tounes e islamisti di El Nahdha.

La Tunisia di oggi continua a guardare nel suo più assoluto silenzio le nazioni europee, in particolare Francia e Italia. Perché solo attraverso la conoscenza e il rispetto reciproco si potrà ipotizzare in futuro qualsiasi forma di integrazione. L’Europa siamo noi con i nostri Ordinamenti Giuridici, le nostre leggi, la nostra tradizione e la nostra Memoria. In una sola parola, la nostra Identità. Differenti società, unite da un’unica radice culturale, che dovrebbero creare intorno alla loro tradizione e alla loro cultura (compreso le radici religiose e l’eredità culturale) il punto di forza per la futura, ma sempre più pressante, integrazione tra i popoli.

Proprio perché si va sempre più manifestando una certa dicotomia culturale tra Islam e Occidente, sarà forse arrivato il momento di dire “Conosci per farti conoscere” (brutto perché tradotto dall’arabo, ma ben concreto: لتعرف أعرف - Aaraf ltoraf!)? E’ giunto dunque il tempo per approfondire la conoscenza l’uno dell’altro alla ricerca di quel comune intelletto generato dalla ragione umana, affinché quella pletora di musulmani che continua a desiderare di venire in Europa si senta un po’ meno a casa propria e pensi un po’ più al rispetto di quella che per noi popoli europei è stato il faro ispiratore dell’attuazione pratica del “raziocinio umano”, al di la di ogni dogma religioso impositivo.

Quella meravigliosa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, che, seppur dal lontano 1948, è sempre attualissima e veritiera!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:58