Amici turchi dell’Isis

Appena pochi giorni fa a Bruxelles, al vertice straordinario dedicato all’emergenza profughi, il presidente turco Recep Erdogan era stato accolto trionfalmente dai leader dell’Unione Europea, che avevano deciso di concedere ben tre miliardi di euro di aiuti ad Ankara, la liberalizzazione dei visti di ingresso in Europa.

per i cittadini turchi e un’accelerazione dei negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea Ma le notizie che il governo russo ha diffuso con molta enfasi alla stampa di tutto il mondo rischiano di rovinare la festa al Sultano di Ankara: il vice ministro russo della Difesa, Anatoly Antonov, ha affermato davanti ad oltre trecento giornalisti convocati in una conferenza stampa che Mosca ha raccolto prove documentali del diretto coinvolgimento del presidente turco e di membri della sua famiglia nel traffico illegale di petrolio con il califfato islamico. Secondo le informazioni dell’intelligence russa, la Turchia sarebbe il principale acquirente dei barili di petrolio che il califfato estrae dai pozzi conquistati in Siria e in Iraq e dai quali gli uomini di Al Baghdadi ricavano quasi cento milioni di dollari al mese, al prezzo attuale del barile.

Erdogan avrebbe fatto nominare lo scorso 24 novembre il genero Berat Albayark, già amministratore delegato del gruppo Calik Holding - molto attivo in tutto il medio oriente - e marito della sua ultima figlia Esra, ministro dell’energia, per controllare direttamente questo traffico. L’anno scorso, alcuni quotidiani turchi di opposizione pubblicarono intercettazioni telefoniche tra Berat e Erdogan, relative a presunti movimenti di denaro dai conti del presidente a quelli del genero per depistare eventuali indagini. Il presidente turco denunciò un tentativo di golpe e fece arrestare e rimuovere decine di funzionari di polizia e magistrati.

Sempre secondo le fonti degli spioni russi, il figlio trentaquattrenne del presidente turco, Bilal, sarebbe addirittura socio in affari nel commercio petrolifero con i jihadisti dell’Isis. Il terzogenito di Erdogan, tramite le navi cisterna della sua compagnia di navigazione BMZ, sarebbe incaricato di esportare il petrolio del califfato dal porto turco di Ceyhan e dallo scalo commerciale di Beirut verso i porti di tutto il 1 Mediterraneo e del nord Africa. Gli agenti russi avrebbero anche fotografato Bilal Erdogan in compagnia di capi jihadisti a Istanbul. Anche la figlia di Erdogan, Sumeyye, avrebbe a che fare con l’Isis, gestendo un ospedale da campo vicino al confine con la Siria per curare i jihadisti feriti. Ogni giorno i camion dell'esercito e dei servizi segreti turchi porterebbero decine di guerriglieri di daech feriti, che verrebbero curati e rispediti poi in Siria a combattere. 

E sono ancora in carcere, con l’accusa di cospirazione ai danni dello stato, i giornalisti turchi Can Dundar ed Erdem Gul, del giornale di opposizione Cumhuriyet, arrestati per aver indagato sulle forniture di armi che il governo, per il tramite degli agenti del MIT, il servizio segreto nazionale, avrebbe inviato ai jihadisti dell’Isis lungo la frontiera con la Siria.

E’ la prima volta che il presidente Erdogan e membri della sua famiglia vengono accusati pubblicamente di collusione con il califfato; la mossa di Mosca, i cui servizi segreti sarebbero stati in possesso delle informazioni già da tempo, è la diretta ritorsione all’abbattimento da parte dei F16 turchi del caccia russo Su24 nei cieli al confine tra Siria e Turchia nei giorni scorsi. In una conferenza stampa a Parigi, al margine del vertice sul clima, Putin aveva dichiarato che la decisione turca di abbattere il caccia russo era stata dettata dalla necessità di Ankara di tenere segrete le forniture illegali di petrolio dall’Isis alla Turchia. L’aereo di Mosca sarebbe stato colpito mentre fotografava il passaggio di cisterne cariche di petrolio jihadista in Turchia.

Il presidente turco Erdogan, che ha definito immorali le accuse di Putin, ha ribattuto dicendo di essere pronto a dimettersi se le illazioni russe fossero confermate. Intanto Mosca ha intensificato gli attacchi aerei contro gli impianti petroliferi del califfato e lo Stato Maggiore ha ordinato ai piloti di sparare a vista sui camion cisterna nella zona controllata da daech. Dall'inizio delle operazioni in Siria il 30 settembre scorso, i caccia russi hanno distrutto 32 impianti petroliferi, 11 raffinerie, 23 pozzi di petrolio e 1.080 camion cisterne che trasportavano petrolio. Secondo gli analisti di Mosca, i danni provocati dalle bombe russe faranno dimezzare il fatturato annuo delle attività petrolifere del califfato, che l’anno scorso è stato calcolato in circa tre miliardi di dollari.

Va riconosciuto comunque che il governo turco ha gradualmente invertito la propria politica in Siria e in Iraq; se all'inizio della guerra in 2 Siria, la Turchia era sospettata di sostenere i gruppi più radicali tra i ribelli siriani anti-Assad e si era astenuta dall’intervenire contro l'esercito islamico nella battaglia di Kobane, a ridosso della frontiera, per non favorire i Curdi, le pressioni occidentali e in particolare statunitensi, hanno indotto Erdogan ad adottare misure più efficaci contro daech. L’esercito turco ha finalmente rafforzato il dispositivo di sorveglianza lungo i 900 km di confine che separano la Turchia dalla Siria, fino a poco tempo fa facile punto di ingresso per i foreign fighters dell’Isis: i servizi turchi hanno annunciato di aver schedato oltre 27.000 stranieri, sospettati di essere guerriglieri di daech, ai quali è vietato il passaggio dalla Turchia e di aver espulso negli ultimi tempi 2.600 possibili jihadisti. Da qualche mese, inoltre, l’aviazione militare turca partecipa agli attacchi contro il califfato in Siria a fianco delle forze aeree degli Stati Uniti e della coalizione internazionale. La polizia di Ankara è poi riuscita a smantellare cellule jihadiste sul suo territorio, colpevoli tra l’altro dei recenti attentati, tra cui quello alla stazione ferroviaria di Ankara del 10 ottobre scorso che ha ucciso 103 persone.

Inoltre, il MIT, l’efficiente servizio segreto turco, ha finalmente avviato lo scambio di informazioni su daech con i servizi dei paesi alleati. C’è da sperare che Erdogan abbia questa volta finalmente deciso da quale parte stare.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:35