Francesco, Kirill, Cuba   e l’ombra di Putin

Nello storico incontro che si è svolto il 12 febbraio scorso tra il capo della Chiesa cattolica e quello della Chiesa ortodossa russa, il valore simbolico di ogni dettaglio è stato meticolosamente pianificato. La scelta del luogo, il tempismo, il contesto religioso e politico, i protagonisti, lo stile, e nondimeno, i punti principali della Dichiarazione Congiunta, tutto è servito a trasmettere significati specifici, per scopi sia religiosi che politici.

A sovrastare l’incontro troviamo la figura di Vladimir Putin, onnipresente nella scena geopolitica mondiale - dall’Europa al Medio Oriente - per il quale questo incontro è stata una mossa importante della partita. L’incontro non sarebbe mai avvenuto senza il suo consenso, essendo il Patriarca russo Kirill un portavoce delle politiche internazionali di Mosca.

La scelta di tenere l’incontro nell’aeroporto internazionale di Cuba è di per sé carica di significati. Si trova nel “Sud” del nuovo mondo post-comunista (quella “periferia” povera, come la definisce affettuosamente Papa Francesco), un terreno molto fertile per la rapida diffusione del cristianesimo. Storicamente, Cuba ebbe un ruolo importante durante la Guerra Fredda: nel 1962 fu teatro della drammatica crisi dei missili tra Usa e Urss, rimanendo successivamente isolata per via dell’embargo statunitense durato oltre mezzo secolo.

Francesco ha svolto un ruolo importante nel recente disgelo delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti, contribuendo a facilitare il percorso del presidente Obama verso la riconciliazione tra i due Paesi. L’abile diplomazia del Vaticano sotto la guida di Papa Bergoglio ha operato dietro le quinte a Cuba - in modi che ricordano le audaci mosse del suo illustre predecessore S. Giovanni Paolo II nella Polonia degli anni Ottanta – portando in primo piano nella crescente sfera di influenza della Chiesa cattolica nell’arena mondiale questa piccola isola, e con lei la Russia.

Oltre mille anni di relazioni difficili e travagliate tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica romana sono stati un motivo ulteriore per aver scelto questo luogo, che è lontano da ricordi dolorosi e cruenti di scismi e di battaglie del passato. L’incontro si è svolto in maniera semplice e sobria, in linea con le preferenze ascetiche dello stile di vita di Papa Francesco.

La Dichiarazione Congiunta di Papa Francesco e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, è giunta a coronazione di una svolta nei rapporti tra la Chiesa cattolica romana e quella Ortodossa russa. Questo primo vertice ha fatto seguito ad una serie di incontri con i Patriarchi ortodossi ecumenici, da quello di Paolo VI con Atenagora a Gerusalemme nel 1964 (da cui scaturì una Dichiarazione Congiunta a Roma nel dicembre 1965) fino ai vari incontri tra Francesco e Bartolomeo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, da cui sono nate le Dichiarazioni Congiunte di maggio e novembre, 2014.

Bartolomeo rappresenta tutte e quattordici le Chiese ortodosse autocefale (quella greca, rumena, etiope, ecc.) che contano 300 milioni di fedeli, di cui quella ortodossa russa è la principale, con i suoi 150 milioni di adepti. La Chiesa di Kirill è allineata strategicamente - si potrebbe dire quasi un tutt’uno - con la “Madre Russia”, a differenza delle altre Chiese ortodosse che non hanno un orientamento politico ben definito. Proprio questa differenza è stata in passato causa di conflitti sia interni al mondo del cristianesimo ortodosso, che tra i due Patriarchi.

E ora, a quasi mille anni di distanza dallo scisma del 1054, con la Dichiarazione Congiunta in 29 punti, Francesco ha fatto un altro importante passo in avanti nel riavvicinamento tra il mondo ortodosso e quello cattolico - e tra il Vaticano e la Russia - realizzando così l’antica ambizione della Chiesa cattolica di espandersi in Russia, tramite il superamento della diffidenza della Chiesa ortodossa russa riguardo alcune proprietà ecclesiastiche contese ed i timori sul proselitismo, che viene esplicitamente dichiarato illegittimo nella Dichiarazione di Cuba, che vi dedica tre paragrafi (punti 24 e 25).

Una conseguenza importante di questo incontro è che sia Putin che Kirill - o diciamo così, la Russia e la Chiesa ortodossa russa di oggi - hanno fatto un ulteriore passo verso ulteriore legittimazione agli occhi del mondo. L’autorità del Patriarca russo ne è uscita rafforzata rispetto al Patriarca ecumenico Bartolomeo, la cui influenza e favore agli occhi di Francesco rimangono però comunque molto forti. I due Patriarchi si trovano in disaccordo su diverse questioni, in particolare sulle ambizioni militari e politiche della Russia e sul tema dei diritti umani. Potrebbe tenersi a giugno, per la prima volta dal 787, il Sinodo di tutte le Chiese ortodosse, che sarebbe una buona occasione per chiarimenti e riconciliazioni interne.

Oltretutto, la Chiesa ortodossa russa è una religione di Stato. È nazionalistica e ha una struttura gerarchica più rigida di quella del Vaticano, che si consulta invece al suo interno tramite sinodi periodici e che si confronta con il mondo tramite l’apertura di Papa Francesco.

Vi sono comunque temi dottrinali ed etici che forniscono una base per un fronte comune alle due Chiese, malgrado Francesco sia più flessibile nell’applicazione dei precetti morali del cristianesimo rispetto all’interpretazione più rigida e letterale di Kirill. Nel documento di Cuba si vedono chiaramente le tracce delle concessioni fatte dal Vaticano alla visione del mondo del Patriarca russo.

Tra i punti salienti del testo c’è un riferimento al post-comunismo, dove si rende “grazie a Dio per il rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale, dove i regimi atei hanno dominato per decenni”. Nel Documento si invitano inoltre le due Chiese ucraine (sia all’interno che attraverso le comunità ucraine e russe del Paese) a superare le reciproche divergenze. E a proposito del Medio Oriente, troviamo un appello “alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani”, e di rinnovare gli sforzi diplomatici per porre fine alle persecuzioni sia in quel territorio che nell’Africa settentrionale. Il dialogo interreligioso è definito “indispensabile” e viene visto come un importante strumento a disposizione della diplomazia contemporanea per la risoluzione dei conflitti.

Entrambe le Chiese si impegnano a sostenere i valori conservatori riguardo i temi tradizionali della famiglia, come l’opposizione all’aborto, all’eutanasia, alla procreazione medicalmente assistita ed ai matrimoni omosessuali. “Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità”, si legge nel Documento. Tuttavia, pur abbracciando sinceramente questi valori, Francesco si è mostrato più clemente del Patriarca russo riguardo la loro applicazione pratica. Papa Bergoglio ha consigliato al prelato di prendere in considerazione le necessità particolari delle coppie, si è espresso a favore della pianificazione familiare attraverso l’uso della contraccezione naturale, ed ha affermato che gli esseri umani non devono necessariamente “riprodursi come conigli”. Ed a proposito dell’omosessualità, ha commentato: “Chi sono io per giudicare?”. Saltano agli occhi inoltre alcune differenze importanti tra l’accordo siglato dal Vaticano con la Chiesa ortodossa russa e quelli precedenti con il Patriarcato ecumenico ortodosso.

Nella Dichiarazione Congiunta di Cuba tra Papa Francesco ed il Patriarca Kirill troviamo un forte monito contro l’avanzare del secolarismo in Europa, e vi si afferma un impegno congiunto a combattere questo comune nemico. “Siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane. Chiediamo ai cristiani dell’Europa orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in modo che l’Europa conservi la sua anima formata da duemila anni di tradizione cristiana.”, si legge nel testo.

Inoltre, data l’importanza attribuita dal Vaticano al documento conciliare “Nostra Aetate”, e l’abbondanza di commemorazioni ufficiali e di conferenze che hanno segnato il suo 50esimo anniversario lo scorso anno, sarebbe sembrato più opportuno fare riferimento alle radici “ebraico-cristiane” dell’Europa piuttosto che solo a quelle “cristiane”. “Nostra Aetate” afferma infatti che le radici del cristianesimo sono nell’ebraismo, e che la Chiesa “si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili”. Si potrebbe quindi dire che i valori fondanti europei poggiano sulla “tradizione ebraico-cristiana”, oltre che sugli importanti contributi dati da altre fonti secolari, culturali, religiose ed etiche.

Sia la Dichiarazione Congiunta con Kirill che quelli precedenti con il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo si soffermano sulla tragica persecuzione dei cristiani nel Medio Oriente ma mentre la Dichiarazione di Cuba si concentra poi sull’unità dei cristiani contro il secolarismo, la Dichiarazione Congiunta del maggio, 2014 tra Papa Francesco e Bartolomeo si occupa invece sul grido d’allarme riguardo al cambiamento climatico, e delinea un fronte comune sullo sviluppo sostenibile, anche in riconoscimento dell’impegno di lunga data di Bartolomeo verso le tematiche legate all’ambiente; Bartolomeo viene infatti spesso chiamato il “Patriarca verde”!

Papa Francesco ed il Patriarca Kirill esprimono poi la loro preoccupazione per la salvaguardia della libertà religiosa. Ma sorprendentemente, piuttosto che puntare ai luoghi dove oggi i cristiani e le altre minoranze, che vivono sotto il dominio di una maggioranza islamista, rischiano persecuzione e morte quando esprimono pubblicamente la loro fede contraria alla religione di Stato, la minaccia percepita e il nemico comune sono sempre e solo il secolarismo occidentale.

Francesco e Kirill affermano che “in particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica.”

L’assenza di un qualunque riferimento agli orrori delle conversioni forzate islamiste in Medio Oriente, Asia e Africa, assieme alla denuncia del secolarismo “senza Dio” in Europa, potrebbero però essere una mossa strategica di Vaticano e Russia per fornire un terreno comune ad un ulteriore dialogo con i leader musulmani: dialogo essenziale per il Vaticano per raggiungere la pace in Medio Oriente, e per la Russia nei suoi difficili rapporti con la Cecenia ed altri Paesi musulmani confinanti.

Tuttavia, nell’indicare il secolarismo europeo quale principale nemico della libertà religiosa, trascurando invece di individuare nell’estremismo islamico il nemico mortale di tale libertà in altre parti del mondo, emerge una prospettiva globale distorta.

Per affrontare la crisi globale del nostro tempo dovremmo soprattutto rinnovare l’impegno per i diritti umani fondamentali e per l’uguaglianza di tutte le persone, uomini e donne, qualunque sia il loro credo o non credo – e ricordarci che gli omosessuali, chi si converte dall’Islam, gli atei e tutti coloro che non si piegano alle norme sociali dettate dalla maggioranza, rischiano ogni giorno persecuzioni, torture e condanne a morte in Paesi al di fuori delle società laiche europee. Per quanto si possa criticare la crisi dei valori morali in Europa, nel continente non si conoscono oggi restrizioni alla libertà di culto. È un luogo dove prosperano vivaci dibattiti intellettuali e politici, tutelati dal sistema democratico, e dove si pratica la libertà di religione e di coscienza, costituzionalmente garantita.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:09