I bambini siriani   vittime della guerra

Li abbiamo ormai memorizzati quegli occhi spauriti dei bambini che affollano i campi di raccolta sparsi ormai dappertutto dal Libano alla Giordania, dalla Macedonia alla Grecia, dalla Turchia all’Austria. E che dire di quelli sbarcati sulle coste della Grecia, sopravvissuti ad un viaggio infernale e pieno di pericoli, che ha inghiottito tanti bambini che non ce l’hanno fatta. Quegli occhi parlano ormai da soli e descrivono una violenza e una sofferenza inimmaginabile. Sono i bimbi che sono scappati dalle guerre in Siria e in Iraq.

L’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite che ha il mandato di tutelare e promuovere i diritti dei bambini e degli adolescenti, da 0 a18 anni, in tutto il mondo, e di contribuire al miglioramento delle loro condizioni di vita, ha pubblicato in questi giorni un rapporto sulle conseguenze della guerra in Siria sui minori, dal titolo eloquente: “Non c’è posto per i bambini”.

Secondo gli esperti dell’agenzia onusiana, il conflitto civile siriano, arrivato ormai al suo quinto anno, ha provocato effetti terribili su oltre l’80 per cento dei bambini siriani, quasi 8 milioni e mezzo, che oggi vivono in condizioni durissime in Siria o altrettanto dure in esilio, lontani da casa e spesso anche dalle loro famiglie naturali. Un bambino siriano su tre, circa 3,7 milioni di bambini, è nato dopo il 15 marzo 2011, l’inizio della rivolta che è poi sfociata in guerra civile, ed è cresciuto in un contesto di violenza, paura e sradicamento. Di questi bimbi, oltre 151mila sono nati nei campi profughi, soprattutto dei vicini Libano, Giordania e Turchia, che hanno accolto la prima ondata di fuggitivi siriani. Nel Paese delle loro famiglie, dove sono nati i fratellini più grandi, l’ancora amata Siria che forse non vedranno mai nella loro vita, la violenza è diventata un luogo comune che colpisce abitazioni, asili, scuole, ospedali, cliniche, parchi e luoghi di culto.

Solo nel 2015, gli operatori umanitari delle Nazioni Unite ancora presenti in Siria, hanno riportato oltre 1.500 violazioni gravi, perpetrate contro minori: il 60 per cento dei bambini morti sono stati vittima di attacchi indiscriminati in aree popolate, più di un terzo uccisi mentre erano negli edifici scolastici o negli immediati paraggi. Solo pochi tra i bambini scappati dalla Siria o nati da famiglie in esilio hanno avuto la fortuna di trovare sistemazioni accoglienti; oltre sette milioni sono infatti, secondo le stime Unicef, i bambini che vivono in povertà, in centri per immigrati. E il numero di chi è scappato dalla Siria è cresciuto vertiginosamente negli ultimi mesi - quasi dieci volte in più rispetto al 2012 - in coincidenza con l’escalation militare. Di questa marea umana, la metà sono bambini, di cui oltre 15mila rimasti soli, non accompagnati o separati dai loro genitori.

I bambini siriani dell’infanzia hanno ormai solo l’età, perché la guerra e la vita terribile che ne è conseguita in patria e fuori li ha fatti crescere troppo in fretta. In tanti, troppi, hanno abbandonato la scuola; i maschietti sono costretti a lavorare mentre le femmine vengono fatte sposare presto, ancora bambine, neppure sviluppate. E per chi resta in Siria, la situazione è perfino peggiore; i bambini diventano carne di cannone per tutte le milizie in campo, governativi e ribelli. Il reclutamento colpisce bambini di età sempre più bassa. Se all’inizio del conflitto erano per lo più i ragazzi tra i 15 e i 17 anni ad essere arruolati, spesso con la forza, dal 2014 sono bambini anche di dodici e tredici anni a finire con un fucile in mano, facile bersaglio dei cecchini delle milizie avversarie. Nel 2015, i nuovi soldati impegnati nel conflitto erano bambini ben al di sotto dei 15 anni.

L’Unicef e diversi Paesi europei hanno finanziato campagne di istruzione a favore dei bambini siriani che vivono nei campi profughi del Libano, della Giordania e della Turchia. Per aiutare i bambini che non sono stati a scuola per più di due anni sono stati anche organizzati programmi di apprendimento accelerato, con l’obiettivo di portare i piccoli siriani all’inserimento nelle scuole pubbliche - è il caso del Libano - fianco a fianco degli studenti di quel Paese per ritrovare così qualche barlume di vita normale. Se buoni risultati sono stati segnati tra le fasce più giovani, la scolarizzazione degli adolescenti siriani, dai 12 ai 17 anni, ha marcato il passo. Una dura realtà per questa fascia di età considerata vulnerabile, soprattutto perché l’educazione è un baluardo contro il lavoro minorile, i matrimoni precoci, i comportamenti antisociali o finire facile preda della radicalizzazione ad opera di agitatori islamisti pseudo-religiosi, che non mancano mai nei campi profughi.

Il dato sconsolante è che spesso sono stati proprio i genitori siriani a ritirare dalle scuole i figli adolescenti e ad indirizzarli invece verso lo sfruttamento del lavoro nei campi o nell’edilizia per pochi dollari all’ora. I bambini siriani che vivono nella valle del Giordano, per esempio, lavorano sei giorni alla settimana, dalle 3 alle 8 ore al giorno per meno di un euro all’ora. Hanno fra i 12 e i 17 anni, la durezza del lavoro conduce spesso a lesioni, malattie respiratorie, oltre agli inevitabili danni psicologici e formativi del lavoro minorile. È un fenomeno illegale, ma è l’unica ancora di salvezza per tantissime famiglie. L’Unicef stima che in Medio Oriente più di 13 milioni di bambini sono privati della scolarizzazione a causa di conflitti devastanti: un’intera generazione di studenti che vedono le loro speranze e il loro futuro in frantumi. Questi bambini vivono nei Paesi più in difficoltà della regione, come la Siria, l’Iraq, lo Yemen, la Libia, i territori palestinesi e il Sudan e ora affollano i centri di raccolta profughi e spesso le strade del Libano, della Giordania e della Turchia dove sono scappati; in quelle aree quattro bambini su dieci non possono andare a scuola. Più di 8850 edifici scolastici sono stati distrutti negli ultimi anni in Siria, Iraq, Yemen e Libia e i genitori, in quei Paesi, ormai non mandano più i figli a scuola per paura che possano morire proprio lì. I programmi per l’accesso all’istruzione e l’alfabetizzazione sono andati in fumo con le macerie delle scuole; in Siria 52mila insegnanti hanno lasciato i loro posti e anche a Bengasi, la seconda città più popolata della Libia, solo 65 delle 239 scuole che esistevano ai tempi di Gheddafi sono ancora aperte e non va meglio nel resto del Paese.

L’Unicef stima che siano necessari solo nel 2016 almeno 1,4 miliardi di dollari per aiutare quei bambini a ritrovare la loro dignità e il benessere. Fino ad adesso però l’agenzia per la protezione dell’infanzia ha raccolto solo contributi pari al 6 per cento dei finanziamenti necessari. C’è da augurarsi che la comunità internazionale possa trovare quei fondi aggiuntivi, se vogliamo evitare di perdere altre generazioni di bambini. Occorre agire e subito, perché non resta molto tempo ormai.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02