P. Papers, silenzio su Abu Mazen junior

Anche Tareq Abbas, figlio di Mahmoud Abbas, al secolo Abu Mazen, è tra i nomi dei vip che hanno depositato soldi a palate nell’offshore panamense recentemente svelato dal furto di dati sensibili poi veicolati nei cosiddetti Panama Papers. Ma in Italia e in Europa, con le lodevoli eccezioni di “Focus on Israel”, “L’Intraprendente” e un blog del Fatto quotidiano della ricercatrice Claudia De Martino di “Unimed”, nessun media ha sottolineato la cosa.

Si capisce: i soldi pubblici palestinesi, sei milioni di euro, che finiscono nei conti gestiti dallo studio Mossack Fonseca bruciano per i Paesi che continuano a finanziare i dirigenti, anzi i despoti, del popolo palestinese da decenni con così tanti soldi che i sei milioni di palestinesi a quest’ora, invece di essere “poveri” e “oppressi” per definizione, se solo avessero avuto capi più onesti sarebbero tutti dei Paperoni.

In Israele la notizia l’ha tirata fuori “Haaretz”, che di solito è un giornale più incline a prendersela con Netanyahu che con gli amici del terrorismo islamico in quella zona. Gli ha risposto, come riporta Riccardo Ghezzi su “Focus on Israel”, Kareem Shehadeh. Un avvocato palestinese che, parlando a nome dei fratelli Abbas e di Apic, ha detto al giornale israeliano Haaretz che “Apic è una società quotata in Borsa, le cui azioni sono negoziate quotidianamente. È soggetta al controllo dalla famosa azienda di contabilità Deloitte e i dettagli completi e trasparenti appaiono nei rapporti annuali pubblicati sul sito web. Le operazioni di Apic sono sotto la supervisione del ministero del Commercio dell’Autorità Palestinese”.

Una dichiarazione che non potrà che peggiorare le cose, se verrà provato che quei soldi sono finiti a Panama. Apic per la cronaca è la società a capitale misto pubblico e privato che detiene i più importanti asset dello Stato in fieri della West Bank, tra cui la amatissima Sky Palestina che permette alla borghesia dei territori di rincoglionirsi con il calcio mondiale tutti i week-end, esattamente come avviene con il resto del mondo occidentale. E il deposito attribuito al figlio di Abu Mazen sarebbe appunto all’interno di un conto Apic che si troverebbe a Panama.

Troppo recente è il ricordo di Arafat e quello del litigio tra la sua vedova Suha e lo stesso Abu Mazen sui soldi dello Stato che l’ex Mr Palestina si portò all’estero sui propri conti privati perché questa storia dei depositi panamensi attribuiti al figlio dell’attuale capo dell’Anp potesse passare sotto silenzio.

Ma in Italia e in Europa è successo: se salta l’assioma ideologico, fondamentalmente basato sull’odio contro Israele, secondo cui i palestinesi vanno finanziati comunque anche se i loro dirigenti sono, in ipotesi, dei ladroni matricolati, salta un pezzo della recente storia d’Europa in cui il terrorismo praticato dall’Olp prima e da Hamas poi, era sempre e comunque giustificabile. Mentre le ovvie reazioni armate dello stato democratico di Gerusalemme sempre e in ogni caso “sproporzionate”. E quindi i giornali nostrani (con le suddette lodevoli eccezioni) e le tivù generaliste o all-news, che quando c’è da fare un reportage sul “muro della vergogna” hanno sempre l’inviato pronto, stavolta hanno marcato visita.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07