Tensioni fra i Cedri

La morte, nei pressi di Damasco, di Mustafa Badreddine, il leader di Hezbollah che comandava le milizie del Partito di Dio libanese che combattono in Siria al fianco delle forze fedeli ad Assad, resta avvolta da una sorta di cortina di fumo. Di primo acchito infatti, fonti di intelligence avevano parlato di un raid israeliano che aveva finalmente regolato i conti con quello che veniva considerato uno dei più pericolosi comandanti dell’organizzazione armata degli sciiti libanesi; poi, però, un comunicato ufficiale di Hezbollah ha voluto specificare che Badreddine era morto per un colpo di mortaio sparato dalle milizie dei ribelli siriani contro cui stava combattendo. Dichiarazione che lascia intravvedere la volontà di “minimizzare l’accaduto” e, soprattutto, di evitare, per quanto possibile, di aprire in questo momento un nuovo conflitto con Israele.

Infatti è palese che, ormai, anche i vertici politico-militari del partito di Nasrallah, che controlla il Sud del Libano ed esercita forti pressioni sul governo di Beirut, siano preoccupati per i pesanti riflessi che il perdurare della guerra in Siria sta riverberando in territorio libanese. Dove, per altro, hanno in questi anni trovato rifugio ondate crescenti di profughi: oltre un milione secondo le stime dell’Onu, addirittura due milioni secondo fonti ufficiose di Beirut. Una vera e propria bomba demografica ad orologeria, e non solo perché il piccolo Libano – nemmeno 5 milioni di abitanti – non è certo in grado né di assimilare, né di sostentare tale massa di disperati, ma anche, e forse soprattutto perché questa sta sconvolgendo i delicati equilibri su cui da anni si regge la fragile struttura dello Stato. Stato che è, da sempre, un complesso mosaico di comunità etnico-religiose diverse e distinte fra loro; sunniti, sciiti, drusi, alawiti, cristiano-maroniti…solo per citare le più consistenti. Comunità a loro volta frammentate in partiti e fazioni spesso fondate su legami tribali e/o familiari.

Un equilibrio precario, sempre sul punto di infrangersi, che si basa sulla ripartizione delle principali cariche di governo fra le diverse comunità. Si può quindi facilmente comprendere come l’arrivo di due milioni di rifugiati – per altro tutti di lingua araba come i libanesi, in gran parte musulmani sunniti – non possa non finire con lo sconvolgere questo complesso bilancino politico-religioso. E il recente passato sta lì, come un tragico monumento alla memoria, a testimoniarlo. Infatti la lunghissima e sanguinosa guerra civile, combattuta fra il 1975 ed il 1990, fu innescata proprio da un consimile fenomeno migratorio: le decine di migliaia di palestinesi che avevano trovato rifugio nei campi profughi libanesi dopo la guerra con Israele. Una presenza ingombrante che sconvolgeva il tradizionale equilibrio fra cristiani e musulmani, e che finì con lo scatenare un conflitto che, in breve tempo, si trasformò in una sorta di biblica guerra di tutti contro tutti. E questo dopo un periodo, gli anni Sessanta e Settanta, che aveva visto il Libano crescere economicamente e fiorire al punto di venire soprannominato la Svizzera del Medio Oriente. All’opposto, oggi, la massa di profughi, incomparabile per dimensioni alla vecchia migrazione palestinese, interviene su un Paese già in notevoli difficoltà economiche e dove le diverse coalizioni e milizie di fazione di fatto controllano buona parte del territorio, esautorando il Governo di Beirut e le sue forze armate. E mentre le milizie interne stanno sempre più riarmando, vengono da tempo segnalate intense attività, sul confine siriano, di gruppi jihadisti sunniti legati o all’Is o al rivale Al Nusra, affiliata alla rete di Al Qaeda.

Una delle ragioni per le quali Hezbollah, di fatto la forza meglio organizzata ed armata del Libano, è intervenuta in Siria al fianco dei “fratelli” alawiti; e forse, oggi, la ragione principale per cui Nasrallah minimizza, anzi nega il ruolo di Gerusalemme nella morte del suo sodale Badreddine. Un ritorno israeliano sulla scena libanese potrebbe significare il disastro per Hezbollah e la fine della sua egemonia su vaste aree del Paese.

(*) Senior fellow de “Il Nodo di Gordio”

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:13