In Tunisia si rafforza la democrazia?

Uno dei punti deboli dei Paesi musulmani è la sovrapposizione del piano politico sul piano religioso.

L’altro giorno, in Tunisia, è avvenuto un “fatto” di estrema importanza che non va sottaciuto perché va nella direzione opposta. All’evento erano stati invitati molti esponenti politici europei ed africani (per l’Italia, fra gli altri, i presidenti delle Commissioni Esteri di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Pier Ferdinando Casini) e centinaia di giornalisti.

Il partito islamico tunisino “Ennahda”, riunito nel decimo Congresso generale, a Rades (Tunisi), ha sancito la separazione tra politica e religione. Questa decisione è stata approvata da una larghissima maggioranza (esattamente l’80,8 per cento) dei 1.200 delegati: attività politica e predicazione religiosa vanno separate.

Certo, siamo ancora ad un’affermazione di principio cui dovrà seguire l’applicazione nella pratica quotidiana. Ma sia l’affermazione di questa enunciazione sia la grandissima maggioranza di coloro che l’hanno approvata, entrambi i dati, sono di portata “storica” per un Paese musulmano.

Cogliamo meglio il contesto dell’evento. Il movimento al-Nahda, nato nel 1981, si è trasformato in partito a marzo del 2011, in occasione delle manifestazioni di piazza della cosiddetta “Rivoluzione dei Gelsomini”. Ha rappresentato una corrente moderata, benché sia stata nell’orbita degli ideali fondamentalisti e affiliata, dal punto di vista internazionale, con i Fratelli Musulmani. Ha affermato una “via tunisina all’islamismo”, riconoscendo un sistema pluripartitico e accettando un dialogo con l’Occidente. In politica economica riflette una visione liberistica e dice di non credere in una visione islamista dello Stato. I suoi detrattori ricordano, però, che il suo leader, Rachid Ghannouchi, prima preconizzava l’uso della forza per abbattere i regimi arabi corrotti, sostenuti dall’Occidente.

Bisogna tuttavia anche dire che Ghannouchi, più volte, ha sostenuto di aver tagliato con quelle idee, come lui stesso ha affermato nell’intervista rilasciata alla nota rivista “Oriente Moderno” e, recentemente, al francese “Le Monde”, annunciando la svolta. “Dopo la Rivoluzione dei Gelsomini nel 2011 e l’adozione della nuova Costituzione nel 2014, non c’è più alcun motivo per un partito, in Tunisia, di far riferimento al termine islam politico. Ennahda sarà un “movimento democratico e civile”, i cui valori di riferimento sono “la civilizzazione islamica e quella moderna”. Ghannouchi ha annunciato anche il divieto di far svolgere attività partitica nelle moschee.

Si tratterebbe, dunque, di un taglio netto con il passato, dovuto sia al processo democratico presente in Tunisia, sia alla necessità di distanziarsi dall’estremismo violento e terroristico. Ora, secondo Ghannouchi, per la Tunisia si dovrà parlare di “democrazia musulmana”.

Casini ha cosi commentato: “È una rivoluzione straordinaria. Può essere il modello musulmano moderato che aspettavamo da anni. Una specie di Ppe islamico. Mi ricorda la Democrazia Cristiana degli anni Cinquanta, che intendeva separare con chiarezza, in una società moderna, i ruoli della religione e della politica”.

Altri pensano, invece, che sia un esempio tipico di “taqiya”, l’arte cioè della dissimulazione: si mostra di essere cambiati, ma non lo si è affatto. È nel prosieguo dei prossimi anni che si potrà avere la vera risposta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:05