Oggi più che mai io canto “Hatikvah”

È l’inno nazionale d’Israele: “Hatikvah” sta per “La speranza”. Un inno che dà speranza, è speranza. Scritto come poesia nel 1877 dall’ebreo galiziano laico Naftali Herz Imber. Il testo “Tikvatenu” (“Nostra speranza”) viene pubblicato la prima volta nel 1886. È una poesia che si compone di nove strofe intervallate da un ritornello.

L’inno la riduce, la prima strofa, e il ritornello: “Nefesh Yehudi homiyah / Ulfa'atey mizrach kadimah / Ayin leTzion tzofiyah / Od lo avdah tikvatenu / Hatikvah bat shnot alpayim / L’hiyot am chofshi beartzeinu / Eretz Tzion v'Yerushalayim / L'hiyot am chofshi beartzeinu / Eretz Tzion v'Yerushalayim”. In italiano fa così: “Finché dentro il cuore, / l’anima ebraica anela / e verso l’Oriente lontano, / un occhio guarda a Sion, / non è ancora persa la nostra speranza, / la speranza due volte millenaria, / di essere un popolo libero nella nostra terra, /la terra di Sion e Gerusalemme. / di essere un popolo libero nella nostra terra, / la terra di Sion e Gerusalemme”.

“Hatikvah” è la speranza di un popolo disperso e perseguitato, unicamente colpevole di essere tale; la speranza di poter tornare un giorno in quella terra dove hanno vissuto gli antenati. La speranza che quel popolo, esiliato dall’imperatore romano Tito, distrutta Gerusalemme e il Tempio, dopo un vagare di centinaia di anni, ritrovi il suo “focolare”. Il Monte Sion è il simbolo di Israele. Nel 1948, quando nasce lo Stato d’Israele, “Hatikvah” diventa l’inno nazionale, anche se bisogna attendere, per l’atto ufficiale, il 2004: quando la Knesset approva una modifica alla legge fondamentale: “Bandiera e stemma dello Stato”, che così diventa: “Bandiera, stemma dello Stato ed inno nazionale”.

Preambolo necessario per dire che oggi, più di altre volte, “Hatikvah” accompagnerà e scandirà il tempo della mia giornata: il voler essere, ostinato, speranza, come esorta Marco Pannella, e non solo limitarsi a nutrirla, attenderla come una manna che cali provvidenzialmente dal cielo. “Hatikvah” come risposta all’attacco sferrato dall’Unesco che deruba all’ebraismo il Muro del Pianto e vota a larga maggioranza una risoluzione sostenuta da Algeria, Egitto, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, che nega l’identità ebraica di alcuni siti di Gerusalemme come, appunto, il Muro del Pianto e il Monte del Tempio. Contro questa miserabile mozione si sono opposti solo Stati Uniti, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Germania, Estonia.

Una vigliaccata, la mozione; una vigliaccata ancora più grande quella dell’Italia, che si è astenuta. “Gli attacchi contro la comunità ebraica israeliana preoccupano molto, e la difesa di Israele deve aumentare in maniera proporzionale all’aumento delle pressioni esterne”, dichiara a “Il Foglio” il sottosegretario agli Esteri italiano, Benedetto Della Vedova. Quel voto di astensione, caro sottosegretario Della Vedova, non è indice di preoccupazione, non esprime volontà di difesa, smentisce coi fatti quello che a parole si afferma; quel voto di astensione è sinonimo di pavidità, di colpevole indifferenza, poco importa se dolosa o colposa. Questi i fatti, questa la situazione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03