L’Europa mediterranea   e la “rivolta” (possibile)

Il contemporaneo successo elettorale tanto in Moldavia che in Bulgaria di quelli che, un po’ sommariamente, i mass media europei bollano come “filo-russi”, rappresenta un segnale politico estremamente interessante per tutto il nostro Vecchio Continente.

Certo, fra Igor Dodon, eletto meno di due settimane fa presidente della Moldavia, e il suo neo-collega di Sofia, Rumen Radev, passano non poche differenze. In primo luogo il nuovo leader moldavo, di formazione un economista, godrà di margini di manovra e poteri di quelli di Radaev, che ha un passato come generale dell’esercito; poi, la Bulgaria è membro dell’Unione europea e fa parte della Nato, mentre la Moldavia stava – l’imperfetto ci pare, ormai, obbligatorio – perseguendo un non facile cammino di avvicinamento a Bruxelles, che, al Cremlino, veniva visto come l’ennesimo tentativo di attrarre, per vie indirette, un’ex-repubblica sovietica nell’orbita dell’Alleanza Atlantica.

Come accaduto già per i Paesi Baltici e come potrebbe accadere in Ucraina; e questo alla faccia del vecchio “gentlemen’s agreement” fra Eltsin e Bush senior che fissava il confine dell’ex Urss come limite invalicabile per l’Alleanza Atlantica. Dunque, appare assai probabile che, nel breve termine, Chişinau rallenti le trattative con Bruxelles e si allontani gradualmente dall’Unione europea per riavvicinarsi a Mosca e probabilmente all’Unione Economica Eurasiatica. Un passo che potrebbe, anche, aprire la strada all’annosa questione della Trasnistria, regione moldava a maggioranza russofona da oltre vent’anni autoproclamatasi indipendente. Un contenzioso che minacciava, sino a ieri, di esplodere in aperto conflitto, rappresentando, in buona sostanza, il rischio di una nuova guerra civile molto simile a quella che sta travagliando l’Ucraina.

A Sofia, invece, non dovrebbero cambiare molto le cose, anche se nelle ormai imminenti elezioni politiche anticipate dovessero affermarsi i “filo-russi”. Troppo vincolanti i trattati internazionali per pensare che il generale Radev ed i suoi sostenitori si azzardino ad infrangerli. Tuttavia proprio l’esito delle presidenziali bulgare, ancor più di quelle moldave, è, come accennavamo, un segnale da non sottovalutare. Anche perché i bulgari dopo la fine del Patto di Varsavia avevano aderito con entusiasmo alla Ue, e si erano seriamente impegnati nelle operazioni della Nato. Tuttavia la loro economia sta pesantemente risentendo della tensione creatasi negli ultimi anni fra Washington e Mosca. Infatti tanto l’industria bulgara, ancora in via di sviluppo, che la produzione agro-alimentare hanno nella Russia il naturale mercato di riferimento; e i flussi del turismo, soprattutto nelle località del Mar Nero, Varga e Burgos, sono rappresentati principalmente dai russi. Tutte attività duramente colpite dalle sanzioni contro Mosca imposte da Bruxelles. Sanzioni che danneggiano soprattutto i Paesi europei della regione mediterranea, come la Bulgaria, appunto, la Grecia e, soprattutto, l’Italia. Mentre non hanno grandi effetti sull’economia tedesca, visto che non sono andate a toccare il settore, cruciale per Berlino, dell’importazione di gas.

Dunque la vittoria di Radev potrebbe rappresentare il primo segno di una crepa che si sta allargando fra l’Europa centro-settentrionale a guida, egemonica, della Germania e quella mediterranea, che potrebbe – e qui è d’obbligo il condizionale – cominciare a svegliarsi e coalizzarsi, per cominciare a far sentire la sua voce nelle sorde e grigie stanze di Bruxelles. Una coesione che – lo diciamo sommessamente – potrebbe trovare una leadership solo in Roma. In un momento, peraltro, quanto mai opportuno. La vittoria di Donald Trump infatti non solo lascia facilmente prevedere un nuovo disgelo con Vladimir Putin – con il quale invece Bruxelles e soprattutto Berlino vorrebbero continuare un masochistico braccio di ferro – ma anche la fine della centralità della Commissione Ue e del potere degli euro-burocrati. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha infatti palesemente snobbato Juncker e Tusk, ignorando le loro dichiarazioni al limite dell’isteria. E ha fatto chiaramente capire come la sua intenzione sia quella di dare inizio ad una nuova stagione diplomatica, fondata sulle relazioni bilaterali con le singole cancellerie europee. Un modo elegante per dire, come il Marchese del Grillo di Sordi, agli ottimi Juncker e Tusk : “io so’ io, e voi non siete un c...”.

La prima partnership sarà naturalmente quella con Theresa May, che Trump incontrerà già a fine gennaio, appena insediatosi. Ma Londra è ormai fuori da quella Ue per la quale “The Donald” non prova chiaramente alcun trasporto. Tanto da aver già preannunciato che incontrerà i leader di Germania e Francia non prima dell’estate 2017. Chiaro segnale di quali siano le sue preferenze e priorità. Proprio per questo si aprirebbero scenari interessanti e prospettive di ampio respiro per chi sapesse dare voce all’altra Europa, quella mediterranea. Che proprio in questi giorni, a Sofia, ha cominciato a dare segni di palese insofferenza.

(*) Senior Fellow del think tank di studi geopolitici “Il Nodo di Gordio

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03