Africa per Africa,  speranza per i migranti

Africa, terra di spartizioni e deportazioni. Da sempre questo Continente e stato lottizzato e costretto ad una subordinazione che lo ha reso solo funzionale agli interessi ed al modello di sviluppo che si affermava via via nel resto del mondo. Questa condizione rende oggi impossibile per l’Africa proporre un’adeguata soluzione alle necessità dei suoi abitanti. La grande spartizione del “Continente nero” è vecchia di secoli e ha visto protagonisti prima i Paesi europei e poi le potenze dell’America, a partire dagli Usa, e dell’Asia con la Cina oggi in prima linea. Accanto agli Stati ci sono le potenze tecno-economiche, rappresentate dalle società multinazionali. Così la negazione della dignità degli abitanti africani ha visto nei secoli protagonisti Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Portogallo, Spagna, Italia, Stati Uniti, Olanda, Cina, Arabia Saudita, ecc., ed egualmente le grandi compagnie che si prendevano e si prendono le ricchezze africane: platino, oro, zanne di elefanti, petrolio, caffè diamanti e soprattutto le persone, con la tratta degli schiavi e delle schiave di ieri e di oggi.

Ma questo è il tempo delle deportazioni indotte e l’Europa mediterranea diventa il punto di passaggio di migranti che cercano di fuggire dalla loro vita di dipendenza e così c’è gente che muore anche per venire da noi - nel 2015 per l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) sono morti 2.892 migranti sui 152mila giunti in Italia. Ma veramente abbiamo capito perché lo vogliono fare? Li stanno spingendo a forza? Sono veramente liberi di scegliere il futuro per la loro vita, anche a rischio di morire?

Il sogno: scegliere l’Africa

Questo incredibile disordine migratorio ha tante spiegazioni che, se considerate singolarmente, aiuterebbero l’opinione pubblica europea a capire l’avvenimento più importante di questo nostro tempo. La prima spiegazione sta nell’assenza di una scelta per l’Africa da parte dei governi locali che offra ragioni di speranza a quelle “moltitudini”. Manca una scelta superiore che faccia stare quelle popolazioni nel loro Continente. L’Africa allora deve chiedere che finalmente il resto del mondo la ripaghi per i maltrattamenti e le ingiustizie subite - a partire da Ue, Usa e Cina - che l’aiutino onestamente a restituirle la dignità che le compete con un progetto credibile e sostenibile. I viaggi della speranza su barconi/bare costano a tutti, ma in particolare all’Africa in termini di vite umane. Anche se può contare su un alto tasso di incremento demografico, la fuga di molti giovani e la sottrazione di ricchezza che questo viaggio implica (solo per quelli giunti nel 2015 in Italia si tratta di almeno 700 milioni di euro!) costituisce un impoverimento di capitale umano e di liquidità per troppe famiglie. Così è logico ritenere che esista una migrazione indotta e quindi è lecito chiedersi come fanno ad accumulare quella fortuna persone e famiglie che vivono in miseria; chi gli dà i mezzi senza dire che quello potrebbe essere il loro ultimo viaggio?

Rischio Europa

Ma veniamo a noi, quanto costa all’Europa questa scandalosa peregrinazione? Tanto in termini economici, quanto di lacrime per le morti che si susseguono: almeno per i più sensibili fra i cittadini “bianchi”, in primis il Papa. Quanto costa in termini sociali e politici vedere un Mediterraneo trasformato in una pozza di sangue, un cimitero, e la conseguente disgregazione di una Unione europea che ormai è a rischio crollo non solo per la moneta ma per non somigliare neppure lontanamente a come l’avevano pensata i padri fondatori. Un’Europa che ha tirato fuori un volto che pensavamo per sempre consegnato ad un passato fatto di morte: ecco i nazionalismi che “imparano”, le poltrone dei politici che traballano, le finzioni che si sprecano nelle relazioni internazionali. Ed allora si va avanti tra ripensamenti, equivoci, pavidità e ipocrisie; il tutto in nome di una falsa Unione e del dio denaro ora sporco di sangue. Poi arriva l’Isis, l’angoscia per molti cittadini europei ed africani. E come si fa ad individuare un attentatore, un poveraccio imbottito di false illusioni, vestito di religione, che diventa imbattibile perché è lui “la bomba” che esploderà. Lui si accontenta di evadere, di avere una sensazione ed un obiettivo, il più grande della sua vita: andare in paradiso; lui è quasi sempre di origine africana. Anche se nato in Europa, però, diventa “bomba” e questo è un serio e più grande pericolo, nato dalle nostre democrazie, dalle nostre superficialità e contraddizioni. La disgregazione politica è frutto anche dell’attacco portato al nucleo principale delle nostre società e cioè alla famiglia.

La proposta: Africa per Africa

Il cuore della proposta sta in una parola: costruire. Cioè togliere dalle mani di centinaia di migliaia di giovani africani il kalashnikov imbracciato per la conquista di un futuro migliore per sostituirlo con una pala, con il volante di una scavatrice, per un posto in fabbrica. Tutto questo, in Africa. E allora il progetto diventa la progressiva costruzione ex novo, in Africa (magari a cavallo fra nazioni rivierasche e transfrontaliere del Mediterraneo), di intere città, case e relative urbanizzazioni, strade, luce, acqua, centri sociali, centri commerciali, scuole, biblioteche, aeroporti, attività commerciali, impianti sportivi, tempo libero, industrie piccole, grandi, medie, artigianato, treno, metropolitana, università, ospedali (specialmente per bambini). Egualmente recuperare all’agricoltura, sull’esempio di quanto fatto in territori simili in varie parti del mondo, dei terreni ora desertici. Del resto, la desertificazione tende a crescere se non la si contiene ricorrendo alle nuove tecnologie, ma anche alle tecniche tradizionali. Un processo, questo, dovuto anche al riscaldamento climatico. In mancanza di un’azione di questo tipo la pressione delle popolazioni africane verso l’Europa potrebbe risultare incontenibile. Questo recupero renderà disponibili i territori da dedicare alle coltivazioni, alla pastorizia, agli allevamenti, ma anche gli spazi per controllati smaltimenti dei rifiuti derivanti dalle nuove urbanizzazioni. Si tratta di immaginare agglomerati di 300/400mila abitanti, con la loro struttura sociale, adattabile alle diverse culture ed etnie, con le loro lingue madri e con le loro differenti religioni. Una corona di insediamenti, localizzati in modo da incrociare i diversi flussi migratori attivi in Africa. Così si potrebbe frenare ed eliminare un esodo che attualmente sta sconvolgendo l’Occidente i cui popoli si arrabattano per capire cosa sta succedendo, e anche noi bianchi moriamo a causa di quelle “bombe umane”. Sostituire un mitra nelle mani di quei poveri disgraziati con uno stipendio e con una vera speranza avrebbe un effetto positivo, favorendo anche il rilancio delle nostre economie. L’esperienza c’insegna che i grandi cantieri e l’indotto che ne deriva favoriscono la professionalizzazione legata all’impiego di nuove e vecchie tecnologie, e contribuiscono a realizzare una scuola-lavoro ed una integrazione fra ogni professionista, artigiano, geometra, agricoltore, che diventerebbe insegnante per chi arriva senza competenze. Il successo di questo progetto può determinare le condizioni per una delocalizzazione conveniente di certe attività presenti nei nostri Paesi occidentali, che diventeranno sempre più poveri di manodopera in ragione del progressivo crollo demografico e noi stessi, invece di far salire loro da noi, scenderemmo noi da loro, per ampliare e sfruttare la nuova speranza, che costruiremmo insieme.

È questa la speranza superiore. È sconvolgente tale proposta, quasi utopica, ma oggi abbiamo bisogno di azioni forti e andare anche oltre noi stessi, e trasformare un disastro annunciato in una opportunità per tutti. Chissà se l’Africa così come ora la stiamo pensando non possa essere il nostro nuovo continente per la nostra emigrazione e il futuro per i nostri figli.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01