Il grande gioco del gas e il ruolo dell’Italia

Una delle cause della debolezza strutturale del “sistema Italia” è rappresentata dalla totale subalternità sul piano energetico. Infatti, non solo non siamo produttori per carenza di risorse naturali – e, per inciso, anche a causa della rinuncia al nucleare – ma non rivestiamo neppure un ruolo chiave nella distribuzione del gas e del petrolio. Un ruolo che, ad esempio, ha la Germania che, in forza del North Stream che veicola il gas dai giacimenti russi, è un hub strategico che distribuisce gas naturale in tutta l’Europa occidentale. Per questa ragione il progetto del Tap riveste, in questo particolare momento, un’enorme importanza strategica per il nostro Paese.

La “Trans Adriatic Pipeline” è il gasdotto che dovrebbe veicolare il gas prodotto nei giacimenti dell’Azerbaigian sino all’Italia e fare del nostro Paese, e segnatamente della Puglia – dove è previsto approdi – un nuovo hub strategico per la distribuzione del gas in tutta Europa, con enormi potenzialità di sviluppo. La stessa Unione europea gli ha infatti dovuto riconoscere lo status di “Progetto di interesse comune”, destinato a costituire parte essenziale del “Corridoio meridionale del gas”, uno dei dodici “corridoi” energetici considerati prioritari per gli obiettivi strategici della politica energetica comunitaria. Per altro, gran parte dei costi di costruzione della Tap vengono sostenuti dal consorzio – in parte azero, in parte formato da grandi compagnie internazionali – che gestisce il giacimento di Shah Deniz II, e tutte le valutazioni di impatto ambientale sembrano di mostrare decisamente la perfetta sostenibilità ecologica. È previsto che la Tap trasporti in Italia oltre 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, ben presto duplicabili in 20 miliardi. Di qui l’importanza strategica di tale infrastruttura, sia per la stessa economia della Puglia, che ne beneficerà in notevole misura, sia per il sistema industriale nazionale nel suo complesso. Senza dimenticare che grazie alla Tap l’Italia diverrebbe finalmente un hub strategico per la distribuzione del gas azero in tutta Europa, finalmente uscendo dalla condizione subalterna di semplice Paese importatore.

Tuttavia sembra vi siano “forze” che tentano in tutti i modi di osteggiare la realizzazione di questa infrastruttura strategica. Forze che, per miopia o per interessi inconfessabili, preferiscono che l’Italia continui ad essere un semplice Paese importatore. E quindi in perenne situazione di subalternità. Vediamo infatti molto agitarsi un movimento “No Tap” che trova smisurata eco sui media, e che dopo aver vanamente agitato il solito spettro del danno ambientale – fugato da tutte le analisi di impatto sull’ecosistema – sta ora alzando notevolmente il tiro, grazie ad un’improvvisa campagna mediatica volta a danneggiare le relazioni fra Italia ed Azerbaigian. Servizi televisivi, articoli di giornale che sostengono la tesi che il gas azero sia “sporco”, a causa di pretese violazioni dei diritti d’opinione da parte del governo di Baku. Accuse cui ha indirettamente risposto l’Ambasciatore italiano in Azerbaigian, Gianpaolo Cutillo, affermando che l’Azerbaigian è un Paese laico, che garantisce i diritti culturali e religiosi di tutte le minoranze e che sta ponendo in essere un grande processo di “State Building” volto alla costruzione di un modello politico-istituzionale di tipo occidentale. Questi attacchi mediatici, poi, cercano soprattutto di far leva sulla perdurante tensione tra Azerbaigian ed Armenia per il Nagorno-Karabakh. Un conflitto che ha avuto inizio quando, una ventina d’anni fa, l’esercito dell’Armenia occupò la regione del Nagorno-Karabakh insieme agli altri distretti adiacenti – che costituiscono circa un quinto del territorio dell’Azerbaigian – popolate da 750mila azeri, costretti, da allora, ad una diaspora di massa.

Una situazione complessa, un nodo critico del quale, in diverse sedi internazionali, si sta cercando una pacifica ricomposizione. E tuttavia sui nostri media viene presentata solo la posizione della parte armena; non tanto – ci sembra palese – per simpatia per la causa di Erevan, quanto per portare acqua al mulino delle forze ostili al Tap. La domanda che dovrebbe sorgere spontanea, a questo punto, è a chi davvero interessa danneggiare le ottime relazioni fra Roma e Baku per impedire la costruzione della Tap. Poco portati al complottismo ed alle dietrologie, abbiamo la sensazione che si tratti di un coacervo di interessi diversi: da quelli, meschini, di bottega italiana – la rivalità del governatore pugliese Michele Emiliano nei confronti di Matteo Renzi, il solito ambientalismo No Global ostile ad ogni modernizzazione del Paese – sino ad un livello ben più alto. Quello di forze finanziarie e potenze politiche che, decisamente, preferirebbero che l’Italia restasse un mercato subalterno, senza poter ambire ad un ruolo attivo nel “grande gioco” delle strategie energetiche.

(*) Senior fellow del think tank “Il Nodo di Gordio

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01