Il “Supermusulmano”

Ti senti “Super”? Allora, di sicuro, sei un ottimo candidato per il Califfo Nero di Mosul, al-Baghdadi, preso in trappola (si spera...) assieme ai suoi feroci sicari nelle rovine della seconda città dell’Iraq, devastata dalla guerra civile che il suo “Islamic State” ha scatenato in Siria dal 2014. Sempre lui, che ha riconosciuto come suo figlio prediletto l’ignobile assassino che il 22 maggio ha colpito bambini e ragazzi giovanissimi in un pacifico anfiteatro di Manchester, alla fine di un concerto per teenager della popstar Ariana Grande. Ma, come si definisce lo stereotipo del “Supermusulmano”, teorizzato dallo psichiatra franco-tunisino Fethi Benslama? Sentiamo in proposito lui stesso, in un intervento su France Culture del 13 maggio 2016.

“Il supermusulmano vuole essere ancora più musulmano di ciò che effettivamente è. La relativa incarnazione la si può ritrovare nei social come YouTube. Si diventa super passando per un sentimento di grandissima colpevolizzazione, disagio e defezione in rapporto alla propria religione e identità, rilanciando il tutto nel campo della religiosità, che passa per il mostrare le stigmate, i segni che dimostrano come il buon credente sia un eccellente musulmano. Tutto ciò è il prodotto di più di un secolo di islamismo, che ha rappresentato una difesa dell’Islam attraverso una forma religiosa estrema, rispetto sia a ciò che l’Occidente vanta come autonomia del politico, sia a tutte le invenzioni che hanno fatto seguito al Secolo dei Lumi, per fronteggiare le quali l’islamismo ha sviluppato una sorta di superpotenza religiosa che ha dato vita a questa tendenza del supermusulmano e alla sua reincarnazione”.

In proposito, Raphael Liogier sostiene che, “a partire da questo sentimento di colpa, di voler fare di più, della denuncia della defezione e dell’affievolimento della fede responsabili del declino dell’Islam, nasce l’auto rimprovero e l’espiazione, il ridimensionamento e la re-idealizzazione, la santa obbligazione a essere ancor di più musulmani: e tutto ciò porta al supermusulmano. Da parte sua, Benslama tende a collocare quanto sopra nella genealogia dell’islamismo e nelle sue conseguenze psicologiche”. Qualcun altro, osservando questo universo impazzito, sia laico che religioso, proclama che “tout le monde est fou”. Il che, però, dal mio punto di vista è soltanto un alibi, per coprire la “trahison des clercs” che oscura il principio di responsabilità lasciando fuori la funzione di scelta. Mi spiego meglio: una civiltà, per dirsi tale, fissa un suo perimetro valoriale, dicendo a tutte le altre: “Questo è il set irrinunciabile e irriducibile dei valori fondanti della mia cultura, delle mie tradizioni e dell’interpretazione (formale od orale) del Diritto naturale. Se mi sfidi ti combatto perché metti in gioco la mia stessa esistenza”. Cioè, per una civiltà che coltivi la propria identità non tutto è equivalente o relativo. Perché una vera civiltà separa in base alla sua esperienza millenaria ciò che ritiene sia “Il Bene”, da quello che considera “Il Male”. Le civiltà storiche in sé non hanno nulla a che vedere con la psicologia, la psicopatologia, la psicoanalisi, Freud, Lacan, Jung, ecc.. La loro chiave di volta, come per tutte le specie animali, è: esistere, sopravvivere.

Quindi, nel caso dello jihadismo, come di ogni forma di terrorismo fondato sulla “jouissance” (principio del pieno godimento nel proprio sacrificio e nel martirio, così come accadde durante le persecuzioni dei cristiani che accettavano la morte per sé, in nome di Dio, senza perseguirla per gli altri, i loro stessi carnefici), del godere nell’annientarsi e nell’annientare il nemico politico, sociale, religioso non c’è relativismo che tenga: perché io, soggetto destruendi, devo, mi obblighi a distruggere te, con ogni mezzo, perché tu hai solennemente giurato di distruggermi di fronte al tuo Dio. Quindi: tu barbaro premi alle porte per saccheggiarmi, violentare le mie donne, uccidere i miei figli? Bene, avrai una risposta che moltiplica per mille la tua irragionevole violenza. Nell’arena del Colosseo globale, oggi non c’è che un pollice verso: chi perde nella lotta muore. Non lo puoi risparmiare, perché lui non risparmierebbe mai te. Ecco: siamo ai fondamentali. All’Homo Sapiens-sapiens delle origini. Contro chi vuole distruggerti devi usare le armi. Il resto, sono solo elucubrazioni mentali, come quelle di Benslama. Solo il più forte sopravvive. E io non ci vedo proprio, noi figli dell’Illuminismo, pregare Allah dieci volte al giorno!

Aggiornato il 25 maggio 2017 alle ore 15:18