I palestinesi sono ormai un peso anche per il mondo arabo

Della causa palestinese ormai non importa più niente a nessuno. A cominciare dai cari fratelli del mondo arabo, specie sunnita, che intravedono nella sterile prosecuzione di aiuti alla corrotta dirigenza dell’Anp solo un ostacolo alla necessaria normalizzazione dei rapporti con Israele in chiave anti-iraniana.

A dare il là a questo redde rationem è stato da ultimo il principe saudita Salman che ha anche una mezza idea di troncare il flusso ininterrotto di milioni di euro di aiuti che ha legato per decenni la corona a Ramallah.  È come se Abu Mazen e il suo staff abbiano perso tutto per sfinimento. Per consunzione. Solo l’Europa della anti-israeliana Federica Mogherini dà ancora retta alle grottesche richieste di aiuto economico che continuano ad arrivare a Bruxelles, anche se molti Paesi europei non nascondono la propria irritazione per l’attivismo filo Anp della signora Pesc.

In America ormai prevale la linea Trump che all’Onu è portata avanti dall’ambasciatrice Nikki Haley. Che proprio contro Abu Mazen e le proprie velate minacce ai cittadini statunitensi e israeliani rivolte durante l’ultimo discorso al palazzo di vetro a metà dello scorso gennaio ha tuonato nel discorso di replica della medesima sessione. Non è ancora lontana la eco delle continue condanne antiisraeliane delle  Nazioni Unite, ma presto questo trend potrebbe diventare solo un ricordo. I palestinesi si sono fregati con le loro stesse mani: da una parte nella West Bank una leadership poco credibile e corrotta sul modello di quella ultra trentennale di Arafat, dall’altra, a Gaza, una quinta colonna filo iraniana e alleata degli hezbollah a pochi chilometri dall’Egitto sunnita e dall’Arabia Saudita. Quest’ultimo Paese in pratica con l’Iran è già in guerra per interposto movimento di guerriglia nello Yemen, i famigerati huthi.

In questo quadro, già oggettivamente sfavorevole a livello geopolitico alla causa palestinese, passata in secondo piano dopo la crisi siriana, la guerra con l’Isis e quant’altro, il passo falso di chiamare a una nuova intifada contro la decisione di Donald Trump di spostare la diplomazia americana a Gerusalemme, riconoscendola di diritto oltre che di fatto come la vera capitale dello stato ebraico, può costare carissimo ad Abbas. E il discorso all’Onu del 17 gennaio rischia di essere lo sterile canto del cigno di un ex capo guerrigliero sull’orlo del pensionamento. Lui stesso si è dimostrato consapevole di questo andazzo dicendo alla stampa che “forse non mi rivedrete più qui”.

Ma anche la petizione degli affetti sembra essere andata a vuoto: nei giorni successivi tanto nei media arabi quanto in quelli israeliani il discorso che doveva infiammare gli animi dei combattenti palestinesi è scivolato nelle pagine interne. E adesso, dopo quasi due mesi da quelle sparate sterili, molti cominciano a credere che della causa palestinese nel mondo, al netto di Federica Mogherini, non freghi proprio più niente a nessuno.

Aggiornato il 16 marzo 2018 alle ore 10:25