India: la lenta ma inesorabile evoluzione dei diritti civili

L’India ha compiuto un altro passo avanti nella battaglia per la conquista di diritti civili fondamentali. A pochi mesi dalla depenalizzazione dell’omosessualità, la Corte Suprema indiana con una sentenza storica ha deciso che l’adulterio non è più reato. Non solo, questa decisione viene prese in base a una considerazione rivoluzionaria per un Paese impostato su una cultura fortemente patriarcale: “Qualunque disposizione che considera la donna in un livello di diseguaglianza non è costituzionale”, ha detto il presidente della Corte, Dipak Misra. Che continua, “è arrivato il momento di dire che il marito non è il proprietario della sua sposa. La superiorità legale di un sesso su un altro è sbagliata”.

Il gruppo dei cinque giudici, dopo aver preso all’unanimità la decisione di rendere incostituzionale una legge del codice penale risalente a 160 anni fa, ha dichiarato: “Considerare l’adulterio da un punto di vista della criminalità è una misura retrograda”.

L’iniziativa della Corte Suprema indiana è rivoluzionaria non solo da un punto di vista storico e del codice penale. Il fatto che degli uomini decidano di esporsi, cambiare le leggi e lottare per una pari dignità e un uguale valore legale nei confronti delle donne è un segnale fondamentale che dimostra come l’evoluzione del pensiero sia lenta ma fortunatamente inesorabile. Solo smettendo di assecondare la paradossale guerra tra i sessi si può avere l’oggettività di capire che il patriarcato nuoce in primis agli uomini e non solo alle donne.

Forse proprio per questa evoluzione del pensiero, quasi dalla parte opposta del globo, un gruppo di 1600 uomini ha firmato un appello sul New York Times a favore di Christine Blasey Ford contro il giudice Brett Kavanaugh accusato di molestie sessuali nei suoi confronti. “Oggi seguiamo i passi di queste donne coraggiose - scrivono i 1600 firmatari - In quanto uomini e alleati nella lotta per far cessare la violenza e le molestie contro le donne e le ragazze, esprimiamo il nostro sostegno forte a Christine Blasey Ford per la sua volontà di parlare pubblicamente e testimoniare di fronte al Senato a proposito dell’assalto sessuale che lei dice di aver subito ad opera del giudice Brett Kavanaugh. Chiediamo a tutti gli uomini di buona volontà di schierarsi con noi per far sì che la storia di Ford venga esaminata con cura e appieno, senza pregiudizi e preconcetti. È imperativo che la politica non alteri i fatti. La giustizia vuole che Ford e la sua storia siano trattati con equanimità, imparzialità e rispetto”.

Anche il titolo scelto del manifesto è particolarmente significativo: “Crediamo in Anita Hill, e crediamo anche in Christine Blasey Ford”.

Il riferimento è all’appello comparso sullo stesso New York Times nel 1991 in favore di Anita Hill, donna afroamericana che accusava il giudice Clarence Thomas, anch’egli come Brett Kavanaugh in procinto di essere nominato giudice della Corte suprema, di averla molestata. Ventisette anni fa però le 1600 firmatarie erano solo donne.

Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 16:37