“New York Times”: “caso Khashoggi come il delitto Matteotti”

Una crisi diplomatica senza precedenti. Il caso di Jamal Khashoggi, il reporter ucciso nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia, sta mettendo in crisi persino Donald Trump. Non a caso, per “smarcarsi”, il presidente americano ha definito “un fiasco totale” la gestione della vicenda da parte dei sauditi. Per queste ragioni, il tycoon ha deciso di revocare il visto a 21 sauditi sospettati di essere coinvolti nell’assassinio del giornalista. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha detto che “queste misure punitive non saranno l’ultima parola sulla questione da parte degli Stati Uniti”.

Trump ha detto la sua dopo l’intervento di Tayyip Erdogan, il quale ha parlato di “selvaggio omicidio premeditato ad alto livello”. Il presidente turco ha invocato un’indagine indipendente rispetto a quella guidata dal principe saudita Mohammad bin Salman. Ma Trump si è guardato bene dall’accusare la famiglia reale saudita. “Ho parlato con il re e il principe – ha detto Trump –. Hanno affermato con forza di non avere nulla a che fare con tutto questo, che è stato a livello più basso”. Lo stesso presidente americano inizialmente aveva considerato “credibile” l’ipotesi dell’uccisione di Khashoggi durante una rissa, come riportato dai sauditi.

Secondo Erdogan il giorno che precede l’omicidio di Khashoggi, a Istanbul sarebbero arrivati degli agenti sauditi, compreso un medico dotato di segaossa. L’intelligence turca avrebbe fatto emergere una pista agghiacciante. Khashoggi, secondo questa ricostruzione sarebbe stato torturato e fatto a pezzi nel consolato. Sono state diffuse anche le immagini di un uomo che indossando i vestiti del giornalista usciva dal consolato saudita di Istanbul, lo scorso due ottobre. Secondo l’agenzia di stampa Reuters, il consigliere, poi rimosso, del principe saudita Saud al-Qahtani, si sarebbe collegato via Skype con la stanza del consolato dove veniva tenuto Khashoggi, dicendo: “portatemi la testa di quel cane”.

Alexander Stille in un editoriale sul “New York Times”, paragona l’assassinio del dissidente saudita a quello di Giacomo Matteotti, ucciso dai fascisti nel 1924. “Anche allora – scrive Stille – si cercò di far passare l’azione che portò alla morte di Matteotti come l’iniziativa di alcune “teste calde” sfuggita di mano, e non un’operazione nata dagli ordini di Mussolini. Così come Riad ha tentato di accreditare la tesi dell’incidente all’interno del consolato saudita di Instanbul dove era andato Khashoggi: una colluttazione finita male, senza alcuna premeditazione o coinvolgimento del principe ereditario”. Stille invita a “ricordare la lezione del delitto Matteotti. Quando Mussolini la fece franca e sopravvisse alla crisi a causa della debolezza e delle divisioni dell’opposizione politica, ma fu salvato anche dalla complicità degli alleati stranieri che accettarono le spiegazioni poco plausibili sulla fine del leader socialista”.

Aggiornato il 24 ottobre 2018 alle ore 12:45