Brexit, ogni scenario è possibile

“Ripensateci”. È questo l’ultimo disperato appello di Theresa May alla Camera dei Comuni. Il verdetto è fissato per stasera, alle 20, ora italiana. Secondo le ultime indiscrezioni, la situazione è assolutamente incerta. Anche se la maggior parte dei commentatori internazionali propende per una bocciatura dell’accordo siglato dalla premier britannica con l’Unione europea. Quali sono gli scenari che si prospettano in caso di esito negativo del voto parlamentare? La prima conseguenza potrebbe riguardare direttamente la May. La fronda interna ai Tories capitanata dall’ex ministro degli Esteri Boris Johnson chiede da tempo la testa della premier. Per cui, le dimissioni, come sostengono fonti vicine al governo, potrebbero essere una prima ipotesi post-voto.

Sarebbero circa 112, secondo i calcoli, i deputati conservatori contrari all’accordo, ai quali si aggiungerebbero i 10 deputati nordirlandesi del Democratic Unionist Party (Dup), decisi anche loro a bocciare l’intesa con Bruxelles. Ma l’orologio va avanti in maniera inesorabile: una Brexit senza accordo vuol dire arrivare al 29 marzo, la data ufficiale dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, senza alcun piano per il futuro. Una vera sconfitta per l’intera classe politica dirigente britannica. Ma tra i commentatori figura chi pensa che anche a fronte di una pesante sconfitta la premier decida di rimanere al suo posto, cercando un nuovo improbabile dialogo con l’Ue.

In ogni caso, se il voto parlamentare bocciasse l’accordo, la May dovrebbe tornare alla Camera dei Comuni entro tre giorni, per informare il Parlamento su come procedere. A quel punto, probabilmente la premier, accettando la volontà del Paramento, tornerebbe a Bruxelles per ottenere ulteriori concessioni sulla questione del ‘backstop’, la clausola di salvaguardia che dovrebbe entrare in vigore per mantenere aperto il confine tra le due Irlande, duramente contestata dai ribelli Tories e dal Dup.

È possibile che nel prossimo fine settimana possa essere convocato un vertice Ue di emergenza per tentare di uscire dallo stallo. Sarebbe un modo per fare guadagnare tempo alla May. La premier cercherebbe, addirittura, l’appoggio di alcuni laburisti che preferirebbero una Brexit risolta col paracadute dell’accordo con Bruxelles, a una cosiddetta “no deal Brexit”.

Un altro scenario riguarda il voto di sfiducia chiesto dal Partito laburista. Il leader Jeremy Corbyn non punta ad un secondo referendum ma ad elezioni anticipate. Ma il voto potrebbe rappresentare un boomerang per i laburisti. Perché, al momento, non esiste una maggioranza alternativa a quella che sostiene il governo di Theresa May. Non a caso, i ribelli conservatori e il Dup hanno già annunciato che non appoggeranno una mozione di sfiducia nei confronti della premier. Se la premier superasse positivamente la sfiducia sarebbe inevitabilmente rilanciata sul piano interno. Ma, soprattutto, a livello internazionale.

Ma c’è un ulteriore scenario. Un gruppo bipartisan di deputati ha annunciato ieri un piano per fermare la Brexit senza accordo, costringendo la May ad estendere o revocare l’articolo 50, nel caso il Parlamento non trovi un accordo sulle modalità d’uscita dall’Unione europea. Lo strumento sarà un emendamento all’accordo con Bruxelles che, se approvato, fermerà l’uscita automatica del Regno Unito dalla Ue, fissata per il 29 marzo. L’emendamento obbligherebbe la premier a chiedere a Bruxelles una proroga dell’articolo 50. In caso di rifiuto da parte della Ue, la premier avrebbe l’obbligo di legge di ritirare unilateralmente la procedura dell’articolo 50. Un diritto sancito recentemente anche dalla Corte europea di giustizia. Inoltre, l’emendamento assegnerebbe al Parlamento il potere di individuare un nuovo piano per la Brexit, con l’obbligo per il governo di adottarlo.

Aggiornato il 15 gennaio 2019 alle ore 19:17